LIBRO: L’Italia di Bonaparte di Antonino De Francesco

DE FRANCESCO: L’ITALIA DI BONAPARTE

I Bonaparte, già Buonaparte, sono una nobile famiglia corsa di origine italiana. Secondo la versione accettata dallo stesso Napoleone e da altri membri della famiglia, i Buonaparte erano originari di Firenze, dove si schierarono dalla parte ghibellina. Con la vittoria del partito dei Guelfi, nel Duecento, dovettero lasciare la città andando in esilio, prima a San Miniato, e infine a Sarzana, nell’allora Repubblica di Genova ove il primo membro conosciuto della famiglia si trova citato come Bonapars figlio di Gianfardo.

I Buonaparte passarono quindi in Corsica, prima a Bastia, con Giovanni Buonaparte, che divenne reggente delle città sotto il governatore genovese Tomasino Campofregoso, e poi definitivamente ad Ajaccio.

Il legame con la penisola italiana non fu mai rescisso: Carlo Maria Buonaparte, padre di Napoleone Bonaparte, studiò diritto all’Università di Pisa come molti suoi antenati. E attraverso i lontani parenti di San Miniato nel Granducato di Toscana, riuscì a ottenere il titolo di nobile di San Miniato, che gli permise di entrare il 13 settembre 1771 nella nuova nobiltà còrsa, voluta dai francesi che nel 1769 erano diventati i nuovi padroni dell’isola.

Campagna d’Italia

La campagna d’Italia del 1796-1797 fu la serie d’operazioni militari guidate da Napoleone Bonaparte alla testa dell’Armata d’Italia durante la guerra della prima coalizione combattuta dalla Francia rivoluzionaria contro le potenze monarchiche europee dell’Antico regime, nello specifico rappresentate dal Regno di Sardegna, dal Sacro Romano Impero e dallo Stato Pontificio.

Il generale Bonaparte dimostrò per la prima volta le sue grandi capacità di stratega e di condottiero raggiungendo, nonostante la limitatezza dei suoi mezzi, una serie di brillanti vittorie che consentirono di instaurare il dominio francese su gran parte dell’Italia settentrionale e centrale. Il generale ottenne grande prestigio e una vasta popolarità, esercitando autonomamente l’autorità sul territorio conquistato e organizzando una serie di stati strettamente collegati alla Francia. Dopo aver agito spesso in contrasto con le direttive del Direttorio, il generale Bonaparte concluse vittoriosamente la campagna firmando personalmente il trattato di Campoformio, che sancì la sconfitta dell’Impero d’Austria e della prima coalizione e confermò la predominante influenza francese in Italia, specie sulle elite peninsulari.

Nel novembre del 1796, Napoleone proclamò la Repubblica Transpadana ( Lombardia ), e l’anno successivo anche la Repubblica Cispadana ( Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia ), e adottò il tricolore come bandiera. Successivamente, con una serie di campagne vincenti, estese il suo dominio anche su Mantova e sul territorio di Venezia, che divenne la Repubblica Veneta e nel 1797, fondò la Repubblica Cisalpina, che assorbì anche la Repubblica Cispadana.
Nonostante la Pace di Campoformio ( 1797 ) lo avesse costretto a cedere il Veneto all’Austria, nell’inverno successivo le truppe napoleoniche riuscirono ad entrare a Roma e, proclamando la Repubblica Romana, costrinsero il papa a rifugiarsi in Toscana. Infine, nel gennaio del 1799 le truppe francesi entrarono anche a Napoli e proclamarono la Repubblica Partenopea.
Dopo la controffensiva austriaca i francesi furono costretti a ritirarsi da alcuni presidi in Lombardia, e Ferdinando IV di Borbone inviò le sue truppe alla riconquista di Napoli. La Repubblica Partenopea capitolò a giugno dello stesso anno, e ad agosto, in seguito alla battaglia di Novi, crollò la dominazione francese. 

Negli anni successivi Napoleone, dopo aver vinto altre battaglie decisive, si impegnò a dare un nuovo assetto territoriale all’Italia.
Nel mese di giugno del 1800, venne proclamata la seconda Repubblica Cisalpina, ed in seguito anche la Repubblica di Genova, il Piemonte e il ducato di Parma passarono alla Francia. Il dicembre del 1801 un’assemblea di notabili deliberò la nascita della Repubblica Italiana, con capitale Milano e presidente Napoleone.
Quattro anni dopo Napoleone assunse il titolo di re d’Italia ed il 26 maggio del 1805 venne incoronato con la corona ferrea.
Il territorio a lui sottomesso continuava ad allargarsi, annettendo anche il Regno Veneto, la Dalmazia, la Repubblica Ligure ed infine la Toscana.
Nel 1806 Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, fu nominato re di Napoli, e l’anno successivo vennero conquistate anche le Marche, il Lazio e l’Umbria. Restano fuori dal dominio solo la Sicilia, sotto il dominio Borbone, e la Sardegna, territorio dei Savoia.
Dieci anni dopo, la controffensiva austriaca toglieva Milano ai Francesi e causava il crollo del Regno ( 1815 ). ( Wikipedia )

 

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Aggiornato al 6 Gennaio 2024

 

 

 

LIBRO: Anabasi di Alessandro di Arriano

ARRIANO, ANABASI DI ALESSANDRO, FONDAZIONE VALLA

L’Anabasis Alexandri ( La spedizione di Alessandro ), è un testo redatto in lingua greca dallo storico greco Arriano nel II secolo, ed è la più grande fonte di informazioni su Alessandro Magno.

Oltre che un’eccellente fonte storiografica, il testo rappresenta il più antico resoconto delle avventure del conquistatore Macedone, arrivato completo fino al giorno d’oggi. Arriano fu in grado di usare fonti oggi perdute, come le opere dei coevi Geronimo di Cardia, Callistene (nipote del precettore di Alessandro, Aristotele), Onesicrito, Nearco e Aristobulo di Cassandrea, e le opere di Clitarco di Alessandria, che visse poco dopo le grandi conquiste alessandrine. Il testo di maggiore importanza a cui Arriano ebbe modo di attingere era però la biografia di Alessandro scritta da Tolomeo, uno dei più importanti generali di Alessandro e, probabilmente, suo fratellastro.

L’Anabasis Alexandri è primariamente un saggio di storia militare e si occupa poco della vita personale del conquistatore: non spiega infatti il ruolo ricoperto da Alessandro nella politica Greca, né tratta le ragioni che lo spinsero a portare battaglia in Persia non appena ne ebbe occasione.

Alessandro Magno

Alessandro III di Macedonia, universalmente conosciuto come Alessandro Magno ( Pella, ecatombeone – 20 o 21 luglio 356 a.C. – Babilonia, targelione – 10 o 11 giugno 323 a.C. ), è stato un militare macedone antico, re di Macedonia della dinastia degli Argeadi a partire dal 336 a.C., succedendo al padre Filippo II.

È noto anche come Alessandro il Grande, Alessandro il Conquistatore o Alessandro il Macedone. Il termine “magno” deriva dal latino magnus “grande”. È considerato uno dei più celebri conquistatori e strateghi della storia.

In soli dodici anni conquistò l’intero Impero persiano, un territorio immenso che si estendeva dall’Asia Minore all’Egitto fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale. Tale straordinario successo fu dovuto sia a una congiuntura storica eccezionalmente favorevole (le crisi dell’Impero persiano e della Grecia delle poleis, unite all’opera espansionistica già incominciata dal padre) sia a una sua innegabile intelligenza militare e diplomatica. Dotato di grande coraggio e carisma, Alessandro aveva un forte ascendente sui suoi soldati, che spronava anche partecipando personalmente ai combattimenti. Inoltre, egli fu uno dei primi condottieri dell’antichità ad aver capito l’importanza fondamentale della propaganda, sia per guadagnare prestigio nelle proprie fila, sia per incutere timore ai nemici.

Per assicurarsi ciò, Alessandro costituì un’imponente macchina mediatica (si fece accompagnare per tutta la durata della sua campagna da una quantità di storici e redattori di diari giornalieri, tra cui il greco Callistene) e diede estrema importanza nel corso di tutta la spedizione a gesti di forte valenza simbolica e alla divulgazione di leggende sulla propria discendenza da eroi mitici (Eracle e Achille) o persino da vere e proprie divinità. Infine si sforzò in ogni modo di fondere e amalgamare le culture delle diverse etnie che abitavano le terre che si trovò a unificare sotto il suo impero, dimostrando una disposizione al sincretismo estremamente inusuale per un greco del suo tempo. Le sue innumerevoli conquiste diedero alla cultura greca una diffusione universale, dando così avvio al cosiddetto periodo ellenistico.

Alessandro morì a Babilonia nel mese di daisios ( targelione ) del 323 a.C., forse avvelenato, forse per una recidiva della malaria che aveva contratto in precedenza o, secondo teorie più recenti, a causa di una cirrosi epatica provocata dall’abuso di vino o di pancreatite acuta. Dopo la morte del Conquistatore, l’Impero macedone fu suddiviso, non senza molti scontri e guerre, tra i generali che lo avevano accompagnato nelle sue spedizioni. Si costituirono così i cosiddetti regni ellenistici, tra cui quello Tolemaico in Egitto, quello degli Antigonidi in Macedonia e quello dei Seleucidi in Siria e in Asia Minore.

L’eccezionalità del personaggio e delle sue imprese ispirò, già durante la vita ma ancor più dopo la sua morte, un gran numero di leggende ( una famosa è quella della costruzione delle mitiche Porte di Alessandro ) e una sterminata tradizione letteraria e figurativa, in cui il condottiero venne ritratto in sembianza di eroe (ad esempio è spesso scolpito nudo, un trattamento riservato, nella Grecia classica, esclusivamente agli dei o ai semidei). Nella ritrattistica è spesso assimilato ad Achille, di cui Alessandro stesso si considerava diretto discendente per parte di madre.

I racconti storici sul suo conto hanno ben presto assunto colorazioni mitiche, ed è pertanto difficile discernere i fatti storici dalle rielaborazioni fantastiche. Le storie a lui riferite non si ritrovano solo nelle letterature occidentali: nella Bibbia (Primo libro dei Maccabei), ad esempio, si fa esplicito riferimento ad Alessandro, mentre nel Corano il misterioso Dhu al-Qarnayn (il Bicorne o letteralmente “quello dalle due corna”) viene talvolta identificato, da alcuni, con il mitico conquistatore macedone senza però evidenze. ( Wikipedia )

 

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Aggiornato al 7 Dicembre 2023

 

LIBRO: Le Catacombe Romane di Orazio Marucchi

ORAZIO MARUCCHI, LE CATACOMBE ROMANE 

Le catacombe di Roma sono antiche aree cimiteriali sotterranee ebraiche e cristiane. Erano solitamente scavate nel tufo al di fuori dell’antica cinta muraria della città, dato che all’interno di quest’ultima non era possibile seppellire i defunti ( hominem mortuum in urbe neve sepelito neve urito, “Non si seppellisca né si cremi nessun cadavere in città” ). Nel sottosuolo di Roma esistono più di 40 catacombe che si snodano per circa 150 km e su più livelli.

I nuclei più antichi delle catacombe romane risalgono alla fine del II secolo. Precedentemente i cristiani venivano sepolti insieme con i pagani; quando la comunità divenne più numerosa, fu necessario creare cimiteri collettivi. Per risolvere il problema dello spazio e grazie alla facilità dello scavo nel banco di tenero tufo sottostante la città, essi vennero realizzati con gallerie sotterranee a più piani. All’inizio le catacombe vennero utilizzate esclusivamente per scopi funerari e per il culto dei martiri ivi sepolti. L’opinione comune che vuole che esse fossero utilizzate come nascondigli dai cristiani perseguitati è probabilmente priva di fondamento. Del resto le persecuzioni caratterizzarono solamente alcuni periodi dell’Impero Romano, al tempo di Nerone (tra il 64 e il 67), Domiziano (solo nel 96), Valeriano (253-260) e Diocleziano (303-305). ( Wikipedia )

Catacombe di San Callisto, San Sebastiano e Santa Domitilla

Tre delle più importanti e più grandi catacombe presenti a Roma sono quelle di San Callisto, San Sebastiano e Santa Domitilla.
Tutte e tre sono comprese nella zona dell’Appia Antica – tra Via Appia e via Ardeatina – e sono vicine le una alle altre.
Prima di iniziare la discesa in questi labirinti sotterranei carichi di storia e suggestioni, è d’obbligo una piccola sosta per assaporare la pace bucolica della stradina che si trova all’incrocio tra la Via Appia e la Via Ardeatina, all’ingresso alle catacombe di San Callisto, da dove inizia il percorso.

Catacombe di San Callisto – Via Appia Antica, 110 – km. 1,8

Sorte verso la metà del secondo secolo, in esse trovarono sepoltura più di 500.000 cristiani, tra cui decine di martiri e 16 pontefici.
Le catacombe di San Callisto occupano un’area di 15 ettari e contano quasi 20 km di gallerie sotterranee, che scendono a grande profondità ( 20mt. ) e si diramano su quattro e a volte cinque livelli, fiancheggiati da loculi ( nicchie scavate ) disposti su due e tre livelli l’uno sull’altro.
Nella parte superiore del complesso ( “sopraterra” ) sono visibili due piccole basiliche con tre absidi, dette “Tricore”. In quella orientale furono probabilmente sepolti il papa S. Zefirino e il giovane martire dell’Eucarestia, S.Tarcisio.
Nella zona sottorranea, la Cripta dei Papi è sicuramente il luogo più importante. Definito anche “il piccolo Vaticano”, questo luogo conserva i resti di almeno cinque Papi martirizzati e poi santificati.
La Santa Cecilia è sepolta dove ora si trova la sua stupenda statua, capolavoro di Stefano Maderno. Nell’821 le reliquie di Santa Cecilia furono trasportate in Trastevere nella basilica a lei dedicata. 
La cripta era interamente decorata con affreschi e mosaici.
I Cubicoli dei Sacramenti sono tombe di famiglia, all’interno delle quali si trovano importanti affreschi, databili inizio del III secolo. In queste suggestive pitture sono rappresentati simbolicamente i sacramenti del Battesimo e dell’Eucarestia. In un affresco, inoltre, è raffigurato anche il profeta Giona, simbolo di resurrezione.

Catacombe di San Sebastiano – Via Appia Antica,136 – km. 2,4

È qui che si trovano le prime tombe cristiane definite “catacombe” dal nome con cui era nota la vallata. Le catacombe di San Sebastiano sono molto simili a quelle di San Callisto. Presentano quattro livelli di profondità, e all’interno sono ancora ben visibili alcuni dipinti risalenti ai primi tempi del Cristianesimo, stucchi graffiti e mosaici. La parte centrale dell’ itinerario è la Basilica di San Sebastiano, una delle sette mete di pellegrinaggio a Roma.
La chiesa è in stile barocco. Nella prima cappella a sinistra si trova una statua in marmo di S. Sebastiano e accanto c’è la cripta in cui sono conservati i resti del Santo.
Nella cappella dell’abside di destra, sono custodite altre sacre reliquie: una pietra con un’impronta attribuita a Gesù Cristo; alcune delle frecce che trafissero S. Sebastiano, la colonna a cui fu legato il Santo, e infine le mani di S. Callisto e di S. Andrea.

Catacombe di S. Domitilla ( anche dette dei Santi Nereo e Achilleo ) – Via delle Sette Chiese, 282

Queste catacombe, non troppo distanti dalle precedenti, sono tra le più vaste e le più antiche. Si tratta di 15 km di gallerie sotterranee disposte su 4 livelli. Sono ben conservate e contano oltre 150.000 sepolture.
I corpi dei defunti venivano per lo più introdotti in fenditure poco profonde scavate nella pietra. I ricchi avevano tombe più spaziose e con archi decorati, che spesso erano vere e proprie tombe di famiglia.
La visita avviene scendendo alla basilica e da questa alle catacombe.
Una piccola basilica in muratura è dedicata ai Santi Nereo e Achilleo, martirizzati da Diocleziano e deposti in una cripta trasformata in edificio di culto.
La Basilica è a tre navate separate da due file di quattro colonne.  Altare maggiore: qui si trovano l’unica colonnina rimasta intatta, decorata con la decapitazione di Achilleo e la tomba di S. Petronilla.
La navata sinistra: qui si trovano le tombe di alcuni membri della famiglia dei Flavi Aureli ( seconda metà del II secolo ), la zona nata come ipogeo privato pagano, durante il III sec., accolse anche sepolture cristiane.  Al livello inferiore Interessanti il cubicolo con l’affresco del III secolo del Cristo Buon Pastore e la cosiddetta regione “della Madonna” in cui sono visibili dipinti del III e IV secolo, tra i quali spicca quello raffigurante i quattro Magi che si avvicinano alla Vergine con il Bambino. ( Italia.it Agenzia Nazionale Turismo )

 

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Aggiornato al 2 Gennaio 2024

 

 

 

LIBRI: Il Capitale di Karl Marx

MARX, IL CAPITALE, EDITORI RIUNITI

Il Capitale ( Das Kapital ) è l’opera maggiore di Karl Marx ed è considerata il testo-chiave del marxismo. Il Libro I del Capitale fu pubblicato quando l’autore era ancora in vita (1867), gli altri due uscirono postumi. Il Libro II ed il III uscirono a cura di Friedrich Engels rispettivamente nel 1885 e nel 1894, mentre il Libro IV venne pubblicato (1905-1910) da Karl Kautsky con il titolo di Teorie del plusvalore.

Il sottotitolo dell’opera, Critica dell’economia politica, evidenzia chiaramente la contrapposizione esplicita di Marx all’economia politica di stampo liberista all’epoca dominante. Marx, partito dalla scuola della politica economica degli economisti classici, con i suoi studi se ne allontana, ridefinendo la centralità del lavoro nei processi di creazione, accumulazione e ricircolazione del capitale e introducendo il concetto di plusvalore altrimenti non identificato. Tutto il pensiero di Marx può essere visto come una riflessione in chiave critica sui temi sollevati da Adam Smith e David Ricardo, tra i massimi esponenti di quella scuola, e la teoria marxiana del valore è chiaramente impostata nella teoria del valore-lavoro degli economisti classici, tanto che alcuni considerano Marx, per quanto ne scardinerà tutto l’apparato, l’ultimo grande esponente della scuola classica.

La prima divulgazione in lingua italiana del Capitale, sotto forma di compendio del Libro I, fu opera dell’anarchico Carlo Cafiero. Il testo, che constava di 10 brevi capitoli (126 pagine in tutto), fu terminato nel marzo del 1878 e pubblicato il 20 giugno 1879 col titolo: Il capitale di Carlo Marx brevemente compendiato da Carlo Cafiero. Libro primo. Sviluppo della produzione capitalista.

In seguito, il testo dell’opera fu tradotto in italiano nel 1886 e pubblicato per la prima volta, seppur in versione incompleta, dall’Unione Tipografico-Editrice di Torino ( UTET ) allora diretta dal genovese Gerolamo Boccardo, che riunì 43 dispense pubblicate in precedenza. La prima traduzione autorizzata da Karl Marx è però quella riassunta da Gabriele Deville su traduzione di Ettore Guindani pubblicata nel 1893 a cura del giornale di Cremona “L’eco del popolo”. ( Wikipedia )

 

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Aggiornato al 4 Gennaio 2024

 

 

LIBRI: Caccia & Bombardieri 1a e 2a Guerra Mondiale

CACCIA E BOMBARDIERI 2a GUERRA MONDIALE, CACCIA 1a GUERRA MONDIALE

L’impiego operativo dell’aereo come fattore preponderante di superiorità nei conflitti fu teorizzato dall’italiano Giulio Douhet, che in un suo scritto del 1909 sottolineò per la prima volta che il dominio bellico dell’aria sarebbe stato altrettanto importante di quello delle rotte marittime[8]. Seguendo gli studi di Dohuet, nel 1911 gli italiani in Libia utilizzarono per primi la nuova arma come mezzo di ricognizione e di offesa durante la Guerra italo-turca[4] In particolare, il 23 ottobre il capitano Carlo Maria Piazza fu l’autore della prima ricognizione tattica, mentre il 1º novembre il sottotenente Giulio Gavotti eseguì da un velivolo il primo bombardamento a mano della storia a bassa quota, su di un accampamento turco ad Ain Zara, lanciando tre bombe a mano.

Lo scoppio della prima guerra mondiale fu senza dubbio un potente stimolo allo sviluppo militare del nuovo mezzo aereo, anche se inizialmente vi furono forti resistenze alla sua adozione. Persino figure di grande rilievo nel conflitto, come Ferdinand Foch, affermarono a tal proposito che “l’aviazione è un ottimo sport, ma è completamente inutile per i fini dell’esercito”

Il Barone Rosso

Un cambio di regime della guerra aerea fu segnato dalla morte di Boelcke in una collisione con un altro aereo pilotato da Erwin Böhme il 28 ottobre 1916, e dalla salita agli onori delle cronache di un suo protetto, il barone Manfred von Richthofen. Il giovane pilota abbatté in combattimento l’asso inglese Lanoe Hawker, e per celebrare la vittoria, dipinse il suo Albatros interamente di rosso, dando così inizio alla leggenda del “Barone Rosso”

Quello che per i francesi era le diable rouge e per gli inglesi the Red Baron, Manfred von Richthofen nacque il 2 maggio 1892 a Breslavia, allora capitale della Slesia, nel Regno di Prussia ( ora in Polonia), sotto il regno del Kaiser Guglielmo II. Era il secondo figlio (dopo la sorella Elisabeth “Ilse”  della nobildonna Kunigunde von Schickfus und Neurdoff e del barone Rittmeister Albrecht Philip Karl Julius von Richtofen (1859-1920), ufficiale di fanteria arruolato nel Leib-Kürassier-Regiment di base a Breslavia, dove nacque anche il fratello di Manfred, Lothar von Richthofen, che a sua volta sarebbe divenuto aviatore. Ancora bambino, Manfred si trasferì con la famiglia a Schweidnitz (oggi Swidnica, in Polonia). In gioventù praticò caccia ed equitazione. Completò l’addestramento alla scuola per cadetti di Wahlstatt, e in seguito fu addestrato nella Reale Accademia militare prussiana a Groß-Lichterfelde, dalla quale uscì nella primavera del 1911[5]. Assegnato come alfiere al 1º Reggimento Ulani “Imperatore Alessandro III” a Ostrovo, a pochi chilometri dalla frontiera russa, nel 1912 fu nominato sottotenente.

Nel maggio del 1915 fu accolta la sua domanda d’entrare nella Luftstreitkräfte, l’aviazione tedesca: superato l’addestramento a Großenhain, ai primi di giugno venne destinato al 7º Reparto Complementi dell’aviazione di Colonia per un corso osservatori.

L’appellativo di Barone Rosso gli venne appunto dal fatto che molti degli aerei da lui pilotati, a partire dall’Albatros D.III, erano completamente dipinti di rosso.

In poco più di due anni di servizio nell’Aviazione imperiale tedesca era diventato l’ “asso degli assi” con 80 vittorie aeree confermate. Dopo la guerra sarà riconosciuto come il simbolo universale dei combattimenti nei cieli, imbevuti di cavalleria e di quel romanticismo tipico dell’alto lignaggio di molti aviatori di un secolo fa.

La mattina del 21 aprile 1918 Manfred Von Richthofen si alzerà in volo per l’ultima volta. Nel cielo di Vaux-sur-Somme ingaggiò un combattimento con una formazione britannica sopra la linea del fronte. Il Barone Rosso era sceso in picchiata per inseguire a volo radente un caccia nemico quando fu fatto bersaglio da terra degli artiglieri australiani. Quando il Fokker rosso si schiantò nei campi, il mito dell’aviazione militare era già morto, trapassato da un proiettile in pieno petto. ( Wikipedia )

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