LIBRO: Inni Orfici

INNI ORFICI, FONDAZIONE L. VALLA

L’Orfismo è un movimento religioso, sorto in Grecia presumibilmente verso il VI secolo a.C. intorno alla figura di Orfeo.

La figura di Orfeo – collegata a quella di un antico “missionario” greco in terra tracia, che vi perse la vita nel tentativo di trasferire il culto di Apollo – potrebbe essere precedente alla sua adozione da parte dei maestri religiosi orfici del VI secolo a.C. Il suo inserimento nelle correnti che si fanno eredi del suo nome «era dovuta a qualcosa di più che non ad un vago sentimento di venerazione per un grande nome dell’antichità»; frutto, piuttosto, da una parte della necessità di ereditare le credenze sulla “possessione” divina, propria dell’esperienza dionisiaca, dall’altra della convinzione di dover prolungare quelle pratiche di “purezza”, che erano proprie dei Misteri eleusini; tutto ciò corrisponde ai due elementi fondanti delle dottrine orfiche: la credenza nella divinità e quindi nell’immortalità dell’anima; da cui consegue, al fine di evitare la perdita di tale immortalità, la necessità di condurre un’intera vita di purezza ( Wikipedia )

Inni orfici

Gli inni orfici sono la più singolare raccolta di preghiere pagane. Siamo, con ogni probabilità, nel I o II secolo dopo Cristo in Asia Minore. Un’associazione di devoti di Dioniso, la quale immagina che Orfeo abbia fondato i misteri del dio, prepara un libro di culto. Si tratta di 87 inni: ciascuno di essi è dedicato a una divinità, e ogni preghiera (poiché l’associazione dionisiaco-orfica rifiuta i sacrifici cruenti) è accompagnata da un profumo. Gli dei dell’associazione dionisiaca hanno molti nomi – Dioniso è anche Eracle e Zeus, Eracle è anche il Sole, Artemide è anche Ecate – e la mitologia viene così intrisa di filosofia stoica e neoplatonica.

lnno Orfico ad Asclepio

Guaritore di tutti, Asclepio, signore Paian, che lenisci le sofferenze affliggenti delle malattie degli uomini, dai dolci doni, potente, vieni portando la salute e facendo cessare le malattie, penose Chere di morte, tu che fai prosperare, soccorritore, che respingi il male, dal destino felice, forte germoglio di Febo Apollo che ricevi splendidi onori, nemico delle malattie, hai come sposa Salute irreprensibile,
vieni, beato, salvatore, concedendo un buon fine di vita. Tratto da Inni Orfici ed. Lorenzo Valla trad. Gabriella Ricciardelli

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Aggiornato a 5 Gennaio 2024

 

LIBRO: Popolo Nazione Stato di Sergio Panunzio

SERGIO PANUNZIO, POPOLO, NAZIONE, STATO, LA NUOVA ITALIA, 1933

Sergio Panunzio nacque a Molfetta da Vito e Giuseppina Poli nel 1886, in una famiglia altoborghese, tra le più illustri della città: «un ambiente familiare intriso tanto di sollecitazioni all’impegno civile e politico quanto di suggestioni e stimoli intellettuali»

Il suo impegno politico nelle file del socialismo incominciò molto presto, quando ancora frequentava il liceo classico locale, ove ebbe come maestro il giovane Pantaleo Carabellese.

Nel dibattito interno al socialismo italiano — diviso tra “riformisti” e “rivoluzionari” — Panunzio si schierò tra i cosiddetti sindacalisti rivoluzionari, cominciando al contempo a pubblicare i suoi primi articoli sul settimanale «Avanguardia Socialista» di Arturo Labriola, quando era ancora studente dell’Università degli Studi di Napoli. Durante i suoi studi universitari il contatto con docenti come Francesco Saverio Nitti, Napoleone Colajanni, Igino Petrone e Giuseppe Salvioli contribuì alla formazione del suo pensiero socialista. Il suo percorso intellettuale fu altresì influenzato da Georges Sorel e Francesco Saverio Merlino, i quali avevano già da tempo incominciato un processo di revisione del marxismo.

Nel 1907 pubblica il suo primo studio, intitolato Il socialismo giuridico, in cui teorizza l’opposizione alla borghesia solidarista e al sindacato riformista da parte del sindacato operaio, il quale è destinato a trasformare radicalmente la società. Il fulcro dell’opera era costituito dalla formulazione di un “diritto sindacale operaio”, spina dorsale di un nuovo “sistema socialista” fondato non su una base economica, bensì su una base etica, solidaristica:

«Il socialismo giuridico non sarebbe dunque che l’applicazione del principio di solidarietà, immanente in tutto l’universo, nel campo del diritto e della morale: in se stesso non è una idea astratta balzata ex abrupto dal cervello di pochi pensatori, ma efflusso e irradiazione ideale di tutta la materia sociale che vive e freme attorno a noi»

La concezione panunziana del sindacato quale organo e fonte di diritto — non eusarentesi quindi in mero organismo economico o tecnico della produzione — fu approfondita nel 1909, allorché vide la luce la sua seconda opera, La persistenza del diritto, in cui egli «coniugava i princìpi della sua formazione positivistica con una ispirazione filosofica volontaristica». Panunzio prendeva quindi le mosse affrontando il problema del rapporto tra sindacalismo e anarchismo: la differenza tra i due movimenti risiedeva — a detta dell’autore — sul ruolo dell’autorità (fondata sul diritto) che, negata dall’anarchismo, non era invece trascurata dal sindacalismo:

«Il sindacalismo è d’accordo con l’anarchia nella critica e nella tendenza distruttiva dello Stato politico attuale, ma non porta alle ultime conseguenze le sue premesse antiautoritarie, che hanno un riferimento tutto contingente allo Stato presente. Il sindacalismo, per essere precisi, è antistatale per definizione e consenso unanime, ma non è antiautoritario. Le premesse antiautoritarie dell’anarchia hanno invece un valore assoluto e perentorio riferendosi esse a ogni forma di organizzazione sociale e politica. Il sindacalismo non è dunque antiautoritario»

In sostanza, Panunzio sosteneva l’importanza fondamentale del diritto (ancorché non “statale”, ma “operaio”) per il sindacalismo e la futura società, dall’autore vagheggiata come un regime sindacalista federale sostenuto dall’autogoverno dei gruppi sindacali, riuniti in una Confederazione, così da formare quella che l’autore stesso chiama «una vera grande Repubblica sociale del Lavoro», retta da una «sovranità politica sindacale».

Nel 1910, fu poi dato alle stampe Sindacalismo e Medio Evo, in cui l’autore indicava al sindacalismo operaio il modello dei Comuni italiani medievali, esempio paradigmatico di autonomia, la quale doveva essere perseguita anche dai sindacati contemporanei.

Dopo un periodo difficile, dovuto a problemi familiari ma anche a un ripensamento delle sue teorie politiche, nel 1912, grazie all’interessamento di Nitti, abbandonò l’attività di avvocato, inadeguata per mantenere la famiglia (aiutava principalmente — raramente pagato — i suoi compagni di partito), divenendo docente di pedagogia e morale presso la Regia scuola normale di Casale Monferrato. Nello stesso anno pubblicò inoltre la sua importante opera. Il Diritto e l’Autorità, in cui erano messe a frutto le sue rielaborazioni teoriche: oltre al passaggio da un orizzonte positivistico a una concezione filosofica neocriticistica, egli ripensava lo Stato non più quale organo della coazione, ma quale depositario della necessaria autorità. Il 1912 è un anno per lui importante anche perché, con la fine della guerra libica, cominciò a prender corpo la svolta “nazionale” del suo pensiero.

Dopo aver insegnato per un anno a Casale Monferrato e un altro a Urbino, nel 1914 passò alla Regia scuola normale “Giosuè Carducci” di Ferrara, ove insegnò sino al 1924, conseguendo al contempo la libera docenza presso l’Università di Napoli (l’anno successivo gli fu trasferita nell’ateneo bolognese). È di quegli anni — poco prima dell’entrata dell’Italia nella Grande Guerra — l’inizio di stretti rapporti politici e intellettuali con Benito Mussolini, direttore dell’«Avanti!» e leader dell’ala rivoluzionaria del Partito Socialista Italiano. Panunzio incominciò dunque una regolare e intensa collaborazione con il quindicinale «Utopia», appena fondato dal futuro capo del fascismo per far esprimere le voci più rivoluzionarie, eterodosse ed “eretiche” dell’ambiente socialistico italiano. In questo periodo Panunzio comprende il potenziale rivoluzionario che il conflitto europeo poteva esprimere, sicché manifesterà sempre più esplicitamente il suo appoggio all’interventismo, che era invece inviso al Partito Socialista:

«Io sono fermamente convinto che solo dalla presente guerra, e quanto più questa sarà acuta e lunga, scatterà rivoluzionariamente il socialismo in Europa. Altro che assentarsi, piegarsi le braccia, e contemplare i tronconi morti delle verità astratte! (…). Alle guerre esterne dovranno succedere le interne, le prime devono preparare le seconde, e tutte insieme la grande luminosa giornata del socialismo, che sarà la soluzione e la purificazione ideale di queste giornate livide e paurose, macchiate di misfatti e di infamie» Sergio Panunzio  ( Wikipedia )

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Aggiornato al 28 Gennaio 2024

 

LIBRI: Napoli Spagnola dopo Masaniello di Giuseppe Galasso

GIUSEPPE GALASSO: NAPOLI SPAGNOLA DOPO MASANIELLO

Giuseppe Galasso tratteggia in questi due volumi la storia di Napoli nell’età moderna nel quadro storico dell’Europa delle capitali di cui essa fu indubbiamente un caso esemplare. Una storia che segue linee e fili ricostruttivi e interpretativi ben definiti collegati ad un preciso arco temporale. Galasso, infatti, afferma che nel dare inizio al racconto di una fase della storia moderna di Napoli dal momento in cui ebbero temine i moti iniziati con a capo Masaniello e rimasti legati al suo nome (benché egli morisse dopo i primi giorni di una rivolta che durò all’incirca nove mesi) non ha bisogno di giustificazioni.

Quella rivolta e il nome Masaniello ebbero notorietà europea come pochi altri momenti e figure della storia napoletana; e la notorietà non era, in quel caso, conseguenza di una fama estemporanea ed eccessiva, bensì il risultato della percezione chiara e giustificata, da parte della opinione pubblica internazionale, che Napoli e il Regno avevano attraversato, in quei nove mesi, un momento cruciale della loto storia.

Né ha bisogno di giustificazioni la data del 1707, assunta come termine finale dei racconto, poiché anche allora si ebbe un evento memorabile nella storia napoletana, se si pensa che la Spagna aveva avuto un suo sovrano re di Napoli già alla metà del secolo XV e che, dopo il lungo periodo dal 1503 al 1707, i due paesi non si trovarono mai più sotto lo stesso sovrano. in compenso, se facili sono problemi di periodizzazione, complessi e spesso ardui sono i problemi che, da più punti di vista, pone la ricostruzione storica degli ultimi sessanta anni di presenza sovrana della Spagna a Napoli.

La Prima Edizione è di ESI nel 1972

Masaniello

Tommaso Aniello d’Amalfi, meglio conosciuto come Masaniello (Napoli, 29 giugno 1620 – Napoli, 16 luglio 1647), è stato il protagonista della rivolta napoletana che vide, dal 7 al 16 luglio 1647, la popolazione della città insorgere contro la pressione fiscale imposta dal governo vicereale spagnolo. Nella vita di questo personaggio non è sempre facile distinguere gli avvenimenti realmente accaduti da quelli elaborati dal mito.

Quella di Masaniello, finché lui fu in vita, non si configurò come una rivolta antispagnola e repubblicana come avrebbe voluto la storiografia dell’Ottocento che, profondamente influenzata dai valori risorgimentali, vedeva in lui un patriota ribellatosi alla dominazione straniera. Le cause degli eventi del luglio 1647 risiedono esclusivamente nella specificità politica, economica e sociale della Napoli spagnola nella prima metà del Seicento. Dopo la sua morte, tuttavia, la rivolta assunse connotazioni politiche e sociali[4] dal carattere antifeudale e antispagnolo e, secondo taluni, anche secessionista, al pari di quanto era accaduto alcuni anni prima, in Portogallo e Catalogna.

La rivolta fu scatenata dall’esasperazione delle classi più umili verso le gabelle imposte dai governanti sugli alimenti di necessario consumo. Il grido con cui Masaniello sollevò il popolo il 7 luglio fu: «Viva ‘o Rre ‘e Spagna, mora ‘o malgoverno», secondo la consuetudine popolare tipica dell’Ancien régime di cercare nel sovrano la difesa dalle prevaricazioni dei suoi sottoposti. Dopo dieci giorni di rivolta che costrinsero gli spagnoli ad accettare le rivendicazioni popolari, a causa di un comportamento stravagante, frutto di una strategia mirata, volta a fargli appunto ‘fare pazzie’, Masaniello fu accusato ufficialmente di pazzia ed ucciso per volere del viceré, di alcuni capi popolari e di una piccola parte della plebe.

Nonostante la breve durata, la ribellione da lui guidata indebolì il secolare dominio spagnolo sulla città, aprendo la strada per la proclamazione dell’effimera e filofrancese Real Repubblica Napoletana, avvenuta cinque mesi dopo la sua morte. Questi eventi, visti in un’ottica europea, vanno comunque inquadrati all’interno della cornice della guerra dei trent’anni e la tradizionale rivalità tra Spagna e Francia, anche per il possesso della corona di Napoli. ( Wikipedia )

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Riviste: Tempo Edizione Italiana Anni 1941 1942 1943

TEMPO EDIZIONE ITALIANA, 1941, 1942, 1943 SCOMPLETA

Tempo. Settimanale di politica, informazione, letteratura e arte fu il nome di un periodico italiano  fondato dalla Mondadori Editore. Fu pubblicato a Milano tra il 7 giugno 1939 e il 1976.

Tempo ispirato al settimanale statunitense Life, si era prefissato di essere il rivale di Oggi, settimanale della Rizzoli.

Nel 1941 la Germania nazista aveva assunto il controllo della Francia e di quasi tutta la Mitteleuropa (compresa metà della Polonia). Nelle aree controllate dall’Asse predominava il settimanale tedesco Signal. Il fascismo italiano decise di controbilanciare la propaganda nazista introducendo e diffondendo nei territori occupati e in Spagna una rivista italiana. La scelta cadde su Tempo.

Mondadori s’impegnò a pubblicare il periodico in sette lingue straniere. Lo sforzo della casa editrice fu enorme. La tiratura dell’edizione tedesca ( nata nel 1940 ) raggiunse le 500.000 copie; quella in francese ( dal 1942 ) 135mila; in romeno 50mila; in ungherese 30mila; in spagnolo ( dal 1941 ) 23mila; in croato 18.500; in albanese 10mila.

Nel periodo della seconda guerra mondiale, i finanziamenti del regime al periodico raggiunsero l’astronomica cifra di 47.191.280 lire (la media per una rivista andava dalle 100.000 lire ai 3,5 milioni).

Nel 1943 cominciarono ad apparire i primi segni di cedimento: prima le lingue furono ridotte a tre, poi l’iniziativa fu sospesa. Dopo il 25 luglio 1943 fu sospesa anche la pubblicazione della rivista in italiano.

DAL 1946 AL 1976

Ceduto nel 1946 all’editore Aldo Palazzi, riprese le pubblicazioni sotto la direzione di Arturo Tofanelli.

( Tratto da Curiosando 70 80 90 su Altervista )

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LIBRO: La Vita sulla Terra di Niles Eldredge

NILES ELDREDGE, LA VITA SULLA TERRA, CODICE EDITORI, 2004

Alle cinque grandi “estinzioni di massa” che nel corso della storia per impatti di asteroidi, oscillazioni climatiche hanno cancellato intere porzioni della biodiversità terrestre, se ne aggiunge oggi una “sesta”, la prima causata da una sola specie, l’Homo sapiens. L’opera è un enciclopedica integrata di ecologia, teoria dell’evoluzione e biodiversità, capace di tener conto del ruolo ambiguo, di distruzione e di conservazione, che la specie umana gioca nella trama delle sue relazioni con la biosfera. L’opera presenta duecento voci, precedute da quattro saggi introduttivi, arricchite da schemi e illustrazioni, connesse tra loro attraverso link bibliografici e rimandi, che creano reti di argomenti e di percorsi di lettura.

La vita sulla Terra

Un’enciclopedia della biodiversità, dell’ecologia e dell’evoluzione Niles Eldredge

Gli evoluzionisti hanno aggiunto alle cinque grandi “estinzioni di massa” che nel corso della storia per cause molteplici – impatti di asteroidi, oscillazioni climatiche – hanno cancellato intere porzioni della biodiversità terrestre, una “sesta estinzione”, la prima causata da una sola specie, l’Homo sapiens. La vita sulla Terra, un grande progetto curato dal maggior evoluzionista contemporaneo, Niles Eldredge, è la prima opera enciclopedica integrata di ecologia, teoria dell’evoluzione e biodiversità, capace di tener conto del ruolo ambiguo, di distruzione e di conservazione, che la specie umana gioca nella trama delle sue relazioni con la biosfera. Le quasi 200 voci, precedute da quattro preziosi saggi introduttivi e scritte da un team di autorevoli esperti delle diverse discipline, sono arricchite da schem e illustrazioni, e sono connesse tra loro attraverso link bibliografici e rimandi, che creano così reti di argomenti e di percorsi di lettura. Sfogliare La vita sulla Terra significa ripercorrere i nodi di un sistema ad altissima complessità, che supporta la vita sul pianeta e genera incessantemente quella “plaga lussureggiante” che già Charles Darwin scelse come icona finale della sua opera: “Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita e nel fatto che, mentre il nostro pianeta ha continuato a ruotare secondo l’immutabile legge di gravità, da un così semplice inizio innumerevoli forme, bellissime e meravigliose, si siano evolute e continuino a evolversi”. ( Codice Edizioni )

Niles Eldredge

Niles Eldredge (Brooklyn, 25 agosto 1943) è un paleontologo statunitense, autore assieme a Stephen Jay Gould della teoria degli equilibri punteggiati. È inoltre curatore del Department of Invertebrate dell’American Museum of Natural History. Dopo aver studiato latino ed antropologia alla Columbia University si appassionò alla paleontologia ed iniziò un PhD della Columbia in collaborazione con l’American Museum of Natural History. Completò il dottorato nel 1969 e divenne nello stesso anno curatore del Dipartimento degli invertebrati del museo, carica che ricopre tuttora. È inoltre divenuto professore aggiunto della City University of New York. È uno specialista dei trilobiti, gruppo di artropodi marini vissuti nel Paleozoico. Nel 1972, assieme a Stephen Jay Gould propose la teoria degli equilibri punteggiati: una teoria dell’evoluzione che pone l’accento sull’irregolarità del processo evolutivo. A lunghi periodi di stasi si alternano rapide mutazioni che originano nuove specie; lo studio dei fossili di cui si occupa è determinante nel formulare tale ipotesi, che cerca di spiegare il perché della stratificazione delle varie specie nei ritrovamenti, senza passaggi intermedi tra le une e le altre. Eldredge sostiene una visione gerarchica dell’evoluzione (Eldredge, 1985), affermando che le “mutazioni genetiche” (primo livello) modificano la “variabilità degli individui” (secondo livello) sulla quale agisce la selezione naturale che porta ai caratteri più vantaggiosi a livello di “popolazione rispetto all’habitat” (terzo livello). Quindi avvengono tre momenti nel processo di selezione, la competizione tra geni, individui e popolazioni di una specie. Le popolazioni, varianti in base alle diversità degli habitat, generalmente si ricombinano e vengono ricomprese nella specie, ma in determinate condizioni (ad esempio un evento che modifica il territorio) possono disgiungersi andando incontro ad una speciazione che le rende incompatibili geneticamente. Negli ultimi due decenni Eldredge ha sviluppato il proprio interesse per l’aspetto ecologico dell’evoluzione, l’importanza attribuita cioè alla relazione con l’ambiente e le radicali modificazioni di quest’ultimo, connettendolo con le preoccupazioni per quello che definisce un nuovo contemporaneo evento di estinzione di massa, causato dall’uomo. ( Wikipedia )

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LIBRO: Invidia & I Tre Grassoni di Jurij Olesa

J. OLESA, INVIDIA E I TRE GRASSONI, EINAUDI, 1969

Jurij Karlovic Oleša (Elisavetgrad, 3 marzo 1899 – Mosca, 10 maggio 1960 ) è stato uno scrittore russo.

Esordì con versi ricchi di satira nel 1922 sulle rivista Gudok, Il fischietto, nelle cui pagine scrivevano anche poeti del calibro di Bulgakov e Petrov.

Nel 1927 diede alle stampe il suo primo romanzo Invidia, suscitando non poche polemiche nei confronti dell’establishment sovietico. Rimane, quest’opera, insieme a pochi altri racconti, il capolavoro di Olesa. Le tematiche affrontate in Invidia spaziano nello scontro fra la civiltà meccanizzata e quella di massa, da lui tratteggiata con forti connotazioni negative e con un linguaggio che si riallaccia al cubofuturismo. Sia questo capolavoro che I tre grassoni, romanzo per bambini scritto nel 1924 ma pubblicato solo nel 1928, hanno avuto molte riduzioni per il teatro a partire dal 1929.

I Tre Grassoni

La storia è molto semplice e ha per protagonista un uomo di una certa età e dall’importanza all’apparenza trascurabile, il dottor Gaspar Arneri, che in una tranquilla giornata decide di uscire di casa per fare una passeggiata e raccogliere erbe e scarabei. Il dottore, molto stimato in città per la sua abilità quasi miracolosa, si ritrova però coinvolto nei drammatici colpi finali di una rivolta popolare contro i “Tre Grassoni”, i tiranni della città. L’esercito soffoca nel sangue la sommossa e arresta i capi popolo, tra cui l’armaiolo Prospero; solo per miracolo il dottor Arneri ne esce indenne.
La descrizione che Oleša dà delle strade cittadine dopo lo scontro sono intense e commoventi.

Invidia

Quest’opera fu scritta nel 1924 ma pubblicata soltanto quattro anni più tardi. Nel frattempo l’autore aveva dato alle stampe un secondo romanzo, Invidia, questa volta dai toni decisamente adulti e fortemente critici nei confronti dei cambiamenti che stavano già prendendo piede nell’Unione Sovietica di Stalin. Insomma, forse Oleša si rendeva ben conto della china pericolosa che la dittatura di Stalin stava prendendo e rimpiangeva gli ideali giovanili che, pochi anni prima, gli avevano fatto scegliere di lasciare gli studi per combattere nella Rivoluzione. Il suo Paese non fu gentile con lui: pochi anni più tardi entrò nel mirino della censura e fu sospettato di essere un oppositore politico; per questo trascorse diversi anni in un gulag e solo verso la fine della sua vita fu riabilitato e le sue opere ristampate.

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LIBRI: Storia del Cinema Mondiale

STORIA DEL CINEMA MONDIALE, EINAUDI, 5 Volumi 7 tomi, completa

I. L’ Europa, Miti, luoghi, divi; II*. Gli Stati Uniti; II**. Gli Stati Uniti; III. L’ Europa. Le cinematografie nazionali; IV. Americhe, Asia, Oceania. Le cinematografie nazionali; V. Teorie, strumenti

Perché una grande Storia del cinema mondiale oggi ? Perché radunare attorno allo stesso progetto i piú autorevoli e innovativi studiosi di cinema, affiancati dai piú brillanti ricercatori della nuova generazione? L’impresa è sicuramente difficile e ambiziosa, ma può essere affrontata con fiducia dato il momento particolarmente favorevole che attraversano gli studi del settore. In questi ultimi anni si sono acquisiti molti dati importanti, grazie al moltiplicarsi delle ricerche e alla disponibilità di fonti inedite dovuta alle nuove tecniche di restauro e all’apertura di archivi sempre piú completi. Film che si credevano scomparsi o non piú leggibili sono stati fatti rivivere con passione e competenza, e sono cosí tornati a far parte della memoria collettiva. È cresciuto l’interesse per lo studio e la catalogazione delle cinematografie nazionali, che sono state censite in modo sistematico a partire dagli anni ottanta, e raccolte in cineteche sempre piú attrezzate e fruibili: un patrimonio straordinario, affermatosi ormai a pieno titolo come strumento insostituibile per la definizione dell’identità culturale dei popoli. Altri fenomeni quali il ricambio generazionale tra gli studiosi, l’attenzione verso luoghi e forme di espressione prima trascurati, l’irrompere delle nuove tecniche di riproduzione, stanno trasformando l’idea stessa di «storia del cinema». Il progetto della Storia del cinema mondiale riflette questo stato di cose. La scommessa affrontata dal curatore è stata quella di riunire, sotto alcune ipotesi metodologiche comuni, un vasto gruppo di studiosi e personalità differenti, capaci di offrire contributi rigorosi, documentati e quanto piú innovativi dal punto di vista tematico e interpretativo. Alla storia interna, imprescindibile, delle singole personalità artistiche, dei movimenti e delle poetiche si affiancano temi inediti, o visti secondo ottiche nuove ed impreviste. Grande attenzione è posta da un lato alle tecniche, ai luoghi, ai fenomeni di massa come il divismo e agli aspetti sociali ed economico-produttivi; dall’altro alle sedimentazioni culturali, alle influenze delle altri arti, alle persistenze nelle tecniche narrative, alla definizione di un immaginario comune. Il risultato è una grande opera di consultazione e studio: pensata per soddisfare le esigenze di un pubblico assai vasto, dallo specialista al semplice appassionato, dal cinefilo incallito allo spettatore occasionale, è al tempo stesso una miniera di informazioni sugli argomenti piú disparati e una messe di idee critiche, di riletture, di spunti per ricerche in nuove direzioni. ( Einaudi )

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Aggiornato al 26 Gennaio 2024

 

 

 

LIBRO: L’Adone di Giovan Battista Marino

G.B. MARINO, L’ADONE, 1°EDIZIONE, ILLUSTRATA, NERBINI, 1922 

L’Adone è un poema di Giovan Battista Marino, pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1623 presso Oliviero di Varennes. L’opera descrive le vicende amorose di Adone e Venere e costituisce uno dei poemi più lunghi della letteratura italiana (5.123 ottave, per un totale di 40.984 versi, poco più dell’Orlando Furioso di Lodovico Ariosto ma tre volte la Divina Commedia e la Gerusalemme liberata). Dedicato a Luigi XIII, re di Francia, esso è composto da venti canti ed è preceduto da una lettera indirizzata alla regina Maria de’ Medici, fiorentina, perché interceda presso il giovane re; la lettera è preceduta a sua volta da una prefazione del critico francese Jean Chapelain in cui il poema, del tutto fuori da ogni canone rinascimentale, viene giustificato come ‘poème de la paix’, epico ma non eroico. Ogni canto è preceduto dagli Argomenti in prosa, composti da Fortuniano Sanvitale, e da Allegorie attribuite a don Lorenzo Scoto e che dovrebbero spiegare il significato morale del testo (il cui insegnamento, come detto nel proemio, è: smoderato piacer termina in doglia). Ogni singolo canto è fornito di un titolo e di un proemio di sei ottave. Il proemio del primo canto è di dodici ottave.

Immediatamente stampato il poema, il Marino tornava in Italia ma tornavano a galla le questioni irrisolte con l’Inquisizione. Un’opera come L’Adone non si adattava al clima del pontificato del neoeletto Urbano VIII e della fastosa Roma barberiniana. L’intervento del papa contro il Marino è uno dei primi atti del suo pontificato, ed è finalizzato a far piazza pulita delle ambigue relazioni intrattenute fino ad allora dalla Chiesa con parti dell’intellettualità, e parallelamente a scoraggiare il diffondersi di determinati atteggiamenti culturali; si può ritenere che questo sia il primo passo del lungo e doloroso percorso che porterà nel 1633 alla terribile condanna di Galileo Galilei, vero eroe e martire del pensiero ( due etichette che al duttile Marino si addicono in verità pochissimo ).

È il cardinale Giannettino Doria, ironicamente il dedicatario di Lira III, che il 22 aprile 1624 sporge denuncia contro il poema. Il papa (che sarà il firmatario di tutti e tre i decreti contro il poema), condannando il poema assai tempestivamente l’11 giugno, concede ancora la possibilità di apportare correttivi e lasciando aperta la possibilità di una stampa romana, cui il Marino tiene moltissimo, ma non lasciando più d’un mese di tempo. Il poeta apporta alcuni correzioni, dopodiché decide di abbandonare Roma per Napoli, lasciando ad Antonio Bruni e a Girolamo Preti l’incarico di correggere il capolavoro secondo le disposizioni di un tal p. Vincenzo Martinelli, ‘socius’ del Maestro nel Sacro Palazzo (massima autorità pontificia per la censura). Sta di fatto che fin quasi alla fine dell’anno nulla è fatto: non solo il Marino non continua la correzione, ma né il p. Martinelli né i due poeti amici sembrano aver riscritto un solo verso; ed è da ricordare che è il Martinelli quello ufficialmente incaricato di correggere l’opera. Evidentemente sia gli amici del Marino, sia i lettori del Sant’Uffizio hanno avuto modo di approfondire la conoscenza del complicato poema, per rendersi conto, infine, che le lascivie hanno un peso minimale nell’economia dell’opera, e sono, tra i luoghi incriminabili, sicuramente i meno gravi anche per i criteri di allora (come sostenuto da Giovanni Pozzi); in proposito sarà da ricordare, piuttosto, la tanta materia sacra continuamente allusa dietro la vicenda erotica di Adone avrà infastidito l’élite cattolica. Infine, il 27 novembre il poema è condannato in quanto «morum corruptivus ob eius oscoenitatem quam maximam»; in più, per motivi ignoti ma immaginabili, la dura sentenza non è resa pubblica; è il cardinale amico Carlo Emanuele Pio di Savoia che si assume il caso dell’Adone.
Una seconda condanna è fulminata il 17 luglio 1625, quando il Marino è già morto, provocando la mobilitazione (che durerà decenni, nel complesso) di numerosi amici e letterati influenti, specie gravitanti intorno all’Accademia degli Umoristi, che si propongono a vario titolo di trovare soluzioni di compromesso, rivolgendosi a questo scopo al Sant’Uffizio. Nulla di concreto ci rimane, però, di quello che eventualmente sarà poi fatto sul corpo de L’Adone; si sa che i sodali si muovono su più binari, innanzitutto con una serie d’agiografie, e poi concentrando via via le energie nella querelle scatenata da L’Occhiale di Tommaso Stigliani (1627).
La terza condanna, del 5 novembre 1626, è quella definitiva. È vero che L’Adone continuerà ad essere ristampato per tutto il secolo, non solamente all’estero (in particolare dagli Elsevier) ma anche a Venezia (e una volta, nel 1789, a Livorno con la falsa indicazione “Londra”), e questo si spiega col prestigio del Marino, che era universale, e con la conseguente scarsa aggirabilità della sua figura e della sua opera; ma la condanna della Chiesa, e di Urbano VIII in particolare, riveste un significato ulteriore e più ampio che trascendente anche le esigenze di quella temperie e di quel pur lungo papato.
Altre due condanne verranno emanate contro il resto della produzione nel 12 aprile 1688 (sempre per volontà di Urbano VIII) e nel 27 settembre 1678 (per volontà di Innocenzo XI Odescalchi; vedi Giovan Battista Marino). ( Wikipedia )

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Aggiornato al 27 Novembre 2023