Pasternak e Ivinskaja: Il viaggio segreto di Zivago

Tutti i segreti del rapporto tra Pasternak e Ivinskaya

Nel 2016 veniva pubblicato su Il Giornale un articolo a firma di Aridea Fezzi Price dal titolo ” Così Olga protesse Pasternak e salvò il suo Dottor Zivago. Tutti i segreti del rapporto tra lo scrittore e la Ivinskaya. “

L’amore di Boris Pasternak per la sua terra non vacillò mai un istante neanche negli anni delle peggiori costrizioni morali.

L’ultimo amore di Pasternak fu per Olga Ivinskaya, la donna che lo amò e lo sostenne negli ultimi 15 anni della sua vita, sopportando per lui interrogatori, torture e lavori forzati nei gulag di Taishet e Potma.

Anna Pasternak, pronipote dello scrittore, giornalista e scrittrice, ha deciso di penetrare e dipanare la ragnatela di affronti e imprecisioni che avvolge la figura di Olga. Viene raccontata una storia diversa.  Olga fu il grande amore e sostegno letterario di Pasternak, e in parte modello per Lara, l’eroina di Dottor Zivago.

Boris, che si innamorava facilmente, aveva già avuto una prima moglie, Evgenya, lasciata nel 1934 per sposare la seconda Zinaida, quando conobbe Olga nel 1946 nella redazione della rivista letteraria Novy Mir dove lei era redattrice. Lei aveva 34 anni, bionda con tristi occhi azzurri, due volte vedova, con due figli. Lui aveva 56 anni, un famoso poeta e traduttore di Shakespeare, che in un momento in cui tutto era un rischio e gli scrittori venivano senza sosta arrestati ed eliminati dai servizi segreti, poteva curiosamente contare su una scomoda immunità, probabilmente in nome delle sue splendide traduzioni dei poeti georgiani che toccavano la sensibilità di Stalin, il quale avrebbe ordinato di lasciare « Pasternak in pace fra le sue nuvole », come si legge in un documento conservato negli archivi del Kgb.

« Lui era lì davanti alla mia scrivania – scriverà più tardi Olga di quel giorno – l’uomo più generoso del mondo, cui fu dato di parlare a nome delle nuvole, delle stelle e del vento, che trovò parole eterne per la passione dell’uomo e la debolezza della donna ». Olga, più pronta a offrire sostegno e ammirazione, riempì subito il vuoto che l’aridità della moglie lasciava nell’anima di Boris, ma per il suo amore pagò un duro prezzo. Non potendo colpire Pasternak, divenne lei il bersaglio delle persecuzioni. Fu arrestata la prima volta nel 1949, interrogata e torturata per ottenere informazioni sulle presunte attività spionistiche dell’amante e sul libro sovversivo che stava scrivendo. Durante l’interrogatorio ebbe un aborto, ma fu ugualmente condannata a tre anni di lavori forzati nel gulag di Potma.

Fu l’ingiusta persecuzione di Olga a spingere Boris a trasferire il suo amore e il senso di colpa nel Dottor Zivago, di cui scrisse la seconda parte nonostante un infarto lo costringesse a lasciare Mosca per la sua dacia a Peredelkino con la moglie. Quando Olga fu liberata si trasferì in una casetta vicina, e Boris continuò la sua vita sempre in bilico fra Olga e Zinaida, in uno stato di continuo tormento, come Yuri, il dottor Zivago, diviso fra Lara e la moglie Tonya. Ma per Boris, incapace di un amore felice, come ebbe a osservare l’amica Marina Tsvetaeva, « l’amore doveva essere tormento e tortura ». Rifiutò sempre di sposare Olga, la quale avrebbe potuto godere della protezione del suo nome.

L’«anti sovietico» Dottor Zivago fu subito osteggiato dalle autorità e solo grazie alla determinazione di Boris fu contrabbandato fuori dalla Russia e pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 1957. Inizia da lì, da quello che sarà un successo internazionale e varrà il premio Nobel per la letteratura al suo autore, costretto a declinarlo dalle sferzate punitive di Kruscev, tutto l’«affare Pasternak» che alla sua morte, nel 1960, porterà al secondo arresto di Olga. Interrogata alla Lubjanka e accusata di avere partecipato alla stesura del romanzo e di atti sovversivi all’estero, fu condannata con la figlia Irina ai lavori forzati in Siberia. Liberata nel 1964, si spense a 83 anni a Mosca, nel 1995, dopo aver finalmente visto la pubblicazione del Dottor Zivago in Russia nell’88. ( Tratto da: Il Giornale )

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Aggiornato al 14 Gennaio 2023

Le Poesie di Giovanni Pascoli by Libreria Aiace Roma

Giovanni Pascoli: il Poeta e il Fanciullino

Giovanni Pascoli ( San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912 ) è stato un poeta, accademico e critico letterario italiano, figura emblematica della letteratura italiana di fine Ottocento, considerato insieme a Gabriele D’Annunzio, il maggior poeta decadente italiano, nonostante la sua formazione principalmente positivistica. Dal Fanciullino, articolo programmatico pubblicato per la prima volta nel 1897, emerge una concezione intima e interiore del sentimento poetico, orientato alla valorizzazione del particolare e del quotidiano, e al recupero di una dimensione infantile e quasi primitiva. D’altra parte, solo il poeta può esprimere la voce del “fanciullino” presente in ognuno: quest’idea consente a Pascoli di rivendicare per sé il ruolo, per certi versi ormai anacronistico, di “poeta vate”, e di ribadire allo stesso tempo l’utilità morale (specialmente consolatoria) e civile della poesia. Egli, pur non partecipando attivamente ad alcun movimento letterario dell’epoca, né mostrando particolare propensione verso la poesia europea contemporanea (al contrario di D’Annunzio), manifesta nella propria produzione tendenze prevalentemente spiritualistiche e idealistiche, tipiche della cultura di fine secolo segnata dal progressivo esaurirsi del positivismo. Complessivamente la sua opera appare percorsa da una tensione costante tra la vecchia tradizione classicista ereditata dal maestro Giosuè Carducci, e le nuove tematiche decadenti. Risulta infatti difficile comprendere il vero significato delle sue opere più importanti, se si ignorano i dolorosi e tormentosi presupposti biografici e psicologici che egli stesso riorganizzò per tutta la vita, in modo ossessivo, come sistema semantico di base del proprio mondo poetico e artistico. ( Wikipedia )

Poesie

Mare
M’affaccio alla finestra, e vedo il mare:
vanno le stelle, tremolano l’onde.
Vedo stelle passare, onde passare:
un guizzo chiama, un palpito risponde.
Ecco sospira l’acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d’argento.
Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto e dove meni?

Il passero solitario
Tu nella torre avita,
passero solitario,
tenti la tua tastiera,
come nel santuario
monaca prigioniera,
l’organo, a fior di dita;
che pallida, fugace,
stupì tre note, chiuse
nell’organo, tre sole,
in un istante effuse,
tre come tre parole
ch’ella ha sepolte, in pace.
Da un ermo santuario
che sa di morto incenso
nelle grandi arche vuote,
di tra un silenzio immenso
mandi le tue tre note,
spirito solitario.

Novembre
Gemmea l’aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore…
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate,
fredda, dei morti.

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Libri & Letture

Aggiornato al 8 Gennaio 2023

LIBRO: Andrej Tarkovskij: l’Arte di scolpire il Tempo

La Poesia Filmata di Andrej Tarkovskij

A trent’anni dalla morte del celebre regista sovietico, ritorna la “poesia filmata” di Andrej Tarkovskij (1932-1986). Ingmar Bergman ha dichiarato: «Quando scoprii i primi film di Tarkovskij […] fu per me un miracolo. Di colpo mi trovavo davanti alla porta d’una stanza, di cui fino ad allora mi mancava la chiave. Una stanza in cui da sempre volevo entrare, e in cui lui si muoveva a suo agio. Mi sentii incoraggiato, stimolato: qualcuno esprimeva ciò che avevo sempre voluto dire, senza sapere come. Se Tarkovskij è per me il più grande, è perché egli reca al cinema – nella sua specificità – un nuovo linguaggio che gli consente di catturare la vita come apparenza, la vita come sogno».

IL RULLO COMPRESSORE E IL VIOLINO  ( 1960 ) – Sasha, un violinista di sette anni, viene difeso da Sergej, operaio addetto al rullo compressore, durante una lite con un gruppo di bambini. Grazie all’amicizia con l’uomo, Saha imparerà ad affrontare le difficoltà. Film realizzato da Tarkovskij a ventotto anni come lavoro di diploma del corso di regia.

L’INFANZIA DI IVAN ( 1962 ) – «Primo lungometraggio di Tarkovskij […], è la drammatica indagine, funerea e tragica, sulla vita di un bambino che orrore e violenza della guerra hanno segnato irrimediabilmente, […]. Una delle opere più coerenti del cosiddetto “disgelo” ( che proprio questo film simbolicamente chiuse ), offre della storia una “visione come dolore e irrazionalità”, lontanissima dall’ottimismo volontaristico degli anni staliniani» ( Mereghetti ). Leone d’oro a Venezia ex aequo con Cronaca familiare di Valerio Zurlini.
Versione originale con sottotitoli italiani

ANDREJ RUBLËV  ( 1966 ) – «In una Russia messa a ferro e fuoco dalle invasioni asiatiche e sconvolta dalle lotte di potere tra piccoli potentati, il monaco Rublëv (1360 ca.-1430), pittore di icone, passa attraverso 9 capitoli ( Il volo, il buffone, Teofane il Greco, La passione secondo Andrej, La festa, Il giudizio universale, La scorreria, Il silenzio, La campana ) che compongono un vasto affresco del Medioevo russo» ( Morandini ).

SOLARIS ( 1972 ) – «Lo scienziato Kris Kelvin ( Banionis ), inviato a indagare su ciò che sta che sta accadendo sulla base orbitante attorno al magmatico pianeta Solaris, scopre che alcune radiazioni hanno il potere di materializzare ricordi e ossessioni dell’equipaggio. […] Lanciato all’epoca come “la risposta sovietica a 2001: Odissea nello spazio“» ( Mereghetti ).

LO SPECCHIO ( 1974 ) – «Il protagonista è un uomo sui quarant’anni, che si sforza di fare un bilancio di tutta la vita precedente; cerca cioè di capire che cosa di valido c’è stato nella sua esistenza» ( Tarkovskij ).

NOSTALGHIA (1983 ) – Andrej Gonciacov è uno scrittore russo in viaggio in Italia sulle tracce di un compositore del Settecento suo conterraneo, Berezovskij, del quale sta scrivendo la biografia. È accompagnato dalla sua traduttrice, una bellissima donna italiana. I due visitano alcuni luoghi di grande suggestione. ( Centro Italiano di Cinematografia )

A partire dall’aprile del 1970 Tarkovskij iniziò a scrivere un diario che tenne con continuità sino agli ultimi giorni. Contiene il resoconto delle traversie burocratiche e delle complesse vicissitudini umane di Tarkovskij e costituiscono, assieme a Scolpire il tempo, col quale Tarkovskij definisce la propria idea estetica, il più importante documento sulla sua vita e le sue opere. In un primo momento dei diari furono pubblicati alcuni estratti, in traduzione inglese e tedesca, ma solo nel 2002 uscì la prima edizione integrale, curata dal figlio, per una piccola casa editrice fiorentina, le Edizioni della Meridiana.

Nel 1972 Tarkovskij realizzò Solaris, tratto dall’omonimo romanzo di Stanislaw Lem. Il film racconta una spedizione scientifica sul pianeta Solaris, un pianeta in cui avvengono strani fenomeni. Kris Kelvin, lo scienziato inviato a risolvere il mistero, scopre che l’oceano del pianeta è una vera e propria entità senziente che materializza il passato e i ricordi. La complessa atmosfera metafisica di quest’opera fu sottovalutata e si preferì puntare tutto sull’aspetto fantascientifico. Il film fu infelicemente presentato in occidente come “la risposta sovietica a 2001: Odissea nello spazio” ed ebbe alterne fortune. In Italia Solaris fu affidato a Dacia Maraini, che vi operò profondi cambiamenti: gli iniziali quaranta minuti del film furono tagliati e altre scene arbitrariamente rimontate, ovviamente senza il consenso di Tarkovskij, che nemmeno era stato informato e che, in seguito, intentò senza successo una causa legale contro la Maraini. Questa versione del film – peraltro doppiata in maniera disastrosa – circolò in Italia per quasi un trentennio, fino alla riedizione nel 2001 della versione integrale.

Terminato Solaris Tarkovskij iniziò a lavorare a Un bianco giorno, un film a carattere autobiografico, che uscì nel 1974 con il titolo definitivo Lo specchio (Zerkalo). Si tratta senza dubbio del film più personale ed ermetico del regista. Vadim Ivanovič Jusov che era sempre stato l’operatore di fiducia di Tarkovskij, rifiutò di girare il film perché considerava presuntuoso il progetto. Una volta uscito nelle sale però, Jusov ammise di aver avuto torto e si complimentò con Tarkovskij. In effetti Lo specchio è un’opera di grande fascino che esibisce un virtuosismo tecnico sconfinato, nell’uso della macchina da presa e nel lavoro sul colore, un virtuosismo finalizzato alla creazione di un’atmosfera eterea in cui il presente, il passato e i sogni sono fusi in unico blocco atemporale, su cui si innestano immagini d’archivio di soldati dell’Armata Rossa impegnati nella seconda guerra mondiale, in una lirica ricostruzione della storia della Russia.

L’ostilità del regime nei confronti di Tarkovskij, dopo questo film, diventò ancora più aspra. Il film fu ostacolato in ogni modo, se ne impedì la partecipazione a qualsiasi festival, nazionale e internazionale, mentre in patria fu considerato un film di terza categoria, la meno importante, per cui andò in programmazione solo per tre settimane e solo in piccole sale di periferia. A Tarkovskij fu inoltre impedito di girare altri film. Tra le altre idee sviluppate mai tradotte su schermo figurano la riduzione de L’idiota di Dostoevskij, che, nelle idee di Tarkovskij, avrebbe dovuto essere il suo film più importante e al quale lavorò dal 1971 al 1983 quando, ormai esule, capì che non avrebbe mai girato un film sul Vangelo di Luca.

Tra il 1976 e il 1977 Tarkovskij si dedicò al teatro e mise in scena a Mosca l’Amleto di Shakespeare, con Anatolij Solonicyn nel ruolo del principe di Danimarca. A partire dal 1978, grazie a un permesso speciale del Presidium del Soviet Supremo, Tarkovskij riprese a girare: iniziò la lavorazione di Stalker, tratto da Picnic sul ciglio della strada, un romanzo di fantascienza dei fratelli Strugackij, che uscì nel 1979.

Stalker racconta un viaggio all’interno di una misteriosa Zona, di cui si dice esista una stanza in cui si esaudiscono i desideri. Protagonisti del viaggio sono lo stalker, cioè la guida che sa come muoversi dentro la Zona, uno scienziato e uno scrittore. Lo sviluppo narrativo è quasi inesistente, ma il film è uno dei più suggestivi girati da Tarkovskij. Lentissime carrellate su pavimenti d’acqua, dialoghi filosofici e un’atmosfera da apocalisse post-atomica, che impregna ogni immagine, rendono il film enigmatico e sfuggente, probabilmente il vertice figurativo di Tarkovskij.

L’ostracismo del regime calò sulla pellicola: per volere dell’autorità sovietica il film fu presentato al festival non competitivo di Rotterdam, precludendogli la possibilità di concorrere a Cannes, dove fu comunque presentato a sorpresa riscuotendo un grande successo. Nel luglio del 1979 Tarkovskij ottenne il permesso di espatrio per recarsi in Italia per prendere contatti con la RAI. La moglie di Tarkovskij e il figlio furono trattenuti in URSS a garanzia del suo ritorno. In Italia Tarkovskij iniziò a girare assieme a Tonino Guerra Tempo di viaggio, un documentario per la RAI e, sempre con Guerra, iniziò il progetto di Nostalghia. Due mesi dopo ritornò in Unione Sovietica. ( Wikipedia )

 

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1898: Cannonate a Milano

Le sommosse si svilupparono in seguito ad anni di tensioni interne allo Stato. Se da un lato, infatti, si resero più democratiche le istituzioni rendendo elettivi i sindaci dei comuni ed i presidenti delle deputazioni provinciali nel 1888 e si diede l’avvio al moderno codice penale Zanardelli, entrato in vigore il 1º gennaio 1890, dall’altro però vi furono gravissime lacune nei confronti del benessere dello stato, fra queste la guerra delle tariffe doganali aperta nei confronti della Francia e le finanze che subirono il contraccolpo della disastrosa guerra coloniale in Africa culminata con la sconfitta di Adua. Le ripercussioni nella politica interna italiana furono rilevanti anche perché sopraggiunsero in un momento di gravi tensioni politiche e sociali, si pensi agli scontri avvenuti nella sola Sicilia in quegli anni con i “fasci siciliani” o le organizzazioni anarchiche della Lunigiana e delle Camere del lavoro socialiste del nord verso le quali erano state applicate violente misure repressive e sancite condanne da parte di tribunali militari. Anche nel campo della borghesia la situazione non era priva di contrasti, si presentavano vaste le ripercussioni di fallimento d’imprese edilizie e di banche a cui si erano aggiunti scandali politici che già avevano investito pure Giovanni Giolitti per fidi concessi a Francesco Crispi della Banca Romana. Le proteste contro di quella che fu definita dalla stampa d’opposizione dell’epoca una “politica autoritaria, megalomane e militarista” del Presidente del Consiglio Crispi avevano assunto il carattere d’un vasto movimento d’opinione pubblica che lo aveva costretto a ritirarsi nel 1896. Il governo Di Rudinì si trovò così a rispondere all’esasperazione e il malcontento delle masse dovuto oltretutto ad un altro rincaro del pane causato dal rialzo dei costi del trasporto marittimo connesso con le tensioni tra Spagna e USA e che sfociò nella guerra ispano-statunitense. Il 1º dicembre 1897 il Ministro del Tesoro Luigi Luzzatti presentò la chiusura dei conti di fine anno con un avanzo di 17 milioni di lire e il raggiungimento di buoni risultati grazie ai pesanti tagli della spesa pubblica, ma invece di impiegare tali fondi per gli urgenti bisogni sociali, essi furono destinati a sostegno d’apparati burocratici e di credito. Il malcontento popolare e le manifestazioni che negli ultimi mesi del 1897 si erano dimostrate sempre più forti, a partire dal gennaio del 1898 trovarono un largo consenso. ( Wikipedia )

Cole: Pensiero Socialista

Il socialismo gildista (Guild Socialism) è un movimento politico sociale creato da Arthur Joseph Penty, un architetto con interessi politici[10] che all’inizio del suo interessamento alle questioni politico-sociali faceva parte della Fabian Society. Questo movimento venne poi reso noto al grande pubblico dalla personalità di George Douglas Cole e di altri ex membri incontrati all’interno della Fabian Society, come ad esempio A. R. Orage, S. G. Hobson e Bertrand Russell. Questo è un movimento che si occupava principalmente della gestione delle industrie inglesi. Secondo il pensiero del Guild Socialism gli operai che lavoravano nelle fabbriche, riuniti in sindacati, non dovevano solo occuparsi delle contrattazioni delle loro condizioni di lavoro, ma avrebbero dovuto avere il potere di prendere decisioni fondamentali sul funzionamento della fabbrica stessa, divenendone così gli imprenditori e i lavoratori allo stesso tempo. Questi gruppi autogestiti di lavoratori avrebbero poi dovuto stipulare direttamente un contratto con il pubblico, cioè con lo Stato stesso. L’attività del Giuld Socialism ebbe un grande impatto soprattutto nei primi due decenni del ventesimo secolo. Questo pensiero si basa su come era organizzato il lavoro durante il medioevo in Inghilterra, infatti in quel periodo era presente un’autoregolazione e un autogoverno della professione da parte degli artigiani, riuniti in corporazioni di lavoratori. In quel periodo queste corporazioni presero con il tempo molto potere, fino ad arrivare a governare intere città. Ma, per l’ideologia del Guild Socialism questa tradizione di supremazia dei lavoratori venne interrotta dalla corsa, non regolamentata, al profitto e alla produzione, causata dalla rivoluzione industriale. Questa corrente di pensiero si è sviluppata fortemente nel pensiero degli intellettuali inglesi a causa del contesto politico e sociale che andavano vivendo. Infatti prima dello scoppio della prima guerra mondiale gli intellettuali concordavano con il programma politico-industriale della Germania, basato sul controllo dell’industria da parte dei privati. Ma quando l’Inghilterra scese in campo contro la Germania tutti i pensatori inglesi si sentirono in dovere di creare una politica interna ad esclusivo stampo inglese per differenziarsi dalla politica tedesca[24]. Il risultato fu proprio quello del Guild Socialism. ( Wikipedia )

Storia della Filosofia Antica – Dalle origini a Socrate

Storia della filosofia antica offrono il quadro critico più completo e aggiornato del pensiero filosofico e scientifico greco-romano oggi disponibile in lingua italiana. L’opera non è rivolta solo agli specialisti, ma propone uno strumento di studio e di informazione culturale accessibile a un pubblico colto e agli studenti. Il suo intento consiste infatti nel riportare alla luce, e riproporre all’attenzione della cultura contemporanea, quel ricco giacimento di razionalità critica, di opzioni etico-politiche, di prospettive teoriche, che quel pensiero ha elaborato con una potenza argomentativa e una libertà intellettuale che hanno pochi paralleli nella storia della filosofia occidentale. Dalle coste dell’Asia Minore a quelle della Sicilia e dell’Italia meridionale, passando per Atene, i numerosi pensatori che siamo soliti chiamare filosofi presocratici si distinguono per una curiosità quasi inesauribile, che li conduce a indagare la realtà in tutti i suoi più disparati aspetti. Si assiste così a una prima riflessione sulla natura e sul suo rapporto con gli dei; sull’uomo e sulla politica; sul linguaggio e sull’arte dei ragionamenti. Temi che s’intersecano e con cui anche i filosofi successivi dovranno confrontarsi. ( tratto da Carocci.it )

Lugano: Iconografie del Passato

In epoca romana Lugano, il cui nome romano era Luganum, era il terminale della via Varesina, che metteva in comunicazione Milano con Lugano passando da Varese, da cui il nome della strada. I primi documenti indicanti l’esistenza della città moderna sono datati 875. Già nel 724 però il borgo di Lugano veniva nominato nella donazione che re Liutprando fece a San Carpoforo di Como. Nel medioevo, per secoli, Lugano come le altre terre dell’attuale Cantone Ticino seguirono le vicende dei vicini Comuni lombardi di Como e Milano, i cui conflitti ebbero spesso come campo di battaglia proprio la regione che costituisce ora la Svizzera italiana. Del secolo XIV sono i primi Statuti, a noi solo in parte noti, redatti sulla falsariga di quelli di Como del 1335. Ci sono invece pervenuti integralmente gli statutari luganesi del 1441 basati su quelli anteriori. Nel 1449, quando il borgo ricadde per breve tempo sotto la signoria di Como, quest’ultima si affrettò tuttavia ad imporre nuovamente la propria legislazione particolare. Tali contese si chiusero con l’avvento del definitivo predominio di Milano, sotto la signoria dei Visconti, attorno alla seconda metà del XIV secolo. La città fu occupata prima dai soldati francesi del Mondragon, poi dagli Svizzeri nel 1512. Dunque, dopo più di cento anni di dominio da parte della potente città lombarda, in concomitanza con la perdita dell’indipendenza del Ducato di Milano e con le invasioni straniere in Italia, s’instaurò il quasi trisecolare governo dei Confederati (1521-1798). La città era fortificata e dove oggi sorgono il Palacongressi e Villa Ciani si poteva scorgere un castello costruito dai comaschi nel 1286, ricostruito da Ludovico il Moro nel 1498 e consegnato dai francesi ai confederati il 26 gennaio 1513 dopo un assedio durato sei mesi. La costruzione fu definitivamente abbattuta dagli svizzeri (prevalentemente per motivi di costi di manutenzione) dopo la conquista del territorio luganese. ( Wikipedia )

Cervantes: Don Chisciotte della Mancia

Don Chisciotte della Mancia ( El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha ) è un romanzo spagnolo di Miguel de Cervantes Saavedra, pubblicato in due volumi, nel 1605 e 1615. È annoverato non solo come la più influente opera del Siglo de Oro e dell’intero canone letterario spagnolo, ma un capolavoro della letteratura mondiale nella quale si può considerare il primo romanzo moderno. Vi si incontrano, bizzarramente mescolati, sia elementi del genere picaresco sia del romanzo epico-cavalleresco, nello stile del Tirant lo Blanch e del Amadís de Gaula. I due protagonisti, Alonso Chisciano (o Don Chisciotte) e Sancho Panza, sono tra i più celebrati personaggi della letteratura di tutti i tempi.  Il pretesto narrativo ideato dall’autore è la figura dello storico Cide Hamete Benengeli, di cui Cervantes dichiara di aver ritrovato e fatto tradurre il manoscritto arabo, nel quale sono raccontate le vicende di Don Chisciotte. Oltre l’artificio letterario dal forte valore parodico, l’invenzione di questo narratore inaffidabile e di altri filtri narrativi destinati a creare ambiguità nel racconto è una delle più fortunate innovazioni introdotte da Cervantes. L’opera di Cervantes fu pubblicata nel 1605 quando l’autore aveva 57 anni. Il successo fu tale che Alonso Fernández de Avellaneda, pseudonimo di un autore fino ad oggi sconosciuto, pubblicò la continuazione nel 1614. Cervantes, disgustato da questo sequel, decise di scrivere un’altra avventura del Don Quijote – la seconda parte – pubblicata nel 1615. Con oltre 500 milioni di copie, è il romanzo più venduto della storia. ( Wikipedia )

Argan: Arte Moderna

Sebbene la scultura d’arte moderna e l’architettura siano state riconosciute solo alla fine del diciannovesimo secolo, gli inizi della pittura moderna possono essere riconosciuti precedentemente. L’anno che in genere si considera convenzionalmente come il punto d’inizio dell’arte moderna è il 1863, cioè l’anno in cui Édouard Manet esibì il suo dipinto Colazione sull’erba a Parigi. Si potrebbero prendere in considerazione date ancora precedenti a questa: il 1855 quando Gustave Courbet esibì L’atelier dell’artista. Secondo lo storico dell’arte H. Harvard Arnson, comunque, “Tutte queste date hanno un significato nello sviluppo dell’arte moderna, ma marcano una data assoluta d’inizio di una nuova arte … Una graduale metamorfosi è accaduta nel corso di un centinaio di anni.”  Il filo di pensiero che conduce all’arte moderna può essere ricondotto all’Illuminismo, e anche al diciassettesimo secolo. Il critico d’arte moderna Clement Greenberg chiamò Immanuel Kant “il primo vero modernista” ma segnò anche una distinzione: “L’illuminismo criticò dall’esterno … Il Modernismo critica dall’interno”. La Rivoluzione francese del 1789 sradicò presunzioni e istituzioni che per secoli erano state accettate attraverso piccole domande, e avvicinò il popolo ad una vigoroso dibattito politico. Questo sollevò la consapevolezza del popolo, o come disse Ernst Gombrich: “una consapevolezza che permette alle persone di scegliere come vivere esattamente come si sceglie la fantasia della carta da parati”. ( Wikipedia )

 

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Stirner: un Vagabondo dello Spirito

In una delle risposte che Stirner riserva ai critici del suo Der Einzige und sein Eigenthum, ovvero quella diretta a Kuno Fischer, troviamo, implacabile e loquace, questa sentenza: « Feuerbach dimentica che l’“uomo” non esiste, che esso è un’astrazione arbitraria. Ma egli lo colloca come ideale. Qual meraviglia che l’“uomo” diventi allora un misterioso impersonale essere generico, corredato di forze misteriose».
In poche righe le fondamenta su cui poggia l’architettura antropologica costruita da Feuerbach nell’Essenza del cristianesimo cedono sotto il peso di una denuncia senza mezzi termini: «l’uomo come tale, l’uomo di per sé» – di cui Feuerbach ha cercato appunto di tracciare la consistenza essenziale – non esiste, è «un’astrazione arbitraria» e, dunque, priva di qualsivoglia valore oggettivo o fondamento ontologico. Lo spiazzante ammonimento che qui Stirner lancia a Feuerbach è estremamente rilevante: non solo perché, in qualche modo, preannuncia e introduce delle questioni sulle quali si soffermeranno autori quali Nietzsche e più tardi Foucault, ma poiché in esso si condensano diversi motivi polemici dell’Unico, i quali convergono in una generale critica dell’umanismo e della domanda a esso sotteso: «che cos’è l’uomo ?».
Si può dire che l’invettiva contro l’umanismo feuerbachiano e il liberalismo umanitario – che intorno a quello si andava formando all’epoca in
cui Stirner scrive – percorre tutta l’opera stirneriana, la cui prima parte è significativamente intitolata «L’Uomo». La specifica preoccupazione di Stirner di isolare e problematizzare l’apparentemente innocuo e, in fondo, legittimo interrogativo umanista e il desiderio teoretico che lo accompagna, è motivata dalla volontà di mostrare la palese complicità che questi tradiscono. ( Tratto da Unimi di Michele Mosca )

L’Attentato di Via Rasella a Roma

L’attentato di via Rasella fu un’azione della Resistenza romana condotta il 23 marzo 1944 dai Gruppi di Azione Patriottica ( GAP ), unità partigiane del Partito Comunista Italiano, contro un reparto delle forze d’occupazione tedesche, l’11ª Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment “Bozen”, appartenente alla Ordnungspolizei ( Polizia d’ordine ) e composto da reclute altoatesine.

Le motivazioni dell’attentato sono diverse: secondo un’intervista resa nel 1946 dal gappista Rosario Bentivegna, «scuotere la popolazione, eccitarla in modo che si sollevasse contro i tedeschi»; secondo la deposizione di Giorgio Amendola al processo Kappler (1948), indurre i tedeschi al rispetto dello status di Roma città aperta smilitarizzando il centro urbano; secondo la Commissione storica italo-tedesca (2012), contrastare l’occupante e «scuotere la maggioranza della popolazione civile dallo stato di attesa passiva in cui versava».

Fin dalle prime reazioni, l’attentato è stato al centro di una lunga serie di controversie ( anche in sede storiografica ) sulla sua opportunità militare e legittimità morale, che lo hanno reso un caso paradigmatico della «memoria divisa» degli italiani.

Nella tarda serata del 23, mentre già era in corso di compilazione la lista degli ostaggi da fucilare, Kappler diede ordine di cercare gli attentatori, ma senza curarsi dell’esecuzione di tale direttiva e senza attivare la polizia italiana; secondo la sentenza di primo grado del processo a suo carico (1948), «La ricerca degli attentatori non costituì l’attività prima del comando di polizia tedesca, ma fu effettuata in maniera blanda come azione marginale e successiva alla preparazione degli atti di rappresaglia». Né la radio tedesca né quella repubblichina diedero notizia dell’attentato (fu anzi diramata una velina con l’ordine di non parlarne).

Nell’eccidio delle Fosse Ardeatine, compiuto il 24 marzo, furono uccisi quasi tutti i detenuti nelle carceri di via Tasso e Regina Coeli, tra cui il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo e Pilo Albertelli, comandanti rispettivamente della resistenza militare e delle Brigate Giustizia e Libertà del Partito d’Azione. Soltanto il giorno dopo, a mezzogiorno del 25 marzo, i tedeschi diedero (assieme alla notizia di avere già eseguito la rappresaglia) notizia ufficiale dell’attentato, mediante la pubblicazione sui giornali del seguente comunicato, che era stato emanato dal comando tedesco di Roma alle 22:55 del 24 marzo:

«Nel pomeriggio del 23 marzo 1944, elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bomba contro una colonna tedesca di Polizia in transito per via Rasella. In seguito a questa imboscata, 32 uomini della Polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti badogliani. Sono ancora in atto indagini per chiarire fino a che punto questo criminoso fatto è da attribuirsi ad incitamento anglo-americano.

Il Comando tedesco è deciso a stroncare l’attività di questi banditi scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il Comando tedesco, perciò, ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti-badogliani saranno fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito.» ( Fonte: Wikipedia )

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Il Pinocchio reinterpretato da Dossi & Motta

Il Pinocchio dell’editore Renato Bianconi è disponibile ancora oggi grazie alla Casa editrice Cliquot. A Collodi, Bianconi ha soltanto chiesto in prestito il personaggio, l’ambientazione e i personaggi comprimari: per il resto, il burattino disegnato da Sandro Dossi vive avventure a sé stanti. Non è dunque una trasposizione a fumetti del romanzo ma ne utilizza i protagonisti e l’universo narrativo per dar vita a storie del tutto nuove: naturalmente semplici e ilari come da tradizione bianconiana. Il Pinocchio bianconiano comparve in edicola tra il 1974 e il 1980, sull’onda del successo dello sceneggiato televisivo firmato da Luigi Comencini, dopo che si erano liberato i diritti del personaggio. 

STORIA EDITORIALE: Nel 1973, a seguito dell successo dello sceneggiato televisivo Le avventure di Pinocchio dell’anno precedente, Alberico Motta, insieme ai colleghi fumettisti delle Edizioni Bianconi, Sandro Dossi e Pierluigi Sangalli, propose all’editore una serie a fumetti ispirata al personaggio di cui, tra l’altro, erano anche da poco scaduti i diritti d’autore.

La serie venne pubblicata come albo a fumetti per 95 numeri suddivisi in due serie dal 1974 al 1980. Testi e disegni sono prevalentemente di Tiberio Colantuoni e Alberico Motta con collaborazioni di Pierluigi Sangalli e Sandro Dossi; dal 1976 le storie vengono affidate a Nicola Del Principe che introduce nella testata altri personaggi tra cui Lupo Gianni, Polibio, Lion Rock e Lillone. Dopo la conclusione, la serie venne ristampata nel 1983 nella collana R.A.F.; nel 1988 alcune storie vennero ristampate nella nuova testata omonima che venne pubblicata dal 1988 al 1993 per 16 numeri. ( Wikipedia )

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La Certosa di Trisulti

Una prima abbazia benedettina fu fondata nel 996 da san Domenico di Sora: di essa restano alcuni ruderi a poca distanza dall’odierno complesso. L’abbazia attuale fu costruita nel 1204 nei pressi della precedente, ma in un sito più accessibile, per volere di papa Innocenzo III dei conti di Segni e fu assegnata ai Certosini. La chiesa abbaziale di San Bartolomeo fu consacrata nel 1211. Il nome Trisulti deriva dal latino tres saltibus che è il nome con cui veniva chiamato un castello del XII secolo gestito dai Colonna e che dominava i tre valichi ( i “salti” ) che immettevano rispettivamente verso l’Abruzzo, verso Roma e verso l’area meridionale dello Stato della Chiesa. Tale castello è andato distrutto, ne rimangono alcune rovine. In seguito il nome si estese a tutta la zona situata su tre appendici (tres saltibus) del monte Rotonaria. Il complesso nel corso dei secoli è stato ampliato e modificato più volte, e si presenta attualmente con forme essenzialmente barocche. Nel 1947 è passato alla Congregazione dei Cistercensi di Casamari. La chiesa è dedicata alla la Vergine Assunta, a san Bartolomeo e al fondatore dei certosini san Bruno ed è stata più volte rimaneggiata, cosicché all’originaria struttura gotica si è sovrapposto un impianto decorativo barocco; la facciata è del 1798 ed è stata realizzata dall’architetto Paolo Posi. L’interno è suddiviso da un’iconostasi in due parti: quella dei conversi e quella dei padri, conformemente alla tradizione certosina. Alla base dell’iconostasi trovano posto i resti di due martiri cristiani, in seguito vestiti da cavalieri. Notevoli i due cori lignei: uno, del 1564, è opera del certosino Mastro Iacobo, mentre l’altro è stato realizzato nel 1688 per opera del certosino fratello Stefano. Nella chiesa sono conservate pregevoli opere pittoriche di Filippo Balbi, tra cui un dipinto sulla strage degli innocenti. Gli affreschi della volta, raffiguranti una Gloria del Paradiso, sono stati realizzati da Giuseppe Caci nel 1683; sua è anche la pala d’altare che raffigura una Madonna in trono con il Bambino e i santi Bartolomeo e Bruno.

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Sommergibile Ammiraglio Millo

Dal maggio all’ottobre 1941 fu impegnato nell’addestramento dell’equipaggio, divenendo effettivamente operativo il 15 settembre. Per via delle sue grandi dimensioni fu adibito al trasporto di rifornimenti. Il 6 marzo 1942 fu dislocato a sudest di Malta nell’ambito dell’operazione «V. 5», a protezione di un convoglio italiano carico di rifornimenti diretti in Libia (il Millo, assieme ad altri sommergibili, avrebbe dovuto attaccare delle eventuali unità di superficie partite da Malta per attaccare il convoglio). Sei giorni dopo, non avendo trovato navi nemiche, intraprese la navigazione di rientro. Alle 13.23 del 14 marzo, mentre, proveniente da Capo dell’Armi, navigava a zig zag in superficie alla volta di Taranto per rientrare in porto, fu avvistato dal sommergibile britannico Ultimatum, che gli lanciò una sventagliata di quattro siluri: due delle armi andarono a segno rispettivamente a centro nave e a poppavia della torretta, provocando il repentino affondamento del Millo in posizione 38°27′ N e 16°37′ E (al largo di Punta Stilo). Affondarono con il sommergibile il comandante Amato, altri due ufficiali e 52 fra sottufficiali e marinai ( altre fonti indicano un totale di 57 vittime ), mentre il comandante in seconda tenente di vascello Marcello Bertini (che nel dopoguerra scrisse per l’ufficio storico della marina un fondamentale testo sui sommergibili italiani in Mediterraneo), altri tre ufficiali, due sottufficiali e otto marinai furono tratti in salvo ( e catturati ) dall’Ultimatum. Un ultimo sopravvissuto, il sergente elettricista Lingua, fu salvato da una barca partita dalla costa ( da dov’era stato visto l’affondamento ) alle 14.08. ( Wikipedia )

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Napoleone & L’Industria Tessile nel Salernitano

Durante il regno di Gioacchino Murat (1808-1815) alcune famiglie svizzere avviarono l’industria tessile nell’Agro Nocerino Sarnese. Il principale motivo di questa emigrazione è l’embargo Napoleonico ai produttori ed esportatori inglesi ed americani, che danneggiava indirettamente i tessitori svizzeri. Questi avevano convenienza a trasferire le loro produzioni nel sud Italia, dove trovavano fiumi (per la forza motrice), mano d’opera contadina, già esperta di tessitura che era presente in zona in forma di artigianato e produzione domestica, ed estese coltivazioni di cotone. Inoltre, dapprima il regno napoleonico, e in seguito quello borbonico, applicarono diversi incentivi economici. Gli stabilimenti delle Manifatture Cotoniere Meridionali di Fratte di Salerno.
Nel 1835[2] l’area dell’Irno presentava dunque già una certa concentrazione di industria tessile. Federico Alberto Wenner, un industriale svizzero, giunto a Salerno nel 1829, fonda insieme ad altri suoi connazionali le industrie tessili di Fratte di Salerno. Nel 1918 vengono nazionalizzati gli stabilimenti, con il nome di Manifatture Cotoniere Meridionali s.p.a., che nel frattempo erano passate al figlio Roberto Wenner. Oltre all’industria di Fratte il gruppo comprendeva gli stabilimenti campani di Poggioreale, Angri, Nocera, Piedimonte, Pellezzano e il Cotonificio di Spoleto. ( Wikipedia )

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La Via della Sete

Le “Vie della Sete” sono i sentieri tortuosi percorsi da Ardito Desio durante le scorribande scientifiche che fece, a partire dal 1926, fino al 1940. Nel 1930 Ardito Desio visitò, per scopi geologici, la Cirenaica e la Sirtica e nel 1931, per incarico dell’Accademia d’Italia presieduta da Guglielmo Marconi, attraversò il Sahara libico con una grande carovana di cammelli, rientrando alla costa attraverso il Fezzan orientale. Anche in questa occasione compì studi di carattere geologico e geomorfologico, pubblicati in quattro volumi. Nel 1932 visitò a scopo geologico il retroterra cirenaico fra le oasi di Giarabub, Gialo, Marada e la costa del Mediterraneo. Nel 1933 diresse una spedizione italiana che operò nell’Iran, scalando per la prima volta parecchie cime superiori a 4000 m nella catena dello Zagros e il Demavend ( 5771 m ) per il versante ovest. In questa occasione segnalò la presenza di piccoli ghiacciai in quel paese. Dal 1936 venne incaricato dal governo della Libia di creare il Museo Libico di Storia Naturale e di dirigere le ricerche geologico-minerarie e di acque artesiane nel sottosuolo. Scoprì un giacimento di sali di magnesio e potassio (carnallite) nell’oasi di Marada e l’esistenza di idrocarburi nel sottosuolo libico, estraendo nel 1938 i primi litri di petrolio. Il programma di ricerche petrolifere per il triennio successivo – da sviluppare con il concorso dell’AGIP – prevedeva, nel quadro dei suoi studi sull’intero territorio libico (sintetizzati nella sua carta geologica di tutta la Libia), indagini nella Sirtica, da lui studiata per la prima volta dal punto di vista geologico, ed è proprio in quell’area che vari anni dopo vennero trovati da società statunitensi i maggiori giacimenti di idrocarburi della Libia. Lo scoppio della guerra impedì lo sviluppo di tale programma: comunque, prima di lasciare quel paese, 18 dei pozzi perforati per ricerche idriche davano manifestazioni di petrolio. Nel 1936 individuò una ricchissima falda acquifera artesiana che venne impiegata per l’irrigazione di vaste aree della provincia di Misurata e che consentì la colonizzazione e la trasformazione agraria di quel territorio semidesertico. Nello stesso anno prese parte al primo volo sul massiccio del Tibesti (Sahara Orientale) e lungo i confini meridionali della Libia, organizzato dal governatore Italo Balbo. Nello stesso anno effettuò l’esplorazione geologica del Fezzan (per incarico della Società Geografica Italiana), di cui illustrò per la prima volta la costituzione geologica. Nel 1937 e 1938 effettuò due missioni geologico-minerarie nell’ovest etiopico (Uollega e Beni Shangul) fra il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro, ove trovò giacimenti di oro, molibdenite e mica. La sua missione venne assalita dai ribelli perdendo parecchi uomini, fra i quali due dei cinque italiani. Nel 1940 diresse una spedizione geologica nel Tibesti, esplorandone il settore nord-orientale. Nello stesso anno organizzò e diresse anche una missione geologico-mineraria in Albania (bacino del Drin Nero) per ricerche di platino, missione interrotta dalle vicende belliche. ( Wikipedia )

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Libreria Aiace Roma via Ojetti 36 Montesacro – Nomentana – Talenti

La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri & Letture

Musica Arbereshe in Basilicata – Tradizioni by Libreria Aiace

Basilicata: Musica Arbereshe

San Costantino Albanese conserva ancora oggi, a distanza di circa cinque secoli dalla sua fondazione, gli usi, i costumi, le tradizioni, la lingua e il rito religioso della terra d’origine. Per mantenere queste peculiarita’, fondamentali per l’identita’ di un popolo e per non essere sottomessi all’impero Ottomano, gli albanesi decisero di scegliere una nuova terra dove vivere e conservare la loro cultura e le loro tradizioni, mantenendole nel tempo; questa nuova terra è stata ed è l’Italia meridionale.
A San Costantino Albanese si parla quotidianamente l’antica lingua albanese, tramandata oralmente. Nel 1908 l’alfabeto albanese venne codificato grazie anche all’aiuto di letterati italo-albanesi. La conservazione della lingua è dovuta in parte anche all’appartenenza alla diocesi Italo-Albanese di Lungro (CS) e al rito Greco-Bizantino con il quale si celebra la messa, officiata in lingua albanese. La celebrazione del matrimonio, ricca di simbologia e fascino orientale, il battesimo, durante il quale viene impartita anche la cresima e la prima comunione, il ricordo dei defunti, che dura una settimana, a febbraio, con la distribuzione del grano cotto e tutte le altre feste, rendono il nostro rito unico, un patrimonio da conservare e valorizzare insieme a tutti gli altri elementi che caratterizzano la nostra comunita’.
Il nostro paese è da considerarsi vivo dal punto di vista culturale. Sono presenti gruppi che fanno rivivere le antiche musiche, gli antichi canti, le danze e il folklore arbëresh e svolgono le proprie manifestazioni sia in Italia che all’estero. Importante è la produzione musicale e bibliografica.
Altro importante e caratterizzante elemento della nostra cultura sono gli antichi e preziosissimi abiti tradizionali, riccamente ricamati con filigrana d’oro e d’argento.
A San Costantino Albanese, durante le celebrazioni della Festa della Madonna della Stella, viene proposto uno spettacolo unico in Italia: l’accensione dei “Nusazit”, pupazzi in cartapesta. I pupazzi antropomorfi di cartapesta sono costruiti con opportune intelaiature (armaxhi) di legno, e sono poi vestiti con i costumi raffiguranti elementi del folclore locale. Tali pupazzi sono riempiti opportunamente con polvere pirica e razzi al fine di generare un moto (in alcuni rotatorio intorno al proprio asse in altri di altro tipo) che si conclude per ognuno di essi con la detonazione finale.
Si tratta di pupazzi a grandezza naturale che raffigurano i seguenti personaggi: una donna (nusja), un pastore (Kapjel picut), due fabbri (furxharet) e il diavolo (djallthi). La valorizzazione delle nostre tradizioni e la grande volonta’ di conservare le importanti peculiarita’ esistenti, sono prioritarie e l’Amministrazione Comunale, coadiuvata dalle associazioni culturali, si adopera affinche’ il nostro importante patrimonio non vada disperso. ( Tratto da Regione Basilicata )

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Libri & Letture

Un Catalogo di 500 Libri Rari by Libreria Aiace Roma Montesacro

Sapegno: La Divina Commedia

Ed è appunto nel buon padre Dante che ora mi raccolgo anch’io: e leggo l’Inferno adagio adagio con pazienza di analisi minuta piena d’amore, quell’analisi che s’attarda sul significato e sul valore di ogni verso, di ogni parola, d’ogni mossa dantesca. E quando, sorgendo da questa visione analitica, mi rileggo o mi ridico gli interi canti, sento maggiore e più ricca la loro coesione sintetica meravigliosa: solo vedendo tutta l’infinita abbondanza dei particolari, la sintesi ci parrà poi ricca e piena, non di poco ma di molto – non la vacua unità del punto senza dimensioni, ma la solida unità della sfera con tutto l’infinito suo.
Lettera di Natalino Sapegno a Carlo Levi, settembre 1920 (Fondazione N. Sapegno)

Il colloquio di Sapegno con Dante, annunciato in quella lettera, continuerà per tutta la sua vita. Il celebre commento alla Commedia ( 1955-57 ), preparato da precoci recensioni e, successivamente, da approfonditi corsi universitari, racchiude alla metà degli anni Cinquanta una riflessione critica durata più di trent’anni.

Ad esso soprattutto la memoria collettiva lega l’immagine stessa di Sapegno dantista, come testimoniano le innumerevoli ristampe delle diverse edizioni che, continuamente aggiornate, hanno fatto conoscere fino agli anni Novanta il capolavoro dantesco agli studenti italiani.
La diffusione di quel commento, seguito da numerosi altri saggi, interventi e articoli dedicati all’Alighieri, ha fatto di Sapegno il maggior ambasciatore di Dante nel mondo.

In occasione del centenario dantesco del 1965 il critico fu infatti chiamato a tenere numerose conferenze in Italia (Ravenna, Padova, Ferrara, Verona) e all’estero: Cambridge, Manchester, Oxford, Londra, Praga, Parigi, Harvard e Yale. In quest’ultima università Sapegno affidò alle nuove generazioni il testo e il messaggio del «padre Dante»:
È accaduto a Dante […] di essere colui che attesta i valori della civiltà passata, quei valori che meritano di essere conservati come un retaggio, ai quali
l’umanità ritornerà dopo il momento della crisi e della rottura. […] Ora, certi valori che sono alla radice dell’invenzione stessa dell’opera dantesca […] sono valori che la civiltà di oggi viene a poco a poco e lentamente ricuperando, dopo e attraverso secoli di fratture violente, di lacerazioni, di lotte, di distruzione. E in questo senso noi ci auguriamo che il messaggio dantesco possa ancora parlare come parla agli uomini di tutte le parti del mondo; che la parola di Dante continui ad essere così com’egli la voleva, qualcosa di più di un puro messaggio poetico: non soltanto una parola bella, ma una parola persuasiva e vivente.
N. Sapegno, Come nasce la «Commedia», Yale, 16 ottobre 1965

 

Nascita e Morte della Massaia

“Nascita e morte della massaia” è il terzo romanzo di Paola Masino e sarà anche l’ultimo perché altri tentativi non verranno conclusi e altra produzione insieme ad altre attività, scrittura privata, diari, racconti, poesie, giornalismo, libretti d’opera, traduzioni, cura della pubblicazione delle opere del compagno Massimo Bontempelli dopo la sua morte, impegni sociali, viaggi, assorbiranno l’interesse della scrittrice.

Nella “Massaia” essa continuerà, nella maniera fantastica, immaginaria che le è propria, con i temi già comparsi nelle narrazioni precedenti, il difficile rapporto tra antico e nuovo, la fine dell’unità originaria tra gli elementi della vita, il contrasto tra realtà e idea, materia e pensiero, razionale e irrazionale, vita e morte, uomo e Dio. Erano temi derivati dalla precedente cultura decadente, dal suo esasperato soggettivismo, dal suo interesse per la vita interiore, quella dell’anima, dello spirito. Essi venivano continuati dagli autori dell’Occidente europeo del tempo con un fervore uguale a quello del loro comparire ed una partecipazione che avrebbe reso quegli anni tra i più importanti della storia letteraria per i risultati ottenuti nella cultura, nell’arte, nel pensiero. La Masino aveva saputo di tali temi durante la sua formazione da autodidatta, nelle sue estese letture e tramite la conoscenza diretta di molti di quegli autori italiani e stranieri. Questa era avvenuta grazie alla sua relazione col Bontempelli iniziata nel 1927 e mai smessa. Insieme saranno a Parigi, Firenze, Roma, Milano, Napoli, Venezia, scriveranno sulle stesse riviste, lui sarà uno dei personaggi del momento e lei risentirà pure del suo famoso “realismo magico”. Anche questo sarà un motivo che ridurrà la figura della Masino e il significato delle sue opere presso la critica. Ma come per ogni autore anche per lei, di là da ogni influenza particolare e da ogni atmosfera diffusa, va riconosciuta una propria individualità, va precisato che la sua produzione dice soprattutto di suoi problemi, di sue urgenze. In “Nascita e morte della massaia” il fenomeno è più evidente dal momento che qui i problemi sono vissuti e sofferti da una donna. Una donna immaginata come cresciuta, formatasi da sola, di nascosto, leggendo, pensando, vivendo d’idee. Le circostanze, invece, la faranno venire a contatto con l’esterno, con la realtà. La accetterà, accetterà un marito, una casa diversa dalla sua, più grande, con tante stanze, tanto spazio intorno, terreni, boschi, e tanta servitù, diventerà la “massaia” capace di governare una proprietà così vasta, abile nelle relazioni con altri ricchi proprietari e con le autorità, ma non smetterà di sentire il richiamo di quelle idee che l’avevano aiutata a crescere, le avevano fatto credere in una vita soltanto interiore. Le cercherà, penserà di averle trovate nel “giovane bruno”, poi in una ragazza, si legherà ad essi ma saranno ancora i nuovi interessi, le nuove occupazioni a prenderla, sarà la realtà, la materia ad obbligarla. Rifiuterà, tuttavia, di avere un figlio per non sentirsi ridotta al solo corpo, a materia che genera materia. Divisa rimarrà tra la nuova e la vecchia situazione, giungerà a non sapere più come, cosa fare e accetterà la morte come ultima possibilità di riscatto dalla venalità della vita, come estremo tentativo di tornare allo spirito. ( Tratto da EDScuola )

 

Chin P’ing Mei

Il Chin P’ing Mei racconta una storia coniugale ricca di complicazioni quanto può esserlo quella d’un uomo con sei mogli. Protagonista del romanzo, più che il dissoluto e disonesto Hsi-Mên, è Loto d’Oro, la Quinta Moglie, una donna che non bada a scrupoli per soddisfare le sue bramosie e le sue ambizioni e che non si dichiara mai vinta. Intorno a lei, la dolce e saggia Madama Luna, la Prima Moglie, che rappresenta un po’ la morale del romanzo, e il patetico personaggio di Madama P’ing, leggera ma fondamentalmente sana, e il cacciatore di tigri Wu Sung, e la mezzana Madre Wang, e una folla di minori, fino ai due malandrini Biscia e Topo di Fogna.
Il primo a scoprire il Chin P’ing Mei in Italia fu Arrigo Cajumi, che all’uscita della traduzione francese, cosi scriveva: «Certo, dalle Mille e una notte in poi, non avevamo letto nulla di più gustoso nello stesso genere».
Illustrano il volume quindici preziose tavole a colori tratte da classici inediti della pittura cinese coeva del romanzo. ( Tratto da Libreria Editrice Ossidiane )

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Selezione di 500 Libri

Libri & Letture

Aggiornato al 14 Gennaio 2023

 

Libri di Storia by Libreria Aiace Roma Montesacro

Le prigioni di Hitler. Il sistema carcerario del Terzo Reich

II sistema delle prigioni di Stato fu un ingranaggio fondamentale nella grande macchina del terrore organizzato nel Terzo Reich. In esse vennero incarcerate centinaia di migliaia di persone, oppositori politici e coloro che dovevano essere allontanati dalla società per motivi razziali: per la maggior parte del periodo in cui il partito nazista rimase al comando, in questi luoghi venne rinchiuso un numero ben più alto di persone di quante non si trovassero nei campi di concentramento. Attraverso il racconto delle storie toccanti di quanti vi furono rinchiusi, lo storico del nazismo Wachsmann descrive l’organizzazione e le funzioni delle prigioni nella Germania di Hitler, e grazie a una lunga indagine condotta tra materiali di archivio, molti dei quali inediti, traccia la storia dell’evoluzione del sistema penale, racconta gli abusi razziali, la violenza brutale, la schiavitù, gli omicidi di massa, la complicità di tutti i funzionari penali con il partito, e discute il modo in cui il sistema carcerario è stato trasformato in Germania dopo la guerra.

Negozio Online by Libreria Aiace su eBAY: Hitler

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La Storia della Radio dal 1924 al 1933

Il 6 Ottobre del 1924 nasce in Italia la prima trasmissione radiofonica. La voce è quella di Maria Luisa Boncompagni. È un programma ancora scarno, composto di musica operistica, da camera e da concerto, di un bollettino meteorologico e notizie di borsa. L’URI, Unione Radiofonica Italiana, prima società concessionaria della radiodiffusione in Italia, viene fondata il 27 Agosto 1924 come accordo tra le maggiori compagnie del settore: Radiofono, controllata dalla compagnia Marconi, e SIRAC ( Società Italiana Radio Audizioni Circolari ). L’Agenzia giornalistica Stefani è designata dal governo come l’unica fonte delle notizie che l’URI può trasmettere. Si tratta della prima agenzia di stampa italiana nata a Torino nel 1853, voluta da Cavour come portavoce della sua politica. Nel 1924 diventa proprietà di un fedelissimo di Mussolini, Manlio Morgagni che ne fa un potente strumento di regime.

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Chi ha ucciso Pecorelli ?

Il 20 marzo 1979 è stato ucciso Mino Pecorelli, giornalista con il fiuto dell’inchiesta vera, capace di scavare nel torbido degli Anni di Piombo, dalla strage di piazza Fontana al sequestro Moro. Sull’omicidio e i presunti mandanti sono stati versati fiumi d’inchiostro che hanno coinvolto personaggi legati a filo doppio a politica, servizi segreti, Banda della Magliana, banche, mafia, NAR. Andreotti, Licio Gelli, Claudio Vitalone, Massimo Carminati, Pippo Calò e tanti altri. Tutti – o quasi – i protagonisti di un’epoca che ancora ha molto da raccontare e molto di più da nascondere. Eppure, una cosa fondamentale è sempre stata tralasciata in questi quarant’anni: chi ha ucciso Mino Pecorelli ? Nella ricerca del movente e di quel «grande vecchio» che avrebbe manovrato tutto e tutti, si è persa di vista la cosa più importante: la morte di un uomo. Un delitto che, ancora oggi, non ha un colpevole.

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Majdalany: la Battaglia di Cassino

Nel gennaio del 1944, nel pieno dell’inverno, con le strade trasformate in piste di fango, gli alleati si prepararono ad assaltare una nuova linea di difesa messa in piedi dai tedeschi. Era stata battezzata “Linea Gustav” e correva dal Tirreno fino agli Appennini a una distanza di circa 130 chilometri da Roma. Per gli alleati si trattava dell’ennesima operazione contro l’ennesima postazione tedesca che erano convinti sarebbe stata abbandonata dopo i primi giorni di tenace resistenza. Non sapevano che in realtà tutta le battaglie dei mesi precedenti erano state soltanto una strategia per guadagnare tempo mentre la nuova linea veniva fortificata. Il cardine della difesa tedesca era la città di Cassino, ai piedi dell’abbazia più antica del mondo.

Nel 1944 Cassino era una piccola città di alcune migliaia di abitanti alla confluenza di due importanti strade, tra cui la statale 6, la via più facile per arrivare a Roma. La disposizione delle colline intorno alla città e il crocevia delle strade la rendeva una posizione strategicamente ideale per la difesa. Nel corso dell’inverno del 1943 i tedeschi avevano fatto di tutto per rendere questa posizione ancora più imprendibile. Trincee, gallerie sotterranee e posizione di artiglieria erano state scavate nella roccia delle colline con l’aiuto della dinamite. Carri armati e altri veicoli vennero nascosti all’interno degli edifici della città, mentre mine e altre trappole esplosive vennero sparse su tutto il territorio circostante.

Il 17 gennaio gli alleati lanciarono il primo attacco e subirono immediatamente una prima sconfitta. Per i 129 giorni successivi, senza dimostrare molta fantasia, i comandanti alleati continuarono a lanciare un assalto dietro l’altro contro il punto più munito di tutta la difesa tedesca. Oltre che di migliaia di uomini, Cassino divenne presto la tomba per la reputazione di molti generali americani e inglesi. ( Tratto da IlPost.it )

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Abbecedario del Carabiniere

La sezione “Non tutti sanno che …” raccoglie una serie di nozioni, fatti e curiosità del “mondo”, della storia dell’Arma, che vogliamo far conoscere con un duplice intento: da una parte, quello di fornire una diversa lettura della nostra storia, raccontandola attraverso la nascita e l’evoluzione dei suoi “oggetti” (le uniformi, gli stemmi, ecc.) e dei suoi reparti, ad indicare la straordinaria capacità dell’Istituzione di adeguarsi al progresso e di interpretarne le esigenze; dall’altra, anche mediante il ricordo degli autori di alcuni fatti di cronaca o d’arme, quello di evidenziare come l’Arma, riflesso “fedele” delle vicende del nostro Paese, sia sempre stata presente in ogni settore della vita sociale sin dalla sua istituzione. Certamente non tutti sanno che Garibaldi, “l’eroe dei due mondi”, è stato arrestato dai Carabinieri; che il blu dei nostri “pennacchi” sta a rappresentare la nobiltà dell’Istituzione ed il rosso è il simbolo del sacrificio, anche se il significato di questi colori non è stato mai spiegato in alcun trattato di uniformologia, né in alcun compendio storico dell’Arma; che la coccarda dipinta da Sebastiano De Albertis sulla lucerna dei Carabinieri nella “Carica di Pastrengo” non è tricolore, ma azzurra, essendo stato introdotto il tricolore due mesi dopo il 30 aprile 1848; che non è stato D’Annunzio ma il capitano Cenisio Fusi a coniare il motto “Nei secoli fedele”; ma certamente questa è per molti l’occasione per approfondire le proprie conoscenze sull’Arma e per soddisfare alcune curiosità.

E’, in definitiva, un dizionario storico per la conoscenza dell’Arma, la revisione e l’ampliamento dell'”Abbecedario del Carabiniere” di Paolo Di Paolo ( volume edito dall’Ente Editoriale per l’Arma dei Carabinieri )

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La Colomba e la Spada – Antiamericanismo PCI

La strutturazione di un antiamericanismo di massa in Europa Occidentale ha rivestito un ruolo essenziale nella politica di potenza sovietica quale espressione delle iniziative del Kominform volte a contrastare, nei primi anni della guerra fredda, l’integrazione politica, militare e socio-economica tra Europa e Stati Uniti.
Prendendo in esame il caso italiano e sulla base di una ricchissima documentazione, questo lavoro esplora le diverse articolazioni di un modello di mobilitazione politica, la «lotta per la pace», i cui caratteri sono il riflesso dell’evoluzione del bolscevismo internazionale degli anni Venti e Trenta.
Attraverso l’analisi delle direttive strategiche, dei momenti organizzativi, dei linguaggi e dei costrutti simbolici utilizzati dal Pci in ambiti quali le proteste e i movimenti di piazza, le organizzazioni frontiste, la propaganda nell’esercito, il lavoro culturale e l’arte emergono i contorni di una sensibilità ideologico-politica che ha sedimentato il «pensiero della guerra» , e il contestuale ripudio del pacifismo , come meccanismo normativo ed elemento fondante di cultura politica. ( Tratto da Rubbettino Editore )

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Tortura – Storie dell’occupazione nazista e della guerra civile 1943-1945

Attraverso fonti inedite depositate in archivi pubblici e privati Mimmo Franzinelli ripercorre il diverso uso della tortura da parte dei militari germanici e dei vari gruppi armati della Rsi, raccontando i più famigerati luoghi di sevizie, ma anche alcuni personaggi che seppero eroicamente resistere a ogni pressione. Senza nascondere che proprio grazie a questi trattamenti disumani si riuscì a infliggere danni enormi alla rete clandestina antifascista. Vengono inoltre spiegate le tecniche impiegate dalla Banda Koch, dalla Legione Muti e dai principali gruppi speciali di polizia. Si racconta di staffette partigiane cadute nelle mani del nemico, ma anche delle sevizie praticate da taluni partigiani, in violazione delle stesse norme stabilite dal CLN in materia di trattamento dei prigionieri. E nelle pagine finali si spiega come, grazie all’“amnistia Togliatti”, molti “torturatori efferati” l’abbiano passata liscia, senza rispondere penalmente dei loro crimini. Basato su imponenti fonti d’epoca, questo importante saggio storico descrive e interpreta un fenomeno di gravità eccezionale e di un’estensione superiore a quanto comunemente creduto. ( Tratto da Mondadori )

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La Grande Accelerazione – Una storia ambientale dell’Antropocene dopo il 1945

La Terra è da poco entrata in una nuova era, in cui l’uomo condiziona sempre piú massicciamente l’ecologia globale: il periodo piú anomalo nella storia della nostra relazione con la biosfera. Dalla metà del XX secolo, il ritmo accelerato dell’uso di energia, le emissioni di gas serra e la crescita della popolazione hanno spinto il pianeta dentro un gigantesco esperimento incontrollato. I numeri sono impressionanti: piú di tre quarti dell’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera ha avuto luogo dal 1945 a oggi; nello stesso periodo il numero di veicoli a motore è cresciuto da 40 a 800 milioni, la popolazione del pianeta è triplicata e gli abitanti delle città sono passati da 700 milioni a 3,5 miliardi. Un gigantesco terremoto ecologico, del quale La Grande accelerazione spiega cause e conseguenze, evidenziando il ruolo dei sistemi energetici, nonché gli andamenti dei cambiamenti climatici, ambientali e urbani. Finora, gli uomini non hanno mai gestito i cicli biogeochimici del pianeta. Ma se provassimo a controllare questi sistemi attraverso la geoingegneria, inaugureremmo un’altra fase dell’Antropocene. Quali che ne siano gli esiti. ( Tratto da Einaudi )

Svetonio: Le Vite dei Cesari

Le vite , scritte durante il regno dell’imperatore Adriano[1], furono dedicate al prefetto del pretorio C. Setticio Claro[2] e comprendono: Libro I: Cesare; Libro II: Augusto; Libro III: Tiberio; Libro IV: Caligola; Libro V: Claudio; Libro VI: Nerone; Libro VII: Galba, Otone, Vitellio; Libro VIII: Vespasiano, Tito, Domiziano.
Nell’analisi di ciascun imperatore, Svetonio segue uno schema che, anche se modificabile a seconda delle esigenze dell’autore, rimane sempre lo stesso: descrizione delle origini familiari, carriera prima dell’assunzione del potere, vita pubblica e provvedimenti relativi a Roma, vita privata, aspetto fisico e ultimi giorni prima della morte.
Come membro della corte imperiale, Svetonio utilizzò gli archivi imperiali per ricercare le testimonianze oculari e non, decreti, senatus consulta, verbali del Senato, le perdute opere di Gaio Asinio Pollione e Cremuzio Cordo e le Res Gestae Divi Augusti. Ebbe, quindi, a disposizione fonti di prima mano, anche se si servì anche di fonti non ufficiali, come scritti propagandistici e diffamatori e anche testimonianze orali, al fine di alimentare quel gusto per l’aneddoto e il curioso a cui egli dedica ampio spazio e che alcuni gli ascrivono come difetto e altri come pregio.
Sebbene, inoltre, non fosse mai stato un senatore, Svetonio sposò il punto di vista del Senato romano che aveva avuto molti conflitti con i primi imperatori. Ciononostante la sua opera riveste un ruolo importante: ad esempio, è la fonte principale per la vita di Caligola e su altri aspetti in cui mancano altre fonti, come Tito Livio o Tacito. ( Wikipedia )

La Storia del Fascismo

All’indomani della prima guerra mondiale il Regno d’Italia si trovò in una situazione economica, politica e sociale precaria e difficile. Il drammatico conto presentato dalla guerra in termini di perdite umane fu pesantissimo, con oltre 650.000 caduti e circa 1.500.000 tra mutilati, feriti e dispersi, senza contare le distruzioni occorse nell’Italia nord-orientale, divenuta fronte bellico con il dislocamento e, sovente, la perdita della casa e di ogni bene da parte di centinaia di migliaia di profughi che erano fuggiti dalle loro case trovatesi nel mezzo di assalti e bombardamenti.  Il sorgere del Regno di Jugoslavia alle frontiere orientali pose una pesante e decisiva ipoteca sulle idee di irredentismo italiano, con l’acquisizione dei territori promessi e inclusi nel patto di Londra: gli altri Alleati si erano appoggiati ai quattordici punti del presidente statunitense Woodrow Wilson per assegnare al Regno di Jugoslavia stesso ( in slavo SHS, Srbija-Hrvatska-Slovenija ) la Dalmazia, Fiume ( che secondo il trattato del 1915 sarebbe dovuto restare all’Impero austro-ungarico o, in subordine, a un piccolo Stato croato ) e l’Istria Orientale. La città – dal canto suo – aveva espresso fin dagli ultimi fuochi della guerra la volontà di essere riunita all’Italia, ponendo così il governo di Roma nell’imbarazzo di dover accettare i voti della cittadinanza fiumana e contemporaneamente entrare in urto con Francia, Regno Unito, Stati Uniti d’America e Regno di Jugoslavia. Infine, nonostante la fine delle ostilità con gli Imperi centrali, l’Italia restava coinvolta nella campagna di Albania, dai contorni incerti e dagli obiettivi ancora più incerti, mentre il Montenegro, stato vincitore della guerra e col quale l’Italia per motivi dinastici e strategici intratteneva rapporti privilegiati, veniva annesso alla Jugoslavia con il consenso delle altre potenze alleate e ciò venne recepito come un’altra grave ferita alla politica adriatica italiana. ( Wikipedia )

 

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Operazione Barbarossa

Operazione Barbarossa ( in tedesco Unternehmen Barbarossa ) fu la denominazione in codice tedesca per l’invasione dell’Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale; tale nome fu ispirato dalle gesta dell’imperatore Federico Barbarossa. L’attacco, previsto originariamente per il 15 maggio 1941, venne posposto da Hitler prima al 27 dello stesso mese e successivamente al 22 giugno, a causa del colpo di Stato anti-tedesco di Belgrado. Fu la più vasta operazione militare terrestre di tutti i tempi; il fronte orientale, aperto con l’inizio dell’operazione, fu il più grande e importante teatro bellico dell’intera seconda guerra mondiale e vi si svolsero alcune tra le più grandi e sanguinose battaglie della storia. Nei quattro anni che seguirono l’apertura delle ostilità tra Germania e Unione Sovietica, decine di milioni di militari e civili persero la vita o patirono enormi sofferenze, sia a causa degli aspri e incessanti scontri sia delle condizioni di vita miserevoli in cui vennero a trovarsi. L’operazione, iniziata meno di due mesi dopo il deludente risultato della battaglia d’Inghilterra, avrebbe dovuto costituire un punto di svolta decisivo per assicurare la vittoria totale del Terzo Reich e il suo predominio sul blocco continentale eurasiatico, ma il suo fallimento, assorbendo buona parte delle risorse umane, economiche e militari della Germania, provocò la sua completa disfatta.

La politica estera teorizzata da Hitler poggiava sul concetto del Lebensraum, lo “spazio vitale” destinato al popolo tedesco; esso doveva essere ricavato dall’annessione di territori a est della Germania, abitati da coloro che erano definiti Untermenschen, sub-umani; queste popolazioni comprendevano gli slavi e i bolscevichi sovietici ma anche gli ebrei, gli zingari e qualunque razza o etnia differente da quella ariana, e il loro destino avrebbe dovuto essere quello contenuto nel Generalplan Ost, il progetto che mirava a dare attuazione alle teorie del Führer in materia del nuovo ordine delle relazioni etnografiche nei territori occupati quali il genocidio, l’espulsione, la riduzione in schiavitù e la germanizzazione.

Ecco quanto scriveva in proposito lo stesso Hitler prima ancora di salire al potere, nel famoso libro Mein Kampf: « Noi vogliamo arrestare il continuo movimento tedesco verso il sud e l’ovest dell’Europa e volgiamo il nostro sguardo verso i paesi dell’Est […] Quando oggi parliamo di un nuovo territorio in Europa, dobbiamo pensare in prima linea alla Russia e agli stati limitrofi suoi vassalli. Sembra che il destino stesso ci voglia indicare queste regioni. […] Il colossale impero dell’Est è maturo per il crollo e la fine del dominio ebraico in Russia sarà anche la fine della Russia quale stato.» ( Adolf Hitler, Mein Kampf ) [ Wikipedia ]

 

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LIBRI: Le Opere Narrative di Elio Vittorini

Elio Vittorini: Le opere narrative

Romanziere, saggista e traduttore raffinato, Vittorini è stato uno dei più vivaci e attenti animatori del dibattito culturale del nostro dopoguerra. La sua produzione narrativa, raccolta in due volumi dei Meridiani, è il documento di una passione civile che porta la letteratura nel cuore dei problemi e delle contraddizioni della società italiana, prima e dopo il fascismo. Nel secondo volume le opere da Le donne di Messina ai Racconti.

Sul Politecnico Vittorini riprese gli appelli di Jean-Paul Sartre per una cultura che liberasse dalla sofferenze, non solo che consolasse, dichiarando fallite le culture antifasciste che non avevano saputo prevenire i disastri della seconda guerra mondiale. Scrive nell’editoriale del primo numero, datato 29 settembre 1945:
« Per un pezzo sarà difficile dire se qualcuno o qualcosa abbia vinto in questa guerra. Ma certo vi è tanto che ha perduto, e che si vede come abbia perduto. I morti, se li contiamo, sono più di bambini che di soldati; le macerie sono di città che avevano venticinque secoli di vita; di case e di biblioteche, di monumenti, di cattedrali, di tutte le forme per le quali è passato il progresso civile dell’uomo; e i campi su cui si è sparso più sangue si chiamano Mauthausen, Majdanek, Buchenwald, Dachau. Di chi è la sconfitta più grave in tutto questo che è accaduto? Vi era bene qualcosa che, attraverso i secoli, ci aveva insegnato a considerare sacra l’esistenza dei bambini. (…) E se ora milioni di bambini sono stati uccisi, se tanto che era sacro è stato lo stesso colpito e distrutto, la sconfitta è anzitutto di questa «cosa» che c’insegnava la inviolabilità loro. Non è anzitutto di questa «cosa» che c’insegnava l’inviolabilità loro? Questa «cosa», voglio subito dirlo, non è altro che la cultura: lei che è stata pensiero greco, ellenismo, romanesimo, cristianesimo latino, cristianesimo medioevale, umanesimo, riforma, illuminismo, liberalismo, ecc., e che oggi fa massa intorno ai nomi di Thomas Mann e Benedetto Croce (…) Valéry, Gide e Berdiaev. Non vi è delitto commesso dal fascismo che questa cultura non avesse insegnato ad esecrare già da tempo. E se il fascismo ha avuto modo di commettere tutti i delitti che questa cultura aveva insegnato ad esecrare già da tempo, non dobbiamo chiedere proprio a questa cultura come e perché il fascismo ha potuto commetterli ? » ( Wikipedia )

Il Garofano Rosso

Scritto negli anni Trenta, ma apparso in volume solo nel 1948 a causa della censura fascista, “Il garofano rosso” di Vittorini rappresenta uno dei più riusciti esempi di romanzo di formazione della letteratura italiana. Ambientato in Sicilia ai tempi del delitto Matteotti, il libro ha per protagonista Alessio Mainardi, un liceale inquieto e ribelle attratto dagli aspetti rivoluzionari e antiborghesi del primo fascismo. All’avventura politica, tuttavia, il giovane alterna ben presto quella sentimentale, dapprima intrecciando una relazione fuggevole e ideale con la studentessa Giovanna, dalla quale riceve, quale pegno d’amore, il simbolico e contesissimo garofano rosso, e in seguito impegnandosi in un rapporto concreto e sensuale con la misteriosa prostituta Zobeida. Da queste esperienze Alessio uscirà profondamente trasformato, e ciò lo porterà a compiere i primi incerti passi verso la maturità e la libertà interiore. “Il garofano rosso” è un’opera affascinante e suggestiva che racconta con linguaggio allo stesso tempo realistico e poetico le nobili e confuse aspirazioni di un’intera generazione di giovani. ( Mondadori )

NEGOZIO ONLINE by LIBRERIA AIACE ROMA SU eBAY: ELIO VITTORINI, IL GAROFANO ROSSO, MONDADORI, 1948, 1a edizione

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Libri & Letture

 

 

CAMPIONI DEL CALCIO – La leggenda di Gigi Riva, Rombo di tuono

GIGI RIVA, la leggenda della Sardegna e del Calcio

Nato a Leggiuno il 7 novembre 1944 arrivò in rossoblù nella stagione ‘63/’64, contribuendo alla prima promozione in A e poi allo storico scudetto del ‘70
Luigi Riva: per tutto Gigi. Ancora oggi, a distanza di decenni (e probabilmente per tanto tempo) è lui il più grande bomber della Nazionale italiana, che ha fatto di Cagliari una scelta di vita. Eppure, lo stesso Riva (oggi 75 anni) ha ricordato più volte che, appena arrivato in Sardegna dalla Lombardia in aereo, voleva andare via. Ed invece quel ragazzo figlio di sarto morto quando lui aveva appena 9 anni e di una madre casalinga, perita qualche anno più tardi a causa di una malattia, non solo è rimasto a giocare al Cagliari ( facendo le fortune rossoblù ) ma dal quella sera del 13 marzo 1963, non è andato più via, mettendo su famiglia e diventando sardo a tutti gli effetti. Una gratitudine al popolo isolano, ampiamente ripagata e onorata giustamente anche oggi, alla soglia di un 2020 che tra una settimana prenderà il posto del 2019 che ci sta salutando per sempre.

Soprannominato Rombo di Tuono dal giornalista Gianni Brera per la notevole potenza del tiro e la prolificità sotto rete, Riva è stato uno dei più grandi attaccanti della propria generazione: secondo un parere dello stesso Brera, fu il miglior attaccante al mondo nei primi anni 1970, insieme al connazionale Roberto Boninsegna. Mancino naturale, poco incline a usare il destro, era solito partire dalla posizione di ala sinistra per poi convergere e concludere a rete. Dal repertorio variegato, era forte fisicamente e rapido nello scatto, nonché abile in acrobazia e nel gioco aereo. Dotato di grande intensità agonistica, mostrava inoltre una buona propensione a saltare il diretto avversario in velocità, risultando invece meno avvezzo all’esecuzione di dribbling negli spazi stretti.

Nei primi anni 60 il Cagliari giocava due partite in casa e due in trasferta alternativamente per limitare il numero di viaggi. Quando era in trasferta la squadra faceva base proprio a Legnano: l’allenatore Arturo Silvestri e il vicepresidente Andrea Arrica ebbero quindi la possibilità di notarlo e lo strapparono alla concorrenza per ben 37 milioni di lire, raggiungendo l’accordo coi Lilla nell’intervallo della partita della nazionale juniores italiana contro i pari età della Spagna nel marzo 1963 allo Stadio Flaminio. Il Bologna nella persona del presidente Renato Dall’Ara provò a rilanciare per 50 milioni ma vennero rifiutati. Riva si trasferì quindi, seppur controvoglia, in Sardegna per il campionato cadetto del 1963-64. Alla prima stagione sull’isola, l’allora diciottenne segnò 8 reti contribuendo alla prima promozione dei rossoblu in Serie A. Il 13 settembre 1964, nella partita persa 2-1 contro la Roma, esordì nel massimo torneo. Il 27 settembre, segnò il suo primo gol consentendo alla squadra di pareggiare contro la Sampdoria. Con altre 8 reti, tra cui quella che valse la vittoria contro la Juventus il 31 gennaio 1965, aiutò il Cagliari a salvarsi. Diventato ormai un punto fermo della squadra, si laureò capocannoniere del campionato 1966-67 in cui – nonostante un grave infortunio patito in Nazionale – mise a segno 18 gol. Trionfò nella classifica dei marcatori anche per le stagioni 1968-69 e 1969-70, vincendo lo scudetto ( l’unico della storia sarda ) nel campionato precedente al Mundial messicano: il 12 aprile 1970, nella partita contro il Bari che assegnò il tricolore, realizzò il primo dei due gol. La vittoria del titolo rappresentò il punto più alto della carriera di Riva, nel frattempo divenuto un simbolo del Cagliari non solamente dal punto di vista sportivo ma anche sociale e mediatico. ( Wikipedia )

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