LIBRI: Caccia & Bombardieri 1a e 2a Guerra Mondiale

CACCIA E BOMBARDIERI 2a GUERRA MONDIALE, CACCIA 1a GUERRA MONDIALE

L’impiego operativo dell’aereo come fattore preponderante di superiorità nei conflitti fu teorizzato dall’italiano Giulio Douhet, che in un suo scritto del 1909 sottolineò per la prima volta che il dominio bellico dell’aria sarebbe stato altrettanto importante di quello delle rotte marittime[8]. Seguendo gli studi di Dohuet, nel 1911 gli italiani in Libia utilizzarono per primi la nuova arma come mezzo di ricognizione e di offesa durante la Guerra italo-turca[4] In particolare, il 23 ottobre il capitano Carlo Maria Piazza fu l’autore della prima ricognizione tattica, mentre il 1º novembre il sottotenente Giulio Gavotti eseguì da un velivolo il primo bombardamento a mano della storia a bassa quota, su di un accampamento turco ad Ain Zara, lanciando tre bombe a mano.

Lo scoppio della prima guerra mondiale fu senza dubbio un potente stimolo allo sviluppo militare del nuovo mezzo aereo, anche se inizialmente vi furono forti resistenze alla sua adozione. Persino figure di grande rilievo nel conflitto, come Ferdinand Foch, affermarono a tal proposito che “l’aviazione è un ottimo sport, ma è completamente inutile per i fini dell’esercito”

Il Barone Rosso

Un cambio di regime della guerra aerea fu segnato dalla morte di Boelcke in una collisione con un altro aereo pilotato da Erwin Böhme il 28 ottobre 1916, e dalla salita agli onori delle cronache di un suo protetto, il barone Manfred von Richthofen. Il giovane pilota abbatté in combattimento l’asso inglese Lanoe Hawker, e per celebrare la vittoria, dipinse il suo Albatros interamente di rosso, dando così inizio alla leggenda del “Barone Rosso”

Quello che per i francesi era le diable rouge e per gli inglesi the Red Baron, Manfred von Richthofen nacque il 2 maggio 1892 a Breslavia, allora capitale della Slesia, nel Regno di Prussia ( ora in Polonia), sotto il regno del Kaiser Guglielmo II. Era il secondo figlio (dopo la sorella Elisabeth “Ilse”  della nobildonna Kunigunde von Schickfus und Neurdoff e del barone Rittmeister Albrecht Philip Karl Julius von Richtofen (1859-1920), ufficiale di fanteria arruolato nel Leib-Kürassier-Regiment di base a Breslavia, dove nacque anche il fratello di Manfred, Lothar von Richthofen, che a sua volta sarebbe divenuto aviatore. Ancora bambino, Manfred si trasferì con la famiglia a Schweidnitz (oggi Swidnica, in Polonia). In gioventù praticò caccia ed equitazione. Completò l’addestramento alla scuola per cadetti di Wahlstatt, e in seguito fu addestrato nella Reale Accademia militare prussiana a Groß-Lichterfelde, dalla quale uscì nella primavera del 1911[5]. Assegnato come alfiere al 1º Reggimento Ulani “Imperatore Alessandro III” a Ostrovo, a pochi chilometri dalla frontiera russa, nel 1912 fu nominato sottotenente.

Nel maggio del 1915 fu accolta la sua domanda d’entrare nella Luftstreitkräfte, l’aviazione tedesca: superato l’addestramento a Großenhain, ai primi di giugno venne destinato al 7º Reparto Complementi dell’aviazione di Colonia per un corso osservatori.

L’appellativo di Barone Rosso gli venne appunto dal fatto che molti degli aerei da lui pilotati, a partire dall’Albatros D.III, erano completamente dipinti di rosso.

In poco più di due anni di servizio nell’Aviazione imperiale tedesca era diventato l’ “asso degli assi” con 80 vittorie aeree confermate. Dopo la guerra sarà riconosciuto come il simbolo universale dei combattimenti nei cieli, imbevuti di cavalleria e di quel romanticismo tipico dell’alto lignaggio di molti aviatori di un secolo fa.

La mattina del 21 aprile 1918 Manfred Von Richthofen si alzerà in volo per l’ultima volta. Nel cielo di Vaux-sur-Somme ingaggiò un combattimento con una formazione britannica sopra la linea del fronte. Il Barone Rosso era sceso in picchiata per inseguire a volo radente un caccia nemico quando fu fatto bersaglio da terra degli artiglieri australiani. Quando il Fokker rosso si schiantò nei campi, il mito dell’aviazione militare era già morto, trapassato da un proiettile in pieno petto. ( Wikipedia )

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