Libreria Aiace Roma Montesacro: Regalare un Libro, un Segno di Amicizia

Se un amico vi regala un libro è veramente un amico

“Se un amico vi regala un libro è veramente un amico“, parola di Roberto Cerati, lo storico presidente della casa editrice Einaudi.

Un’opinione che può essere facilmente condivisa da chiunque ami la lettura, perché davvero ci sono pochi regali migliori di un libro.

I libri lasciano il segno

Regalare un libro significa lasciare un’orma nella memoria di chi lo riceve. Dopo averlo letto gli sarà difficile dimenticare il legame tra il volume e chi glielo ha donato. Inoltre, ogni volta che rivedrà la copertina si ricorderà di voi. Quindi quale modo migliore per restare sempre coi propri cari, anche quelli più lontani ?

I libri arricchiscono

Nonostante – in genere – non siano fatti di materiali preziosi, i libri arricchiscono chi li riceve e li legge. Senza spendere una fortuna sarete in grado di rendere un po’ più ricca la persona che riceverà il vostro dono. ( Tratto da Il Libraio )

I libri fanno bene alla salute

Uno studio della durata di 17 anni, condotto su 983 adulti suddivisi in istruiti, ovvero tutti coloro che avevano più di quattro anni di scolarità ( n=746 ), e in analfabeti, ovvero tutti coloro con meno di 4 anni di scolarità ( n=237 ) ha mostrato che le persone analfabete, quindi che non sanno o che hanno scarse abilità nel leggere o nello scrivere, hanno una probabilità tre volte superiore di sviluppare una demenza primaria.

Inoltre gli effetti dell’analfabetismo sembrano essere diversi per genere, difatti le donne analfabete hanno mostrato un più elevato rischio di sviluppare una demenza rispetto agli uomini.

La degenerazione cognitiva sembra essere più lenta, una volta iniziata, negli individui con molti anni di scolarità.

Una continua stimolazione cognitiva attraverso la lettura e lo studio, possa giovare ed agire come uno dei fattori protettivi nei confronti delle demenze primarie ( Fonte: Neurology 2019 )

Libreria Aiace Roma in via Ojetti 36 Montesacro – Nomentana – Talenti

La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Aggiornato al 19 Gennaio 2024

 

 

Il Piacere della Lettura: Libreria Aiace Roma Montesacro

Aristotele

Aristotele ( Stagira, 384 a.C. o 383 a.C. – Calcide, 322 a.C. ) è stato un filosofo, scienziato e logico greco antico. Aristotele è ritenuto una delle menti più universali, innovative, prolifiche e influenti di tutti i tempi, sia per la vastità che per la profondità dei suoi campi di conoscenza, compresa quella scientifica. Con Platone, suo maestro, e Socrate è considerato anche uno dei padri del pensiero filosofico occidentale, che soprattutto da Aristotele ha ereditato problemi, termini, concetti e metodi.

La fondazione del Peripato

Il terzo periodo inizia quando nel 340 a.C. Alessandro diviene reggente del regno di Macedonia, cominciando anche ad avvicinarsi alla cultura orientale. Il suo maestro Aristotele, che è intanto rimasto vedovo e convive con la giovane Erpillide da cui ha avuto il figlio Nicomaco, negli ultimi anni della sua vita torna forse a Stagira e, intorno al 335 a.C., si trasferisce ad Atene, dove in un pubblico ginnasio, detto Liceo perché sacro ad Apollo Licio, fonda una sua famosissima e celebrata scuola, chiamata Peripato ( dal greco Περίπατος, «la Passeggiata»; da περιπατέω «passeggiare», composto di περι «intorno» e πατέω «camminare» ) nome che indicava quella parte del giardino con un colonnato coperto dove il maestro e i suoi discepoli camminavano discutendo. Probabilmente non è Aristotele ad acquistare la scuola; egli l’affitta, perché per la città di Atene egli era uno straniero e non aveva diritto di proprietà. La scuola viene inoltre finanziata dallo stesso Alessandro. Aristotele promuove attività di ricerca nella città di Atene soprattutto per quanto riguarda materie scientifiche quali zoologia (di cui si occupa lui stesso), botanica ( che affida a Teofrasto ), astronomia e matematica ( che affida a Eudemo da Rodi ) e medicina ( affidata a Menone ).

Riguardo alla scuola abbiamo notizie vaghe; comunque sappiamo per certo che gli alunni erano chiamati per dieci giorni a dirigere la scuola in prima persona: Aristotele ci teneva a istruire i suoi allievi a questo ruolo. Inoltre i pasti venivano consumati in comune secondo un’usanza dei pitagorici e ogni mese si organizzava un simposio filosofico con giudizio ( iudicio ) guidato dalla saggezza del maestro. Le lezioni si svolgevano di mattina; di pomeriggio e di sera invece Aristotele teneva, sempre nella scuola, delle conferenze aperte al pubblico; le materie erano appunto di interesse pubblico quindi politica e retorica, ad esempio, ma non materie astratte come la metafisica e la logica.

Nel 323 a.C. muore Alessandro Magno e ad Atene si manifestano i mai sopiti odii antimacedoni; Aristotele, guardato con ostilità per il suo legame con la corte macedone, è accusato di empietà: lascia allora Atene e con la famiglia si rifugia a Calcide in Eubea, la città materna, dove muore l’anno dopo forse per una malattia allo stomaco. ( Wikipedia )

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Aggiornato a 29 Novembre 2023

 

 

LIBRO: Il Porto delle Nebbie di Pierre Mac Orlan

PIERRE MAC ORLAN, IL PORTO DELLE NEBBIE, JANDI SAPI, 1944, 1 EDIZIONE

«Una donna disposta a sfruttare se stessa, corpo e anima, senza restrizioni, senza scrupoli morali e senza misticismo, è una forza della natura paragonabile al­l’elettricità, di cui si governano i capricci senza mai penetrarne il mistero originario»: è questa, per quanto «scandalosa» e «immorale» possa sembrare, la conclusione alla quale giunge l’autore sulla soglia dell’epilogo del Porto delle nebbie. Ma tant’è: dei cinque personaggi che il destino fa incontrare, una notte di neve, in una bettola di Mont­martre ( quel Lapin Agile che solo molti anni dopo diventerà famoso ), l’unica a cavarsela davvero sarà Nelly, la fille de cabaret «al tempo stesso candida e furba» che finora non ha fatto altro che passare «attraverso l’esisten­za come una foglia morta, una foglia bionda spazzata dal vento». Al termine della memorabile notte trascorsa al Lapin Agile, dove sono stati costretti ad affrontare a colpi di pistola una banda di malviventi acquattati nel buio, i quattro uomini – il giovane squattrinato che aspetta un’avventura da «acchiappare al volo», il disertore della marina coloniale, il pittore tedesco che intuisce la presenza della morte nei luoghi che dipinge e l’inquietante macellaio dalle «terribili mani» – si avvieranno tutti verso un destino variamente funesto, mentre Nelly andrà incontro alla vita con passo da «conquistatrice». È stato Céline, nel 1938, a scrivere su Mac Orlan parole de­finitive: «Aveva già visto tutto, capito tutto, inventato tutto». ( Fonte: Adelphi )

Pierre Mac Orlan

Pierre Mac Orlan, nome d’arte di Pierre Dumarchais ( Péronne, 26 febbraio 1882 – Saint-Cyr-sur-Morin, 27 giugno 1970 ), è stato un artista e scrittore francese.  In vita sua fu bohémien, scrittore, soldato, pittore e reporter.

Fu creatore di un’opera imponente, dotata di notevole omogeneità nonostante la diversità delle forme artistiche; dal romanzo alla canzone, dal saggio alla poesia. Il concetto chiave su cui è imperniata la sua opera è il cosiddetto fantastico sociale.

Fu membro del “Collegio di patafisica” e dell’Académie Goncourt e scrisse centotrenta libri e sessantacinque canzoni. ( Wikipedia )

FILM

Jean, un disertore dell’esercito coloniale francese, è arrivato a Le Havre con la ferma intenzione di lasciare la Francia. Nel bar “Panama”, gestito dall’eccentrico individuo omonimo, incontra la bella Nelly, una malinconica ragazza terrorizzata dal suo tutore Zabel, che ella sospetta essere l’assassino del suo fidanzato Maurice. Per difendere Nelly dalle insidie del tutore, che si rivela essere un losco individuo e che si conferma essere l’autore del delitto, Jean uccide Zabel. Mentre sta per lasciare il paese, pronto a fuggire in Venezuela con una nuova identità, viene però assassinato in mezzo alla strada a colpi di pistola da Lucien, un giovane gangster locale del quale aveva scatenato l’odio, umiliandolo e prendendolo a schiaffi pubblicamente in diverse occasioni. ( Wikipedia )

 

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LIBRO: Viaggio in Ciociaria di Cesare Pascarella

PASCARELLA, VIAGGIO IN CIOCIARA, 1914

Giovanissimo, Cesare Pascarella fu messo dai propri genitori, originari di Fontana Liri, a studiare nel seminario di Frascati: scappò via. Per quanto si può leggere della sua produzione poetica, non sembra che quella precoce esperienza lo abbia ben disposto nei confronti degli ambienti religiosi. Studiò poi all’Istituto di Belle arti, ma era molto più attratto dalla vita artistico-mondana della città che dagli studi accademici.

La nuova capitale ribolliva di novità, di idee, di progetti, di smanie: il ventenne Pascarella vi si tuffò e cominciò a frequentarne gli artisti mondani e innovatori, partecipando alle attività dei “XXV della campagna romana” (dove era noto per i suoi asinelli), frequentando il Caffè Greco, stringendo rapporti con gli artisti più simili a lui per irrequietezza e bisogno di nuovo, collaborando con la Cronaca bizantina e successivamente con il Fanfulla della domenica, che pubblicano le sue prime cose.

La nota caratteristica della sua personalità è l’irrequietezza: dopo il viaggio in Sardegna del 1882 con D’Annunzio e Scarfoglio alla scoperta di un mondo considerato misterioso e arcaico, continua a viaggiare moltissimo (India, Giappone, Stati Uniti, Cina, Argentina, Uruguay), annotando nei suoi Taccuini disegni e osservazioni acute e caustiche. Tuttavia l’uomo è profondamente legato alla sua città, scenario privilegiato di molte sue opere, e abitò per tutta la vita in Campo Marzio, tra via dei Portoghesi, via dei Pontefici all’Augusteo, via della Scrofa, via Laurina, via del Corso.

Pubblica, nel frattempo, Villa Gloria (1886), 25 sonetti sul tentativo dei Fratelli Cairoli di liberare Roma e conclusosi tragicamente con lo scontro di villa Glori. I sonetti furono celebrati dal Carducci, mentre il lavoro più noto, La scoperta de l’America (di cui dà letture pubbliche sempre più richieste) è del 1894, ma non mancano elzeviri, resoconti e collaborazioni. I Sonetti, del 1904, raccolgono le sue opere sparse dal 1881.

È anche un grande camminatore (e i resoconti di queste esperienze finiscono ugualmente nei taccuini e nelle sue collaborazioni giornalistiche) e poi recita in teatro.

Viaggio in Ciociaria

Sullo stazzo, dietro la stazione di Ceprano, un legno cui erano attaccati tre scheletri di cavalli, flagellati da nugoli di tafani, stava ad arroventarsi al sole. Il vetturino, un tipo davvero selvaggio e nero, se la dormiva su un mucchio di fieno, poco lungi e russava profondamente.

Altri legni da sederci non ce n’erano. E io, «ringraziando la provvidenza», mi avvicinai al vetturino cercando di svegliarlo. Che! era di sonno duro !…
Una contadina, che stava, poco lungi, seduta, veduto che non m’era riuscito di svegliare il vetturino, si alzò e avvicinatasi al dormiente gli applicò due calci nel… insomma mettiamo pure nella schiena, gridandogli: «Arrizzete, Ciccantò, ca s’è fatto juorno, veh!».
Ciccantonio, ossia il vetturino, si alzò stropicciandosi gli occhi… e la schiena e facendo brillare al sole, sul collo nero e riarso, una filza di medaglie. Appena mi vide, mi salutò con un «Ben’arrivato a signoria» e appena combinato il prezzo per la vettura, cominciò a decantarmi il suo legno, la bontà de’ suoi cavalli e la sua «grandissima abeletà» nel condurli. Io poco persuaso, veramente, della verità di tanta lode, affacciai qualche dubbio; ma Ciccantonio mi replicò: «Lei signoria non indubiti… Saglite e sarete insoddisfatto».
Io fortemente convinto di quanto mi diceva il mio vetturino, comperai quattro arance da una bella ragazza, che vendeva ciambelle, vino e frutta, e montai nel legno ponendomi la valigia fra i piedi.

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Aggiornato al 29 Novembre 2023

 

LIBRO: Il Sessantotto di Flores e Gozzini

FLORES & GOZZINI: 1968 –  IL MULINO
Il Sessantotto

Il Sessantotto ( o movimento del Sessantotto ) è il fenomeno socio-culturale avvenuto negli anni a cavallo del 1968, nei quali grandi movimenti di massa socialmente eterogenei (operai, studenti e gruppi etnici minoritari), formatisi spesso per aggregazione spontanea, interessarono quasi tutti i Paesi del mondo con la loro forte carica di contestazione contro i pregiudizi socio-politici. Lo svolgersi degli eventi in un tempo relativamente ristretto contribuì a identificare il movimento col nome dell’anno in cui esso si manifestò in modo più attivo.

Il Sessantotto è stato un movimento sociale e politico che ha profondamente diviso l’opinione pubblica e i critici, tra chi sostiene sia stato uno straordinario momento di crescita civile (che ha portato ad un mondo «utopicamente» migliore) e chi sostiene invece sia stato il trionfo di una stupidità generalizzata, che rovinò la società italiana, e di un conformismo di massa in cui i figli stessi della borghesia avrebbero voluto abbattere il sistema borghese.

Il movimento nacque originariamente a metà degli anni sessanta negli Stati Uniti e raggiunse la sua massima espansione nel 1968 nell’Europa occidentale col suo apice nel Maggio francese.

A Berkeley, nel 1964, l’università californiana, i cui aspetti elitari più avanzati sono uno dei simboli della società statunitense, scoppiò una rivolta senza precedenti. Il contagio fu immediato. Nei campus americani la protesta giovanile mise insieme classi, ceti, gruppi, investì la morale e i rapporti umani. Gli studenti si schierarono contro la Guerra del Vietnam, a favore delle battaglie per i diritti civili e alle filosofie che esprimevano il rifiuto radicale verso un certo stile di vita. Al contempo, alcune popolazioni del blocco orientale si sollevarono per denunciare la mancanza di libertà e l’invadenza della burocrazia di partito, gravissimo problema sia dell’Unione Sovietica che dei Paesi legati ad essa.

Diffusa in buona parte del mondo, dall’Occidente all’Est comunista, la «contestazione generale» ebbe come nemico comune il principio di autorità come giustificativo del potere nella società. Nelle scuole gli studenti contestavano i pregiudizi dei professori e del sistema scolastico scarso e obsoleto. Nelle fabbriche gli operai rifiutavano l’organizzazione del lavoro. Facevano il loro esordio nuovi movimenti che mettevano in discussione le discriminazioni all’etnia.

Gli obiettivi comuni ai diversi movimenti erano il miglioramento della società sulla base del principio di uguaglianza, l’anti corruzione della politica in nome della partecipazione di tutti alle decisioni, l’eliminazione di ogni forma di oppressione sociale e di discriminazione razziale.

Il Sessantotto in Italia

Il Sessantotto italiano ebbe inizio nel 1966: quell’anno, infatti, il giornale studentesco del Liceo Parini La zanzara pubblicò un’inchiesta-sondaggio su tematiche sessuali intitolata Un dibattito sulla posizione della donna nella nostra società, cercando di esaminare i problemi del matrimonio, del lavoro femminile e del sesso, a firma di Marco De Poli, Claudia Beltramo Ceppi e Marco Sassano. Nell’articolo c’era scritto: «Vogliamo che ognuno sia libero di fare ciò che vuole a patto che ciò non leda la libertà altrui. Per cui assoluta libertà sessuale e modifica totale della mentalità.» e «Sarebbe necessario introdurre una educazione sessuale anche nelle scuole medie in modo che il problema sessuale non sia un tabù ma venga prospettato con una certa serietà e sicurezza. La religione in campo sessuale è apportatrice di complessi di colpa».

I redattori della Zanzara e il preside dell’Istituto, Daniele Mattalia, furono incriminati e processati. Luigi Bianchi D’Espinosa, presidente del Tribunale di Milano, assolse tutti dicendo: «Non montatevi la testa, tornate al vostro liceo e cercate di dimenticare questa esperienza senza atteggiarvi a persone più importanti di quello che siete».

L’Università necessitava di una ventata rinnovatrice: nel 1956-1957 gli iscritti ai corsi di laurea erano circa 212.000, mentre dieci anni dopo erano saliti a quota 425.000, per cui quella che era l’Università d’elite diventò Università di massa. L’insegnamento era in mano ai «baroni», i docenti dei corsi importanti si rivolgevano a una calca di allievi che a stento ne percepivano la voce, era sottovalutata o ignorata l’esigenza di laboratori e seminari che preparassero gli studenti all’attività professionale, e molti professori erano «ferroviari» (comparivano solo per le lezioni e con i ragazzi non avevano nessun rapporto umano). Per la soluzione di questi problemi gli studenti si sarebbero dovuti battere e il governo avrebbe dovuto provvedere (con Università serie in cui gli studenti poveri e bravi fossero stipendiati ed esentati da ogni tassa, con laboratori, biblioteche e aule decenti, con collegi ordinati, e con una meritocrazia equa a vantaggio dei più meritevoli). Invece i governi che si alternarono scelsero la strada più facile e meno utile: quella del «facilismo». Le Università aprivano i battenti, per l’iscrizione, a tutti i diplomati delle scuole medie superiori (l’esame di maturità veniva svuotato di contenuti a tal punto che la quasi totalità dei candidati era promossa) – aggravando i problemi organizzativi – e un’esigua ma ben organizzata minoranza degli studenti che promuoveva la contestazione, non aveva a cuore né l’Università né le riforme efficienti (come la legge 2314, proposta dal Ministro Luigi Gui e respinta dai contestatori), bensì la demagogia e l’opportunismo, ispirandosi al «gran rifiuto» di Herbert Marcuse[4], mentre tra coloro che contestavano i «baroni» ce n’erano parecchi che aspiravano soltanto a diventare «baroncini», e che lo divennero.

Nel 1967 furono occupate, sgomberate e rioccupate la Statale di Pisa (dove si elaboravano le «Tesi della Sapienza»), Palazzo Campana a Torino, la Cattolica di Milano, e poi Architettura a Milano, Roma, Napoli. Nella facoltà di Sociologia di Trento praticamente non si riuscì a tenere nessun corso, perché i suoi locali erano permanentemente occupati.

Il movimento di contestazione creò i suoi miti e i suoi leader. Tra i più noti ci furono: Mario Capanna, Salvatore Toscano e Luca Cafiero a Milano, Luigi Bobbio e Guido Viale a Torino; Massimo Cacciari, Toni Negri ed Emilio Vesce a Padova; Franco Piperno e Oreste Scalzone a Roma; Gian Mario Cazzaniga e Adriano Sofri a Pisa.

La scintilla fu determinata da due situazioni di disagio per gli studenti universitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano e della facoltà di Architettura a Torino. Nel primo caso l’università decise di raddoppiare le tasse universitarie mentre a Torino venne deciso il trasferimento alla Mandria, una sede periferica molto disagiata. Il 15 novembre 1967 entrambe le università vennero occupate e subito sgombrate dalla polizia. I leader iniziali erano Mario Capanna e Luciano Pero in Cattolica, e Guido Viale a Torino.

Dopo tre giorni 30.000 studenti sfilavano per Milano fino all’arcivescovado e la rivolta si allargò a macchia d’olio. La presenza della polizia, con il battaglione Padova della Celere pronto a intervenire sugli studenti, finì con il costituire il propellente per la diffusione della protesta.

L’Università di Trento nacque nel 1962 come Istituto universitario superiore di Scienze Sociali, ad opera di Bruno Kessler: i democristiani avevano chiesto e ottenuto la creazione di questo ateneo, pensando di creare una fabbrica di manager. Invece i professori, pur essendo di livello, si dimostrarono tolleranti alle utopie di un giovanilismo spensierato e di un rivoluzionarismo «da salotto». Tra gli studenti ci furono Marco Boato, Margherita Cagol, Renato Curcio e Mauro Rostagno.

A Palazzo Campana Guido Viale ricordò che «la commissione delle facoltà scientifiche compiva l’estremo atto liberatorio nei confronti del Dio libro: lo squartamento dei libri in lettura per distribuirne un quinterno a ognuno dei membri»[4], mentre i miti della contestazione italiana erano Mao Zedong (il Libretto Rosso fu diffuso in milioni di copie nelle università occidentali) Ho Chi Minh, il generale Võ Nguyên Giáp, Yasser Arafat, Che Guevara[3], Karl Marx, Jean-Paul Sartre, Herbert Marcuse, Rudi Dutschke e Sigmund Freud.

Ai professori veniva negato il diritto di valutare gli studenti: l’esame doveva essere un tu per tu alla pari, anche se lo studente era impreparato (a volte capitava che il docente fosse un «barone» con poca pazienza, che non aveva mai speso un po’ del suo tempo per capire i dubbi e le problematiche degli alunni). La cultura veniva disprezzata, scrivendo Kultura con la «K». A Roma il rettore Pietro Agostino D’Avack, disperato e impotente contro il dilagare del disordine, si risolse infine a mettere tutto «nelle mani del potere democratico dello Stato», ossia a invocare la forza pubblica.

A Roma, si erano avute già ad inizio d’anno «azioni spettacolari come l’occupazione di più giorni della cupola di Sant’Ivo alla Sapienza, manifestazioni e la creazione di gruppi di studio caratterizzavano la mobilitazione romana». Il 1º marzo 1968, nei giardini di Valle Giulia a Roma, ci fu uno scontro tra studenti e forze dell’ordine senza precedenti, con centinaia di feriti, 228 fermi e 10 arresti. L’Unità scrisse che «la polizia è stata scatenata contro gli studenti romani», ma poi la cronaca del quotidiano comunista riferiva che «davanti alle gradinate bruciavano roghi di jeep e di pullman» senza peraltro spiegare chi avesse appiccato il fuoco. In soccorso ai dimostranti era intervenuta La Sinistra, una rivista che aveva pubblicato un manuale per la fabbricazione di bottiglie Molotov, con tanto di illustrazioni.

Commentando la battaglia di Valle Giulia Pier Paolo Pasolini scrisse: «Avete facce di figli di papà. Vi odio, come odio i vostri papà: buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo, siete pavidi, incerti, disperati. Benissimo; ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati: prerogative piccolo-borghesi, cari. Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte con i poliziotti io simpatizzavo con i poliziotti, perché i poliziotti sono figli di poveri, hanno vent’anni, la vostra età, cari e care. Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia, ma prendetevela con la magistratura e vedrete! I ragazzi poliziotti che voi, per sacro teppismo, di eletta tradizione risorgimentale di figli di papà, avete bastonato, appartengono all’altra classe sociale. A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe e voi, cari, benché dalla parte della ragione, eravate i ricchi; mentre i poliziotti, che erano dalla parte del torto, erano i poveri.».

I docenti universitari, in particolare quelli della facoltà di Architettura, subivano le intimidazioni studentesche: al Politecnico di Milano il preside di Architettura Paolo Portoghesi acconsentì gli esami di gruppo, l’autovalutazione e il 27 sempre garantito ( gli studenti usciti da Architettura durante la sua gestione hanno dovuto ricominciare da capo, oppure si sono accontentati di lavori occasionali ). Sempre a Milano, il 12 aprile 1968, il Corriere della Sera fu assalito da un gruppo di giovani che alzarono le barricate e si scontrarono contro la polizia. Nove giorni dopo Eugenio Scalfari prese posizione su L’Espresso: «Questi giovani insegnano qualcosa anche in termini operativi. L’assedio alle tipografie di Springer per bloccare l’uscita dei suoi giornali è un mezzo nuovo di lotta molto più sofisticato ed efficace delle barricate ottocentesche o degli scioperi generali. Ad un sistema “raffinato” si risponde con rappresaglie “raffinate”. L’esempio è contagioso. Venerdì sera a Milano un corteo di studenti in marcia per dimostrare sotto il consolato tedesco si fermò a lungo e tumultuando sotto il palazzo del Corriere della Sera. Può essere un ammonimento per tutte quelle grandi catene giornalistiche abituate ormai da lunghissimo tempo a nascondere le informazioni e a manipolare l’opinione pubblica. Ammesso che sia mai esistita, la società ad una dimensione sta dunque facendo naufragio. Chi ama la libertà ricca e piena non può che rallegrarsene e trarne felici presagi per l’avvenire».

Il Movimento Studentesco milanese era il gruppo più organizzato e incontrastato: aveva come leader Mario Capanna, che si era iscritto alla Statale dopo essere stato espulso dalla Cattolica, e instaurò una dittatura esercitata attraverso un «servizio d’ordine» i cui membri, chiamati «katanghesi», erano armati di chiave inglese.

Nel maggio 1968 tutte le Università, esclusa la Bocconi, erano occupate: nello stesso mese la contestazione si estese, uscendo dall’ambito universitario, un centinaio di artisti, fra cui Giò Pomodoro, Arnaldo Pomodoro, Ernesto Treccani e Gianni Dova occupano per 15 giorni il Palazzo della Triennale, ove era stata appena inaugurata l’esposizione triennale, chiedendo «la gestione democratica diretta delle istituzioni culturali e dei pubblici luoghi di cultura» ( Wikipedia )

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Aggiornato a 5 Gennaio 2024

 

LIBRO: Hemingway di Fernanda Pivano

FERNANDA PIVANO: HEMINGWAY – RUSCONI 

Ernest Miller Hemingway (Oak Park, 21 luglio 1899 – Ketchum, 2 luglio 1961) è stato uno scrittore e giornalista statunitense. Fu autore di romanzi e di racconti.

Soprannominato Papa, fece parte della comunità di espatriati americani a Parigi durante gli anni venti, conosciuta come “la Generazione perduta” e da lui stesso così chiamata nel suo libro di memorie Festa mobile, ispirato da una frase di Gertrude Stein. Condusse una vita sociale turbolenta, si sposò quattro volte e gli furono attribuite varie relazioni sentimentali. Raggiunse già in vita una non comune popolarità e fama, che lo elevarono a mito delle nuove generazioni. Hemingway ricevette il Premio Pulitzer nel 1953 per Il vecchio e il mare, e vinse il Premio Nobel per la letteratura nel 1954.

Lo stile letterario di Hemingway, caratterizzato dall’essenzialità e asciuttezza paratattiche del linguaggio, e dall’ipòbole, ebbe una significativa influenza sullo sviluppo del Romanzo nel XX secolo. I suoi protagonisti sono tipicamente uomini dall’indole stoica, i quali vengono chiamati a mostrare “grazia” in situazioni di disagio (grace under pressure). Molte delle sue opere sono considerate pietre miliari della letteratura americana.

Di lui è stato scritto: « Personaggio affascinante, le sue pagine – profondamente ispirate a uno stile di vita – sono pervase da un senso assoluto della vigoria morale e fisica, dallo sprezzo del pericolo, ma anche dalla perplessità davanti al nulla che la morte reca con sé.»

Il 28 ottobre del 1954 Hemingway ricevette per telefono la notizia che gli era stato assegnato il premio Nobel per The Old Man and the Sea (Il vecchio e il mare), ma non fu in grado di viaggiare fino a Stoccolma per la cerimonia del 10 dicembre, così il premio fu ritirato dall’ambasciatore John Cabot. Si dice che quando gli portarono il premio lo scrittore commentò «Troppo tardi». ( Wikipedia )

Hemingway & Fernanda Pivano

“Ciò che mi legò subito ad Hemingway- ama ripetere Fernanda Pivanonei suoi racconti personal i- fu il suo antifascismo, basato sul fatto di non volere le guerre, di non volere le dittature, ad ogni costo. E poi la sua generosità, quel suo modo sommesso di aiutare decine e decine di persone, senza aspettare ringraziamenti, senza figurare”. Un legame, quello tra Mister Papa e la “sua” Nanda ( i vezzeggiativi con cui si chiamavano nella loro particolare ed insostituibile amicizia ), condito da una frequentazione piuttosto assidua: Venezia, Cuba e ancora Cortina, i luoghi mitici dell’immaginario hemingwayano, dove i due s’incontravano e lavoravano ai rispettivi libri. “ Ho avuto la fortuna di lavorare per mesi al suo stesso tavolo – sottolinea con emozione e commozione nel ricordo Fernanda – guardandolo con attenzione mentre scriveva, sentendomi spiegare con veemenza, perchè faceva certe correzioni o buttava via certi fogli…Un privilegio, il mio, di cui non ringrazierà mai abbastanza gli dei”.

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LIBRO: Giustiniano di Pierre Maraval

PIERRE MARAVAL: GIUSTINIANO

Flavio Pietro Sabbazio Giustiniano, in latino Flavius Petrus Sabbatius Iustinianus, meglio noto come Giustiniano I il Grande (Tauresio, 482 – Costantinopoli, 14 novembre 565), è stato un imperatore bizantino, dal 1º agosto 527 alla morte.

Giustiniano, ultimo imperatore bizantino educato nel seno di una famiglia di lingua e cultura latine, è considerato uno dei più grandi sovrani di età tardo-antica e alto-medievale. Il suo governo coincise con un periodo d’oro per l’Impero romano d’Oriente, dal punto di vista civile, economico e militare. Nell’ambito della Restauratio Imperii, le vittoriose campagne dei generali Belisario e Narsete permisero il ricongiungimento all’Impero di parte dei territori dell’Occidente romano; venne portato a compimento un progetto di edilizia civile che ha lasciato opere architettoniche di eccezionale importanza come la chiesa di Hagia Sophia a Costantinopoli; il patronato imperiale diede inoltre nuova linfa alla cultura, con la fioritura di celebri storici e letterati, fra cui Procopio di Cesarea, Agazia, Giovanni Lido e Paolo Silenziario.

La maggiore eredità lasciata da Giustiniano è la raccolta normativa del 535, poi conosciuta come Corpus iuris civilis, una compilazione omogenea della legge romana che è tutt’oggi alla base del diritto civile, l’ordinamento giuridico più diffuso al mondo. In occidente, il Corpus iuris venne preso come testo di riferimento solo a partire dal Basso Medioevo, dato che nell’Alto Medioevo sia sul diritto germanico sia sul diritto in uso presso le genti di espressione e cultura latine, ebbe maggiore influenza il Codex Theodosianus, emanato nel periodo di costituzione dei regni romano-barbarici entro un Impero d’Occidente in pieno smembramento. La peste che, durante il regno di Giustiniano, colpì lo Stato bizantino e l’intero bacino mediterraneo segnò la fine di un’epoca di splendore.

Giustiniano I nacque in un piccolo villaggio chiamato Tauresio, in Dardania, nel 482, da Vigilanza, sorella dello stimato generale Giustino, che fece carriera tra i gradi dell’esercito fino a diventare imperatore. Suo zio lo adottò assicurandogli una buona educazione. Giustiniano completò il classico corso di studi, dedicandosi alla giurisprudenza e alla filosofia. La sua carriera militare fu contrassegnata da rapidi avanzamenti, favoriti dalla proclamazione di Giustino ad imperatore, nel 518. Giustiniano venne nominato console nel 521, e più tardi comandante dell’esercito d’Oriente. Funse da reggente molto prima che Giustino lo associasse a sé come imperatore il 1º aprile 527.

Tra il 524 e il 525 Giustiniano sposò Teodora, un’attrice teatrale con trascorsi da prostituta.Giustiniano, per sposarla, dovette superare parecchi ostacoli, il più importante dei quali era una legge che proibiva agli uomini di alto rango di sposare serve o attrici. Il futuro imperatore, tuttavia, riuscì a vincere le resistenze della madre e della zia, contrarie a un matrimonio con una prostituta, e superò l’ostacolo della legge, persuadendo lo zio imperatore ad abrogarla; l’editto che abrogò la legge permise alle ex attrici di sposare i cittadini di alto rango, portando a sfumare la distinzione di classe alla corte bizantina. Teodora sarebbe divenuta molto influente nelle politiche dell’impero, e gli imperatori successivi avrebbero seguito l’esempio di Giustiniano, sposandosi al di fuori della classe aristocratica.

Il 1º agosto dell’anno 527, per la morte di Giustino, Giustiniano restò l’unico imperatore.

Il suo regno ebbe un impatto mondiale, segnando un’epoca distinta nella storia dell’Impero bizantino e della Chiesa ortodossa. Giustiniano fu uomo di insolita abilità nel lavoro e dotato di un carattere moderato, affabile e vitale, ma all’occorrenza scaltro e privo di scrupoli. Fu l’ultimo imperatore a tentare di restaurare l’antico Impero romano, impadronendosi di gran parte dei territori che facevano parte dell’Impero romano d’Occidente; a questo scopo diresse le sue guerre e la sua colossale attività di costruzione. Partendo dalla premessa che l’esistenza del bene comune era affidata alle armi e alla legge, prestò particolare attenzione alla legislazione e fece redigere quello che sarebbe diventato un monumento a sua perenne memoria, codificando il diritto romano nel Corpus iuris civilis. Nel 535, Giustiniano fondò Giustiniana Prima, nei pressi della sua città natale.

Procopio di Cesarea costituisce la fonte primaria per la storia del regno di Giustiniano, anche se le cronache di Giovanni da Efeso (che sopravvive come base per molte cronache successive) forniscono molti ulteriori dettagli. Entrambi gli storici ebbero toni aspri nei confronti di Giustiniano e Teodora: a fianco della sua opera principale, Procopio scrisse anche una Storia Segreta, che relaziona dei molti scandali alla corte di Giustiniano. Teodora morì nel 548; Giustiniano le sopravvisse per quasi 20 anni e morì il 13 o il 14 novembre 565. ( Wikipedia )

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Aggiornato al 5 Gennaio 2024

LIBRO: Marmorari Romani di Priscilla Grazioli Medici

PRISCILLA GRAZIOLI MEDICI, MARMORARI ROMANI

Alcune chiese di Roma sono impreziosite da decorazioni chiamate “cosmatesche”, dal nome di alcune famiglie di geniali marmorari che nel XII e XIII secolo utilizzarono la loro tecnica artigianale per creare una serie di straordinarie composizioni, disseminate nelle chiese cittadine; San Lorenzo fuori le Mura, San Clemente, Santa Maria in Cosmedin, Santa Maria in Trastevere: alcuni fra i luoghi dove si può ammirare la loro arte.

I Cosmati, il patronimico fu assunto a causa della frequente ricorrenza del nome Cosma, nelle loro botteghe si tramandarono per generazioni i segreti del mosaico e delle sue più fantasiose applicazioni nei pavimenti, nei chiostri, e negli arredi delle chiese.

Il fascino delle decorazioni cosmatesche deve molto ai materiali utilizzati, in special modo il vetro colorato – rosso, verde, giallo, blu – e poi la ceramica e l’oro; materiali che alla luce del sole e delle candele si animano di bagliori caleidoscopici.

Per i pavimenti, i Cosmati facevano largo uso del porfido rosso e verde; il marmo proveniva dalle colonne della età classica, segate in maniera da fornire cerchi e quadrati. Queste figure geometriche venivano quindi posizionate sul pavimento dentro una cornice di marmo bianco, che, a sua volta, conteneva triangoli, stelle, losanghe, cerchi composti di tessere di marmo policromo. ( Fonte: TurismoRoma.it )

Cosmati

I Cosmati erano marmorari romani che formarono varie botteghe, di cui si ricordano sette membri, appartenuti a quattro diverse generazioni vissute tra il XII e il XIII secolo, famosi per i loro lavori architettonici, per le loro sculture, ma soprattutto per i loro mosaici e le loro decorazioni realizzate prevalentemente in luoghi ecclesiastici.

La famiglia di marmorari romani più importante, che ebbe il privilegio di ricevere le più grandi committenze da parte del papato, fu quella di Tebaldo Marmorario (1100-1150), e soprattutto il figlio Lorenzo di Tebaldo e i successori Iacopo di Lorenzo, Cosma e i figli di quest’ultimo Luca e Iacopo alter. A rigore, quindi, si dovrebbe parlare di opere cosmatesche solo relativamente a quelle realizzate da questa famiglia. La loro fama e maestria nel campo dei mosaici sono state tali che oggi si parla di “stile cosmatesco” per indicare lo stile e le tecniche utilizzate da questi maestri e dai loro imitatori.

Del capostipite Tebaldo Marmorario, vissuto a cavallo tra l’XI e il XII secolo, si hanno pochissimi riferimenti. Il figlio Lorenzo, detto appunto “di Tebaldo”, è attestato in diversi lavori. Segue il figlio Iacopo “di Lorenzo” e il figlio di quest’ultimo Cosma “di Iacopo” o Cosma I; quest’ultimo, con i suoi due figli “carissimi” Luca e Iacopo II, o “alter” come spesso viene denominato dagli studiosi per distinguerlo dal nonno Iacopo I, sono gli ultimi della generazione della famiglia della bottega cosiddetta “di Lorenzo”. I maggiori lavori cosmateschi conosciuti a Roma e nel Lazio, di cui molti firmati dagli stessi artisti, sono riferiti a Lorenzo, Iacopo, Cosma e i figli Luca e Iacopo II.

Quasi tutti i pavimenti musivi delle basiliche e chiese di Roma dovrebbero essere stati realizzati nel periodo compreso tra il papato di Pasquale II (1099-1118) e Onorio III, fino a circa il 1250, dalla bottega marmoraria di Tebaldo, Lorenzo, Iacopo e Cosma, i quali lasciarono scritte a grandi lettere le loro firme. Luca, figlio di Cosma I, è menzionato nel 1255 tra i membri della schola addestratorum mappulariorum et cubiculariorum, che era una carica insignita dal papa alla famiglia di questi marmorari, quindi certamente ereditata dai suoi avi, che dimostrava quanto essi godessero di una elevata condizione sociale grazie ad un rapporto diretto e di grande prestigio con la curia pontificia. ( Wikipedia )

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LIBRO: L’Albero degli Zoccoli di Ermanno Olmi

ERMANNO OLMI: L’ALBERO DEGLI ZOCCOLI, TV CINEMA ERI

L’albero degli zoccoli è un film del 1978 diretto da Ermanno Olmi, vincitore della Palma d’oro al 31º Festival di Cannes.

Il film, le cui riprese furono realizzate tra febbraio e maggio del 1977, è in lingua lombarda nelle sue varianti bergamasca e milanese, tipiche delle zone in cui l’opera è ambientata (il film è stato girato prevalentemente nella bassa pianura bergamasca orientale compresa tra i comuni di Martinengo, Palosco, Cividate al Piano, Mornico al Serio, e Cortenuova), mentre alcune scene con la presenza del Naviglio Grande sono state girate nella campagna milanese, nei borghi di Castelletto di Abbiategrasso, Robecco sul Naviglio, Bernate Ticino e Castelletto di Cuggiono.

In una cascina di pianura a Palosco (nella campagna bergamasca), tra l’autunno 1897 e la primavera 1898, vivono 4 famiglie di contadini. Mènec (Domenico), un bimbo di 6 anni sveglio e intelligente, deve fare 6 chilometri per andare a scuola. Un giorno torna a casa con uno zoccolo rotto. Non avendo soldi per comprare un nuovo paio di scarpe, il padre Batistì decide di tagliare di nascosto un albero di pioppo per fare un nuovo paio di zoccoli al figlio. Il padrone della cascina però viene a saperlo e alla fine viene scoperto il colpevole: la famiglia di Mènec, composta dal padre Batistì, dalla moglie Battistina e dai tre figli di cui uno ancora in fasce, caricate le povere cose sul carro, viene cacciata dalla cascina.

Accanto a questa vicenda che apre, chiude e dà il titolo al film, si alternano episodi dell’umile vita contadina della cascina, contrassegnata dal lavoro nei campi e dalla preghiera. La vedova Runc, a cui è da poco mancato il marito, è costretta a lavorare come lavandaia per poter sfamare i suoi figli, mentre il figlio maggiore di 14 anni viene assunto come garzone al mulino. Anche in questa situazione d’indigenza, non viene mai a mancare la carità verso i più poveri, come Giopa, un mendicante che si reca da loro in cerca di cibo. A peggiorare la situazione, la mucca da latte della famiglia si ammala, tanto che il veterinario, fatto chiamare dal paese, consiglia loro di macellarla, considerandola spacciata. Tuttavia la vedova riempie un fiasco d’acqua presso un fontanile benedetto che scorre accanto alla cappellina del locale lazzaretto implorando la grazia al Signore e fa bere l’acqua benedetta alla mucca. L’animale dopo alcuni giorni guarisce. Con loro vive anche nonno Anselmo, padre della vedova, un ingegnoso e saggio contadino (sostituendo in gran segreto, con la complicità della nipote Bettina, lo sterco di gallina a quello di mucca come concime, riesce a far maturare i propri pomodori un mese prima degli altri). Anselmo è molto amato dai bambini ed è il continuatore della cultura popolare, fatta di proverbi e filastrocche, che si tramanda oralmente di generazione in generazione.

Altra vicenda narrata è il timido corteggiamento di Stefano a Maddalena, fatto d’intensi e casti sguardi e pochissime parole. Significativo è il loro primo incontro in cui Stefano, dopo aver seguito a pochi passi di distanza Maddalena lungo il sentiero per un lungo tratto, le chiede il permesso di salutarla, la giovane dopo un breve silenzio, dà l’assenso, Stefano allora la saluta, lei ricambia il saluto e si separano. I due alla fine si sposano e si recano il giorno stesso in barca a Milano, agitata dai moti del maggio 1898 con la repressione del generale Fiorenzo Bava Beccaris, per andare a trovare in un convento di bambini esposti suor Maria, zia di lei. Su richiesta della religiosa adottano un bambino di nome Giovanni Battista. ( Wikipedia )

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LIBRO: Storia delle Relazioni Internazionali di Ennio Di Nolfo

ENNIO DI NOLFO, STORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI 1918-99, LATERZA

Ennio Di Nolfo traccia una ricostruzione storica unitaria dello sviluppo del sistema politico internazionale dal primo Novecento a oggi. La nuova edizione di questo fortunato volume dà conto della serie di eventi che, con l’inizio del XXI secolo, ha radicalmente modificato i caratteri del sistema internazionale: la crisi della supremazia americana e l’affiorare di un sistema internazionale policentrico, l’emergere della forza economica e/o politica della Cina e dell’India, il ruolo dell’Europa in vista della ratifica del trattato di Lisbona, il declino e i caratteri della ripresa russa sotto Putin e fino alla presidenza Medvedev, il progressivo sottrarsi dell’America latina al controllo statunitense, i primi segni di uscita dall’isolamento dell’Africa. ( Laterza )

Ennio Di Nolfo ha anche scritto STORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI Dalla fine della guerra fredda a oggi

Guardati da vicino, gli anni successivi al 1991 appaiono dominati dal caotico disordine che segue alla disgregazione delle certezze e della sicurezza. L’esplosione di avvenimenti seguita alla crisi del sistema bipolare mostrò come sotto l’uniformità, venata dai rivoli di problemi regionali e assediata dalle incertezze dello sviluppo, fossero invece già state scavate profonde trincee che dividevano e dividono il mondo, secondo discriminanti talora difficili da decifrare. Interpretare situazioni che prima potevano essere lette come frutto della lealtà o della coerenza rispetto a uno degli schieramenti in campo, ma che venivano in gran parte destrutturate dai problemi della transizione verso nuovi ordinamenti interni e verso un nuovo ordine internazionale, è un compito del quale appare ancora impossibile, nel 2015, definire gli aspetti politici; così come le contrapposizioni economiche o monetarie sono più difficili da identificare poiché non sono più leggibili come mera contrapposizione al potere del dollaro quale principale moneta di riserva globale ma richiedono, almeno in prospettiva, la considerazione di altre questioni: valutarie, commerciali, o macroeconomiche. Uno sguardo meno condizionato dagli aspetti contingenti, e desideroso di cogliere le linee di fondo della transizione, deve sacrificare molti particolari, se vuole cogliere ciò che caratterizza il presente e condiziona il futuro; se vuole, come spesso accade ai contemporanei, separare ciò che è solo incidentale da ciò che è duraturo.

Questo non significa che la rassegnazione critica debba essere sostituita da un progetto interpretativo che razionalizzi in una proposta complessiva l’ultimo decennio del XX secolo e i primi tre lustri del XXI. L’idea di possedere la chiave dell’interpretazione storiografica cede il passo al relativismo, poiché «la verità storica è solo coerenza soggettiva» e «il passato […] è una trama irripetibile di eventi» che stimolano la sensibilità culturale e politica di chi ne scrive, con il gusto di «ridar senso alla trama» ma senza «l’illusione di recuperarne la totalità». Si tratta di mettere in evidenza quegli snodi che mostrano l’esistenza di una interdipendenza strutturale, nel senso indicato dall’economista russo-americano Wassily Leontief, per separare ciò che è semplicemente incidentale da ciò che riflette tematiche durevoli. In tal senso, il disordine apparentemente seguito alla trasparenza delle interpretazioni relative agli anni precedenti la fine dell’Unione Sovietica suggerisce ipotesi fantasiose, che tendono a presumere non solo una frattura politica ma anche una frattura interna, strutturale, relativa ai condizionamenti della politica in generale e delle relazioni internazionali in particolare. È rischioso lasciarsi suggestionare da certe, pur stimolanti, proposte di architettura interpretativa, poiché esse portano fuori strada chi invece deve darsi un compito più circoscritto: porsi alcune, non nuove, domande di fondo, per cercare di capire quanto del passato sopravviva e quali forze nuove siano entrate in gioco; quando davvero il cambiamento abbia avuto inizio, prima di esplodere in modo manifesto; e come tutto ciò assuma un carattere problematico, rispetto al quale si possono solo formulare ipotesi preliminari o si possono distinguere le tracce di un’evoluzione più complessa di quella che le relazioni internazionali in se esprimono.

La caduta del sistema sovietico apriva la via al trionfo dell’economia di mercato, declinata secondo varie forme, che andavano (e vanno) dal più completo laissez faire alla presenza di norme legislative, opportunamente studiate per tutelare dagli squilibri generati dagli eccessi capitalistici; queste formule includono persino sistemi economico-politici come la Repubblica popolare cinese, cioè sistemi politici a partito unico, ma economicamente organizzati secondo le concezioni dell’economia di mercato. Ciò è razionale rispetto alla scoperta secondo la quale anche la vittoria del comunismo non avrebbe eliminato la necessita che la produzione avvenga mediante l’utilizzo, con profitto, del capitale Tuttavia il modo inatteso e impetuoso che caratterizzo gli anni immediatamente successivi al 1989-1991 non poteva produrre effetti omogenei in tutto il globo.

Se per un certo periodo gli Stati Uniti si illusero di poter dominare politicamente, militarmente e finanziariamente il mondo, ben presto questa illusione cedette il posto alla realtà, prima di mostrare anch’essa, agli inizi del XXI secolo, i limiti che la condizionano. Se forse solo un paese rimaneva legato all’esperienza collettivistica (la Corea del Nord), altri si aprivano a esperienze diverse che, secondo le situazioni locali, si riflettevano in problemi nuovi. Tutti avrebbero dovuto tenere presente che il valore della loro produzione era, e sarebbe stato ancora a lungo, misurato in dollari. ( Laterza )

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