Roma & Le Vie delle Spezie et Altri Libri

 

Roma & Le Via delle Spezie

Le spezie erano un ingrediente fondamentale della cucina romana, le droghe entravano nella medicina, i profumi nella toilette privata e nei culti pubblici. Casia, pepe, garofano, loto, menta, senape, nardo, papavero, ruta, timo e cento altre qualità di vegetali esotici giungevano nella grande capitale dell’impero per lo più dall’Oriente. Facevano interminabili viaggi dall’Arabia, dalla Persia, dalla Cina, dall’India, per un intrico di strade che gremivano l’Asia continentale, punteggiate da metropoli e caravanserragli: Taxila, Samarcanda, Dura Europos, Petra … Oppure fluivano lungo le rotte marittime, tra la Malacca, l’India, il Mar Rosso e gli scali del Malabar, dell’Eritrea, del Madagascar, del Sinai … Le carovane dei cammelli attraversavano le montagne e i deserti, in una babele di razze, di lingue e di monete, mentre le piroghe filavano lungo i ritmi mutevoli dei venti oceanici.

La ricostruzione, spesso del tutto nuova, sulle fonti letterarie, storiche e archeologiche, di questi traffici avventurosi e spesso misteriosi, è l’impresa realizzata in questo libro da J. Innes Miller, impiegato per lunghi anni nell’amministrazione coloniale inglese e curioso cultore di studi classici. La prima parte è dedicata all’elenco ragionato e all’individuazione di tutte le spezie di cui abbiamo notizia per la civiltà antica al suo apogeo, con lo studio delle loro terre di origine, delle loro qualità, dei loro usi. Seguono poi le modalità e le vie del loro commercio, la descrizione dei convogli, dei depositi, dei mezzi di scambio.

Cosi, in queste pagine, che saldano gli itinerari di Alessandro Magno a quelli delle Mille e una Notte, si apre davanti ai nostri occhi il panorama insospettato di un’unità economica e culturale nel mondo antico, si rivelano i fondamenti, poi rimasti immutati nelle loro linee generali, delle relazioni fra l’Europa e l’Asia, associate a un intenso progresso nella conoscenza umana della botanica e della geografia, del mondo e della natura. ( Tratto da Edizioni Aseq )

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Storia dei Colli Albani

Secondo la leggenda, riportata da Virgilio nell’Eneide, Enea, nipote del re troiano Priamo e figlio di Anchise e della dea Venere, fuggendo da Troia distrutta dagli Achei sbarcò, dopo grandi peregrinazioni, nel Lazio. Il luogo dello sbarco di Enea è collocato dagli archeologi tra Pratica di Mare e Torvaianica, dove sono stati rinvenuti reperti archeologici ricollegabili con la città latina di Laurentum, capitale del re Latino. Latino, all’arrivo di Enea, diede in sposa sua figlia Lavinia al troiano forestiero, piantando in asso il pretendente Turno, re di Ardea, che venne sconfitto dopo una guerra da Enea che fondò quindi una nuova città, Lavinio ( in onore della consorte ). Enea aveva un figlio, Ascanio ( detto anche Iulo ), che gli successe al trono e decise di fondare una nuova città, Alba Longa. Storici ed archeologici per secoli hanno dibattuto sulla collocazione di questa città, che divenne la capitale della Lega Latina delle 46 città confederate del Latium, ma oggi si tende a pensare che la città sorgesse sul lato settentrionale del Lago Albano, tra Marino e Palazzolo, dirimpetto all’attuale Albano. Ai Castelli si concentravano i luoghi religiosi e politici più importanti della Lega Latina: su Monte Cavo, l’antico Mons Albanus, si venerava Giove Laziale; ad Aricia era venerata Diana, nel famoso tempio rinvenuto sulle rive del Lago di Nemi noto per l’usanza del rex Nemorensis; a Lanuvio era venerata Giunone Sospita. Le riunioni politiche della Lega si tenevano nel Locus Ferentinus, foro suburbano collocato secondo alcuni presso il Caput Aquae Ferentinum nel Bosco Ferentano di Marino, e secondo altri presso Cecchina.

Al tempo di Tullo Ostilio, attorno al 638 a.C. secondo la tradizione, scoppiò una controversia tra i romani e gli albani per via del fatto che questi ultimi effettuavano ruberie a danno delle terre dei primi. Tullo Ostilio pensò bene di risolvere la questione militarmente, per cui del resto gli deriva il cognomen, e invase i territori degli albani. Per evitare lo spargimento di sangue, si decise di far affrontare i tre fratelli Orazi ( per Roma ) e tre fratelli Curiazi ( per Alba ) che avrebbero deciso le sorti dello scontro. Rimase infine vivo solo un Orazio e Alba venne conquistata dai romani. ( Wikipedia )

Tesori d’Arte a Roma

Il Museo Mario Praz di Roma è un tipico esempio di casa-museo, contenente oltre 1200 oggetti collezionati dall’anglista Mario Praz nell’arco della sua vita. Di proprietà statale, dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali. Gli oggetti della collezione, di stili che vanno dal neoclassico al biedermeier, vengono presentati all’interno dell’abitazione dello studioso nella disposizione da lui pensata per appagare il proprio piacere di vivere non solo circondato, ma addirittura “immerso” nel bello. ( Wikipedia )

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La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Aggiornato al 8 Gennaio 2023

 

Librerie Indipendenti a Roma: Libreria Aiace – Montesacro Talenti

Librerie indipendenti a Roma

Le LIBRERIE INDIPENDENTI sono piccole realtà imprenditoriali che offrono agli appassionati di LIBRI alcuni vantaggi da tenere in considerazione

Differenza tra libreria di una Casa Editrice e una libreria indipendente

La libreria detenuta da una Casa Editrice tenderà ad avere scaffali ricolmi di libri di propria produzione.

Al contrario, in una piccola libreria indipendente, il libraio opera una prima selezione tra i titoli proposti dalle varie Case Editrici.

Perché scegliere le librerie indipendenti ?

Indubbiamente le librerie indipendenti offrono un’esperienza di acquisto molto più piacevole. Si tratta spesso di locali davvero più personali, anche solo da visitare per curiosità. ( Tratto da SnapItaly.it )

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Aggiornato al 19 Novembre 2023

 

 

Prevenzione della demenza: Leggere & Scrivere

Leggere e scrivere riducono il rischio di demenza

Ricerche scientifiche hanno dimostrato che la scarsa vocazione alla lettura potrebbe trasformarsi in un problema di salute pubblica. Una ricerca, coordinata da Jennifer Manly della Columbia University Vagelos College of Physicians and Surgeons a New York ( Stati Uniti ), pubblicata sulla rivista Neurology dell’American Academy of Neurology ( AAN ), ha tratto questa conclusione: le persone che non leggono o non scrivono, possono avere un rischio quasi tre volte maggiore di sviluppare la demenza rispetto alle persone che lo fanno.

Lo studio ha riguardato 983 persone con un’età media di 77 anni.

La scolarità era di quattro anni o meno. La popolazione è stata divisa in due gruppi: gli alfabetizzati parziali ( 746 ) e gli analfabeti totali ( 237 ).

I partecipanti sono stati sottoposti a test di memoria e di capacità elaborativa del pensiero ( per esempio richiamo di parole non-correlate e la produzione di quante più parole possibili, quando veniva data una categoria come frutta o abbigliamento ).

I controlli sono stati effettuati al momento dell’arruolamento e durante il periodo di follow- up a 18-24 mesi.

La valutazione della presenza della demenza all’inizio dello studio ha dato i seguenti risultati: il 35% degli analfabeti era demente, contro il 18% di quelli alfabetizzati.

Dopo la correzione dei dati per età, stato socioeconomico e malattie cardiovascolari, le persone che non sapevano leggere e scrivere avevano una probabilità quasi tre volte maggiore di avere la demenza all’inizio dello studio.

Un dato molto importante è stato rilevato nel proseguimento dell’osservazione, in media a 4 anni dall’inizio.

Tra coloro che erano risultati privi di demenza, il 48% degli analfabeti, che quindi non potevano leggere o scrivere, era affetto dalla malattia, contro il 27% di coloro che invece erano stati in qualche modo alfabetizzati. Quindi circa il doppio del rischio nei primi, rispetto ai secondi.

Dallo studio è anche emerso che l’alfabetizzazione era legata a punteggi più alti sulla memoria e ai test di pensiero in generale, non solo ai punteggi di lettura e lingua.

QUESTI RISULTATI SUGGERISCONO CHE LA LETTURA PUÒ AIUTARE A RAFFORZARE IL CERVELLO IN MOLTI MODI CHE POSSONO AIUTARE A PREVENIRE O RITARDARE L’INSORGENZA DELLA DEMENZA.”

Tratto da Torino Medica a firma di Mario Nejrotti ( Testo modificato )

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Aggiornato al 19 Gennaio 2024

 

Pier Paolo Pasolini: Trilogia della Vita

Trilogia della vita

L’idea nacque già nella fine degli anni sessanta, dato che in Italia la borghesia condannava il sesso e gli atti osceni, finendo quasi per sprofondare di nuovo nell’ottica che vi era nel Medioevo. Pier Paolo Pasolini volle denunciare questo fatto. Non era la prima volta che nei suoi film apparivano scene di nudo, ma il regista aveva deciso ormai di consacrare questo pudore in tutta la sua perfetta bellezza e purezza.

Il regista s’ispirò ad alcune delle novelle più significative, giocose e riflessive di Giovanni Boccaccio per la stesura del suo primo film: Il Decameron, tratto appunto dal Decamerone.

Gli attori dei tre film erano quasi tutti sconosciuti al pubblico cinematografico, infatti Pasolini li volle scegliere dai quartieri poveri di Roma e dalle borgate di un tempo, proprio per far comprendere che dei personaggi possono essere interpretati non solo da gente ricca e bella, ma anche da persone semplici.
I protagonisti in assoluto nei film erano Franco Citti e Ninetto Davoli. Nei tre film Citti e Davoli interpretano i personaggi chiave della sceneggiatura: nel Decameron Citti è Ser Ciappelletto e Davoli impersona Andreuccio da Perugia, ne I racconti di Canterbury il primo è un diavolo inquisitore e Davoli interpreta un buffone che ricorda molto la figura di Charlot interpretata da Chaplin. Nell’ultimo film: Il fiore delle mille e una notte Franco Citti è sempre un demone crudele che agisce per colpa di un malcapitato, mentre Davoli è Aziz, il protagonista della novella-chiave.

Con questa trilogia Pasolini intendeva formulare un inno alla vita, che esaltasse la vita dell’uomo libero senza freni, incentrata sulla ricerca del piacere e del diletto in un’atmosfera parallela e fantasiosa, proprio come dei fanciulli, sebbene le giuste precauzioni. ( Wikipedia )

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Aggiornato al 19 Gennaio 2024

 

 

 

Il Business del Libri Rari del Novecento

Sei un collezionista di Libri del Novecento ? Il valore economico di un Libro raro del Novecento può aumentare nel tempo

” Molte persone pensano che le copie fisiche dei libri siano obsolete e semplicemente inutili. Tuttavia c’è più di qualcuno nel mondo che la pensa diversamente ed è disposto a dargli un prezzo ! Alcune hanno un enorme valore storico, altre sono semplici opere d’arte. ” ( Catawiki – Asta di libri ).

Catawiki segnala alcuni libri tra i più costosi mai venduti !

Vangelo di St Cuthbert: €13,4 milioni

Il ‘Vangelo di St Cuthbert’ o ‘Vangelo Stonyhurst’ è un vangelo tascabile scritto in latino dell’VIII secolo. Ciò che rende questo libro unico è che è uno dei primi esempi di rilegatura nel mondo. È stato venduto all’asta nel 2012 per 13,4 milioni di euro.

Magna Carta ( esemplare originale ): €20,1 milioni

La ‘Magna Carta’, nota anche come ‘Magna Carta Libertatum’, è una carta elaborata dall’arcivescovo di Canterbury e accettata dal re Giovanni d’Inghilterra, per portare la pace tra lui e un gruppo di baroni ribelli. Nel 2007 una copia originale della Magna Carta è stata acquistata all’asta per 20,1 milioni di euro. Si dice che l’acquirente sia David Rubenstein.

Il Codice Leicester, Leonardo da Vinci: €29 milioni

Il Codice Leicester è forse il più famoso dai diari scientifici di Da Vinci. Contiene riflessioni e teorie scritte a mano su una grande varietà di argomenti, come il movimento dell’acqua, perché la luna brilla e addirittura i fossili. Nel 1717 il manoscritto fu acquistato per la prima volta da Thomas Coke, che più tardi divenne Conte di Leicester, da qui il nome del manoscritto. Nel 1980 il manoscritto andò a finire nelle mani del collezionista d’arte Armand Hammer. Nel 1994, ad ogni modo, il diario fu acquistato da niente meno che Bill Gates, che pagò 29 milioni di Euro per averlo, rendendo questo manoscritto il libro più costoso mai venduto. Beh, semplicemente ha senso che il libro più costoso appartenga all’uomo più ricco del mondo !

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Aggiornato al 17 Gennaio 2024

 

 

LIBRO: La Liberazione di Firenze di Giovanni Frullini

G. FRULLINI, LA LIBERAZIONE DI FIRENZE, SPERLING & KUPFER, 1982

Nel pomeriggio dell’8 agosto 1944 il comando militare della Resistenza ha già messo in stato d’allarme tutte le squadre d’azione perché da tanti segni si intuisce che i tedeschi si apprestano a lasciare la città mentre le truppe anglo-americane indugiano ancora a sud dell’Arno. Il segnale convenuto dell’insurrezione generale sarà il suono a martello del campanone di Palazzo Vecchio, la Martinella.

Nella notte tra il 10 e l’11 agosto i tedeschi iniziano a ritirarsi e alle 6,45 i rintocchi della Martinella chiamano alla lotta. L’insurrezione si accende dappertutto ma i partigiani non sono soli perché al loro fianco si ritrovano persone di ogni età e di ogni fascia sociale, pronte a partecipare in prima persona alla battaglia decisiva per la liberazione della città. Da sud arriva il grosso del contingente della Divisione Potente, che ha ricevuto il via libera alle 11 dal comando britannico con un fonogramma. I reparti partigiani guadano l’Arno attraverso la Pescaia di Santa Rosa e ingaggiano battaglia con la retroguardia tedesca, cominciando a stanare i franchi tiratori fascisti che dai tetti continuano a sparare e a uccidere. A sera, dopo alcuni intensi scontri pomeridiani nella zona di Rifredi, dove alcune squadre partigiane erano rimaste accerchiate, la città è sostanzialmente libera anche se alle prese con i tentativi di contrattacco tedeschi che il 15 agosto si spingeranno addirittura fino in piazza San Marco, praticamente in pieno centro.

I primi reparti alleati entreranno in città solo il giorno 13, fino ad attestarsi sulla linea del Mugnone.

Intanto, sin dai primi rintocchi della Martinella, il Comitato di Liberazione Nazionale si insedia a Palazzo Medici Riccardi, mentre a Palazzo Vecchio una giunta comunale, designata dal CLN, assume l’amministrazione della città. Il Sindaco è il socialista Gaetano Pieraccini (grande figura di medico e ricercatore nel campo delle patologie del lavoro), vicesindaci il comunista Renato Bitossi e il democristiano Adone Zoli. ( Fonte: Comune di Firenze )

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Aggiornato al 5 Gennaio 2024

 

 

LIBRO: Il Teatro di Johann Wolfgang Goethe

WOLFGANG GOETHE, TEATRO – EINAUDI

Johann Wolfgang (von) Goethe; Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 – Weimar, 22 marzo 1832) è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo tedesco. Considerato dalla scrittrice George Eliot «…uno dei più grandi letterati tedeschi e l’ultimo uomo universale a camminare sulla terra», viene solitamente reputato uno dei casi più rappresentativi nel panorama culturale europeo. La sua attività fu rivolta alla poesia, al dramma, alla letteratura, alla teologia, alla filosofia, all’umanismo e alle scienze, ma fu prolifico anche nella pittura, nella musica e nelle altre arti. Il suo magnum opus è il Faust, un’opera monumentale alla quale lavorò per oltre sessant’anni.

Goethe fu l’originario inventore del concetto di Weltliteratur (letteratura mondiale), derivato dalla sua approfondita conoscenza e ammirazione per molti capisaldi di diverse realtà culturali nazionali (inglese, francese, italiana, greca, persiana e araba). Ebbe grande influenza anche sul pensiero filosofico del tempo, in particolare sulla speculazione di Hegel, Schelling, e successivamente Nietzsche.

Nel 1786 Goethe, a 37 anni, intraprese il suo primo viaggio in Italia, durato quasi due anni: arrivò a Trento il 10 settembre e poi continuò il suo viaggio verso Rovereto e Torbole.

«Eccomi a Rovereto, punto divisorio della lingua; più a nord si oscilla ancora fra il tedesco e l’italiano. Qui per la prima volta ho trovato un postiglione italiano autentico; il locandiere non parla tedesco, e io devo porre alla prova le mie capacità linguistiche. Come sono contento che questa lingua amata diventi ormai la lingua viva, la lingua dell’uso!»

Il lago di Garda gli fece una grandissima impressione in quanto il clima mediterraneo, gli uliveti e gli agrumi del Benaco gli schiudevano un nuovo mondo e quando, poche settimane dopo, giunse a Verona, ricchissima di resti romani, il suo entusiasmo salì alle stelle, soprattutto dopo la visita all’Arena.

Dopo Verona, Goethe si sposta dapprima a Vicenza. Qui visita alcune opere architettoniche di Andrea Palladio, lodando l’artista, e Villa Valmarana ai Nani, elogiando il Tiepolo.

Il 28 settembre, alle cinque di sera, Goethe arriva a Venezia, e alla vista di una gondola, lo scrittore rammenta un modello in miniatura che il padre aveva portato dal suo viaggio in Italia.

Prosegue quindi per Roma, dove si ferma e riscrive Ifigenia in Tauride in versi, poi nel febbraio-giugno 1787 arriva a Napoli, dove si ferma più di un mese. In città soggiorna presso Palazzo Filangieri d’Arianello e Palazzo Sessa, all’epoca sede dell’Ambasciata inglese nel Regno di Napoli.

Sale per due volte sul Vesuvio in eruzione, visita Pompei, Ercolano, Portici, Caserta, Torre Annunziata, Pozzuoli, Salerno, Paestum e anche Cava de’Tirreni, città da cui rimase particolarmente affascinato.

Sbarca poi in Sicilia visitando Palermo, Segesta, Selinunte e Agrigento, passando per Caltanissetta, quindi sul versante est a Catania, Taormina e Messina. Ne rimane estasiato, affermando alle fine del suo lungo viaggio:

«L’Italia, senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto. […] La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra […] chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita.»

Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister

Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister è un romanzo di Wolfgang Goethe pubblicato per la prima volta fra il 1795 e il 1796. La data della sua pubblicazione coincide con l’inizio della Weimarer Klassik. Il romanzo è suddiviso in otto libri, a loro volta suddivisi in capitoli.

Goethe iniziò a lavorare a questo romanzo dopo essere ritornato dal viaggio in Italia. Prima di questo viaggio aveva realizzato La missione teatrale di Wilhelm Meister ( Wilhelm Meisters teatralische Sendung ): i primi libri degli Anni di apprendistato riprendono la trama della Missione, ma lo stile e le concezioni di fondo sono totalmente diverse. Goethe, di ritorno dal Grand Tour che avrebbe dato spunto a Viaggio in Italia, è giunto a una maturazione estetica e intellettuale che si riflette nel romanzo. Goethe ritornerà sul personaggio Meister in un altro romanzo, Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister ( Wilhelm Meisters Wanderjahre ), che vedrà il protagonista diventare medico, professione filantropica per eccellenza.

Wilhelm Meister è un giovane amante del teatro e della drammaturgia e la sua vocazione è quella di diventare attore e direttore di spettacoli. Così, con l’aiuto dei familiari, acquista un teatro dove espone al pubblico spettacoli di burattini, diventando presto famosissimo.
Tutto ciò Wilhelm lo fa per raggiungere alla perfezione l’essenza della verità e della finzione e cercare di farle unire tra loro. ( Wikipedia )

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Aggiornato al 29 Novembre 2023

 

LIBRO: Inni Orfici

INNI ORFICI, FONDAZIONE L. VALLA

L’Orfismo è un movimento religioso, sorto in Grecia presumibilmente verso il VI secolo a.C. intorno alla figura di Orfeo.

La figura di Orfeo – collegata a quella di un antico “missionario” greco in terra tracia, che vi perse la vita nel tentativo di trasferire il culto di Apollo – potrebbe essere precedente alla sua adozione da parte dei maestri religiosi orfici del VI secolo a.C. Il suo inserimento nelle correnti che si fanno eredi del suo nome «era dovuta a qualcosa di più che non ad un vago sentimento di venerazione per un grande nome dell’antichità»; frutto, piuttosto, da una parte della necessità di ereditare le credenze sulla “possessione” divina, propria dell’esperienza dionisiaca, dall’altra della convinzione di dover prolungare quelle pratiche di “purezza”, che erano proprie dei Misteri eleusini; tutto ciò corrisponde ai due elementi fondanti delle dottrine orfiche: la credenza nella divinità e quindi nell’immortalità dell’anima; da cui consegue, al fine di evitare la perdita di tale immortalità, la necessità di condurre un’intera vita di purezza ( Wikipedia )

Inni orfici

Gli inni orfici sono la più singolare raccolta di preghiere pagane. Siamo, con ogni probabilità, nel I o II secolo dopo Cristo in Asia Minore. Un’associazione di devoti di Dioniso, la quale immagina che Orfeo abbia fondato i misteri del dio, prepara un libro di culto. Si tratta di 87 inni: ciascuno di essi è dedicato a una divinità, e ogni preghiera (poiché l’associazione dionisiaco-orfica rifiuta i sacrifici cruenti) è accompagnata da un profumo. Gli dei dell’associazione dionisiaca hanno molti nomi – Dioniso è anche Eracle e Zeus, Eracle è anche il Sole, Artemide è anche Ecate – e la mitologia viene così intrisa di filosofia stoica e neoplatonica.

lnno Orfico ad Asclepio

Guaritore di tutti, Asclepio, signore Paian, che lenisci le sofferenze affliggenti delle malattie degli uomini, dai dolci doni, potente, vieni portando la salute e facendo cessare le malattie, penose Chere di morte, tu che fai prosperare, soccorritore, che respingi il male, dal destino felice, forte germoglio di Febo Apollo che ricevi splendidi onori, nemico delle malattie, hai come sposa Salute irreprensibile,
vieni, beato, salvatore, concedendo un buon fine di vita. Tratto da Inni Orfici ed. Lorenzo Valla trad. Gabriella Ricciardelli

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Aggiornato a 5 Gennaio 2024

 

LIBRO: Popolo Nazione Stato di Sergio Panunzio

SERGIO PANUNZIO, POPOLO, NAZIONE, STATO, LA NUOVA ITALIA, 1933

Sergio Panunzio nacque a Molfetta da Vito e Giuseppina Poli nel 1886, in una famiglia altoborghese, tra le più illustri della città: «un ambiente familiare intriso tanto di sollecitazioni all’impegno civile e politico quanto di suggestioni e stimoli intellettuali»

Il suo impegno politico nelle file del socialismo incominciò molto presto, quando ancora frequentava il liceo classico locale, ove ebbe come maestro il giovane Pantaleo Carabellese.

Nel dibattito interno al socialismo italiano — diviso tra “riformisti” e “rivoluzionari” — Panunzio si schierò tra i cosiddetti sindacalisti rivoluzionari, cominciando al contempo a pubblicare i suoi primi articoli sul settimanale «Avanguardia Socialista» di Arturo Labriola, quando era ancora studente dell’Università degli Studi di Napoli. Durante i suoi studi universitari il contatto con docenti come Francesco Saverio Nitti, Napoleone Colajanni, Igino Petrone e Giuseppe Salvioli contribuì alla formazione del suo pensiero socialista. Il suo percorso intellettuale fu altresì influenzato da Georges Sorel e Francesco Saverio Merlino, i quali avevano già da tempo incominciato un processo di revisione del marxismo.

Nel 1907 pubblica il suo primo studio, intitolato Il socialismo giuridico, in cui teorizza l’opposizione alla borghesia solidarista e al sindacato riformista da parte del sindacato operaio, il quale è destinato a trasformare radicalmente la società. Il fulcro dell’opera era costituito dalla formulazione di un “diritto sindacale operaio”, spina dorsale di un nuovo “sistema socialista” fondato non su una base economica, bensì su una base etica, solidaristica:

«Il socialismo giuridico non sarebbe dunque che l’applicazione del principio di solidarietà, immanente in tutto l’universo, nel campo del diritto e della morale: in se stesso non è una idea astratta balzata ex abrupto dal cervello di pochi pensatori, ma efflusso e irradiazione ideale di tutta la materia sociale che vive e freme attorno a noi»

La concezione panunziana del sindacato quale organo e fonte di diritto — non eusarentesi quindi in mero organismo economico o tecnico della produzione — fu approfondita nel 1909, allorché vide la luce la sua seconda opera, La persistenza del diritto, in cui egli «coniugava i princìpi della sua formazione positivistica con una ispirazione filosofica volontaristica». Panunzio prendeva quindi le mosse affrontando il problema del rapporto tra sindacalismo e anarchismo: la differenza tra i due movimenti risiedeva — a detta dell’autore — sul ruolo dell’autorità (fondata sul diritto) che, negata dall’anarchismo, non era invece trascurata dal sindacalismo:

«Il sindacalismo è d’accordo con l’anarchia nella critica e nella tendenza distruttiva dello Stato politico attuale, ma non porta alle ultime conseguenze le sue premesse antiautoritarie, che hanno un riferimento tutto contingente allo Stato presente. Il sindacalismo, per essere precisi, è antistatale per definizione e consenso unanime, ma non è antiautoritario. Le premesse antiautoritarie dell’anarchia hanno invece un valore assoluto e perentorio riferendosi esse a ogni forma di organizzazione sociale e politica. Il sindacalismo non è dunque antiautoritario»

In sostanza, Panunzio sosteneva l’importanza fondamentale del diritto (ancorché non “statale”, ma “operaio”) per il sindacalismo e la futura società, dall’autore vagheggiata come un regime sindacalista federale sostenuto dall’autogoverno dei gruppi sindacali, riuniti in una Confederazione, così da formare quella che l’autore stesso chiama «una vera grande Repubblica sociale del Lavoro», retta da una «sovranità politica sindacale».

Nel 1910, fu poi dato alle stampe Sindacalismo e Medio Evo, in cui l’autore indicava al sindacalismo operaio il modello dei Comuni italiani medievali, esempio paradigmatico di autonomia, la quale doveva essere perseguita anche dai sindacati contemporanei.

Dopo un periodo difficile, dovuto a problemi familiari ma anche a un ripensamento delle sue teorie politiche, nel 1912, grazie all’interessamento di Nitti, abbandonò l’attività di avvocato, inadeguata per mantenere la famiglia (aiutava principalmente — raramente pagato — i suoi compagni di partito), divenendo docente di pedagogia e morale presso la Regia scuola normale di Casale Monferrato. Nello stesso anno pubblicò inoltre la sua importante opera. Il Diritto e l’Autorità, in cui erano messe a frutto le sue rielaborazioni teoriche: oltre al passaggio da un orizzonte positivistico a una concezione filosofica neocriticistica, egli ripensava lo Stato non più quale organo della coazione, ma quale depositario della necessaria autorità. Il 1912 è un anno per lui importante anche perché, con la fine della guerra libica, cominciò a prender corpo la svolta “nazionale” del suo pensiero.

Dopo aver insegnato per un anno a Casale Monferrato e un altro a Urbino, nel 1914 passò alla Regia scuola normale “Giosuè Carducci” di Ferrara, ove insegnò sino al 1924, conseguendo al contempo la libera docenza presso l’Università di Napoli (l’anno successivo gli fu trasferita nell’ateneo bolognese). È di quegli anni — poco prima dell’entrata dell’Italia nella Grande Guerra — l’inizio di stretti rapporti politici e intellettuali con Benito Mussolini, direttore dell’«Avanti!» e leader dell’ala rivoluzionaria del Partito Socialista Italiano. Panunzio incominciò dunque una regolare e intensa collaborazione con il quindicinale «Utopia», appena fondato dal futuro capo del fascismo per far esprimere le voci più rivoluzionarie, eterodosse ed “eretiche” dell’ambiente socialistico italiano. In questo periodo Panunzio comprende il potenziale rivoluzionario che il conflitto europeo poteva esprimere, sicché manifesterà sempre più esplicitamente il suo appoggio all’interventismo, che era invece inviso al Partito Socialista:

«Io sono fermamente convinto che solo dalla presente guerra, e quanto più questa sarà acuta e lunga, scatterà rivoluzionariamente il socialismo in Europa. Altro che assentarsi, piegarsi le braccia, e contemplare i tronconi morti delle verità astratte! (…). Alle guerre esterne dovranno succedere le interne, le prime devono preparare le seconde, e tutte insieme la grande luminosa giornata del socialismo, che sarà la soluzione e la purificazione ideale di queste giornate livide e paurose, macchiate di misfatti e di infamie» Sergio Panunzio  ( Wikipedia )

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Aggiornato al 28 Gennaio 2024

 

LIBRI: Napoli Spagnola dopo Masaniello di Giuseppe Galasso

GIUSEPPE GALASSO: NAPOLI SPAGNOLA DOPO MASANIELLO

Giuseppe Galasso tratteggia in questi due volumi la storia di Napoli nell’età moderna nel quadro storico dell’Europa delle capitali di cui essa fu indubbiamente un caso esemplare. Una storia che segue linee e fili ricostruttivi e interpretativi ben definiti collegati ad un preciso arco temporale. Galasso, infatti, afferma che nel dare inizio al racconto di una fase della storia moderna di Napoli dal momento in cui ebbero temine i moti iniziati con a capo Masaniello e rimasti legati al suo nome (benché egli morisse dopo i primi giorni di una rivolta che durò all’incirca nove mesi) non ha bisogno di giustificazioni.

Quella rivolta e il nome Masaniello ebbero notorietà europea come pochi altri momenti e figure della storia napoletana; e la notorietà non era, in quel caso, conseguenza di una fama estemporanea ed eccessiva, bensì il risultato della percezione chiara e giustificata, da parte della opinione pubblica internazionale, che Napoli e il Regno avevano attraversato, in quei nove mesi, un momento cruciale della loto storia.

Né ha bisogno di giustificazioni la data del 1707, assunta come termine finale dei racconto, poiché anche allora si ebbe un evento memorabile nella storia napoletana, se si pensa che la Spagna aveva avuto un suo sovrano re di Napoli già alla metà del secolo XV e che, dopo il lungo periodo dal 1503 al 1707, i due paesi non si trovarono mai più sotto lo stesso sovrano. in compenso, se facili sono problemi di periodizzazione, complessi e spesso ardui sono i problemi che, da più punti di vista, pone la ricostruzione storica degli ultimi sessanta anni di presenza sovrana della Spagna a Napoli.

La Prima Edizione è di ESI nel 1972

Masaniello

Tommaso Aniello d’Amalfi, meglio conosciuto come Masaniello (Napoli, 29 giugno 1620 – Napoli, 16 luglio 1647), è stato il protagonista della rivolta napoletana che vide, dal 7 al 16 luglio 1647, la popolazione della città insorgere contro la pressione fiscale imposta dal governo vicereale spagnolo. Nella vita di questo personaggio non è sempre facile distinguere gli avvenimenti realmente accaduti da quelli elaborati dal mito.

Quella di Masaniello, finché lui fu in vita, non si configurò come una rivolta antispagnola e repubblicana come avrebbe voluto la storiografia dell’Ottocento che, profondamente influenzata dai valori risorgimentali, vedeva in lui un patriota ribellatosi alla dominazione straniera. Le cause degli eventi del luglio 1647 risiedono esclusivamente nella specificità politica, economica e sociale della Napoli spagnola nella prima metà del Seicento. Dopo la sua morte, tuttavia, la rivolta assunse connotazioni politiche e sociali[4] dal carattere antifeudale e antispagnolo e, secondo taluni, anche secessionista, al pari di quanto era accaduto alcuni anni prima, in Portogallo e Catalogna.

La rivolta fu scatenata dall’esasperazione delle classi più umili verso le gabelle imposte dai governanti sugli alimenti di necessario consumo. Il grido con cui Masaniello sollevò il popolo il 7 luglio fu: «Viva ‘o Rre ‘e Spagna, mora ‘o malgoverno», secondo la consuetudine popolare tipica dell’Ancien régime di cercare nel sovrano la difesa dalle prevaricazioni dei suoi sottoposti. Dopo dieci giorni di rivolta che costrinsero gli spagnoli ad accettare le rivendicazioni popolari, a causa di un comportamento stravagante, frutto di una strategia mirata, volta a fargli appunto ‘fare pazzie’, Masaniello fu accusato ufficialmente di pazzia ed ucciso per volere del viceré, di alcuni capi popolari e di una piccola parte della plebe.

Nonostante la breve durata, la ribellione da lui guidata indebolì il secolare dominio spagnolo sulla città, aprendo la strada per la proclamazione dell’effimera e filofrancese Real Repubblica Napoletana, avvenuta cinque mesi dopo la sua morte. Questi eventi, visti in un’ottica europea, vanno comunque inquadrati all’interno della cornice della guerra dei trent’anni e la tradizionale rivalità tra Spagna e Francia, anche per il possesso della corona di Napoli. ( Wikipedia )

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