LIBRI: Storia dell’Italia Repubblicana

STORIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA EINAUDI, 3 VOLL, 5 TOMI

Il punto su cinquant’ anni di vita della nostra Repubblica. Dalla faticosa ricostruzione della democrazia nel dopoguerra agli anni dello sviluppo, ma anche delle arretratezze, dall’analisi delle linee economiche e istituzionali, allo studio dei mutamenti della società. La nostra storia recente per comprendere l’ oggi e le sue contraddizioni.

La Repubblica Italiana nacque il 2 giugno 1946, in seguito ai risultati del referendum istituzionale indetto quel giorno per determinare la forma di stato dopo la fine della seconda guerra mondiale. I risultati furono proclamati dalla Corte di Cassazione il 10 giugno successivo: la repubblica ottenne il 54% dei consensi e i ricorsi concernenti presunti brogli circa la legalità dello svolgimento della consultazione furono respinti il giorno 18 giugno.

La notte fra il 12 ed 13 giugno 1946, nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente Alcide De Gasperi, preso atto del risultato referendario, assunse le funzioni di Capo provvisorio del nuovo Stato repubblicano. Messo di fronte al fatto compiuto, l’ex re Umberto II, rimasto in carica soltanto un mese e per questo soprannominato il “re di maggio”, lasciò polemicamente e volontariamente il paese il 13 giugno 1946.

Il miracolo economico

Durante il cosiddetto “miracolo economico” il Prodotto interno lordo, che fino al 1958 era cresciuto in media del 5.5%, crebbe nei sei anni successivi del 6.3%. Tale crescita rappresentò un record nella storia del paese. Il reddito pro-capite passò da 350.000 a 571.000 lire. Tra il 1958 e il 1959 gli investimenti lordi crebbero del 10%, mentre tra il 1961 e il 1962 l’incremento fu del 13%. Questi numeri ridussero sensibilmente il divario storico con i grandi Paesi europei: Inghilterra, Germania e Francia.

La crescita del reddito pro capite produsse l’aumento dei consumi individuali che registrarono una crescita media di cinque punti percentuali l’anno. La domanda di beni durevoli (automobili, elettrodomestici, ecc.) raggiunse una crescita annua pari al 10.4%.

La produzione industriale registrò una crescita pari all’84% tra il 1953 e il 1961, grazie sia alle nuove tecnologie di produzione che arrivavano in gran parte dagli Stati Uniti, sia ad una manodopera con bassi salari.

Con l’aumento dell’industrializzazione diminuì il peso delle attività agricole nel bilancio globale dell’economia del paese. Tra il 1954 e il 1964 in tutta Italia vi fu una diminuzione di 3 milioni di posti di lavoro nel settore agricolo. Il peso dell’agricoltura si ridusse del 10.8% del Prodotto interno lordo.

Tra il 1958 e il 1963, infatti, l’economia italiana, ma anche la società e le famiglie, subirono una radicale trasformazione: da paese prevalentemente agricolo l’Italia diventò una delle sette grandi potenze industriali del mondo.

Allora l’Italia primeggiava soprattutto in due grandi settori ad alta tecnologia, quali la microelettronica e la chimica, grazie a gruppi industriali come la Olivetti e la Montecatini, ma anche nella farmaceutica, nel nucleare, nell’aeronautica, nelle telecomunicazioni, settori che in seguito sarebbero scomparsi o finiti in mani straniere.

Importanti cambiamenti ci furono nell’alimentazione e nella vita delle donne, grazie alla diffusione degli elettrodomestici, in particolare del frigorifero e della lavatrice. Anche le automobili e le motociclette divennero beni accessibili per un gran numero di italiani. Si affermarono marchi come Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Autobianchi, Gilera, Piaggio.

Contribuì alla rapida crescita dell’Italia l’elevata disponibilità di manodopera, dovuta ad un forte flusso di migrazione dalle campagne alle città, e dal Sud verso il Nord. Questo fenomeno provocò per certi versi un aumento del divario economico tra il Settentrione e il Meridione. Il tentativo di ridurre tale squilibrio con l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, o la formazione di poli siderurgici Italsider, non darà risultati soddisfacenti. Ma contribuì alla crescita anche un fattore esterno, cioè la creazione del Mercato comune europeo (MEC), preceduta dalla creazione nel 1951 della Comunità europea del carbone e dell’acciaio e la creazione della CEE nel 1957, a cui l’Italia aderì immediatamente. Con la creazione del MEC vi fu l’apertura delle frontiere europee ai commerci, col conseguente aumento delle esportazioni e degli scambi commerciali europei.

Se il paese uscì dall’arretratezza in cui versava, non mancarono però gli aspetti negativi legati al “miracolo economico”, come una crescita tumultuosa dei centri urbani. Questo notevole sviluppo si dovette tra l’altro anche all’intervento dello Stato nell’economia attraverso politiche di tipo Keynesiano, rese possibili soprattutto dall’aumento della spesa pubblica e dalla creazione di società a partecipazione statale. Fondamentale in tal senso fu la realizzazione di alcune infrastrutture necessarie per lo sviluppo del mercato: un importante ruolo fu ricoperto dall’IRI, ente pubblico di origine fascista fondato nel 1933, che intervenne sostanzialmente nella costruzione della rete autostradale (con la costituzione della Società Autostrade) e nel potenziamento del settore dei trasporti, non solo automobilistico, ma anche metropolitano, navale e aereo ( fondazione dell’Alitalia ).( Wikipedia )

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Aggiornato a 19 Novembre 2023

 

LIBRI: Stato e Chiesa nelle Due Sicilie di Francesco Scaduto

F. SCADUTO, STATO E CHIESA NELLE DUE SICILIE, 2 VOLL, 1969

Nel Regno delle Due Sicilie da subito si è cercato di stabilire un rapporto sereno e costruttivo tra Chiesa e Stato, già grazie a Carlo di Borbone che da subito stabilì un concordato con la Santa Sede per regolare la reciproca convivenza.

Il figlio Ferdinando IV, cattolico convinto e Re illuminato, pur difendendo l’ autonomia del suo governo riguardo la temporalità, pure attraverso maniere forti e decisivi nei riguardi della Chiesa stessa, non mancò comunque di mostrare rispetto e subordinazione verso l’ autorità del Papa. Fu proprio lui che corse in aiuto del Romano Pontefice quando i giacobini francesi occuparono Roma. Inoltre questo Re non mancò mai, anche nel governo del Regno, di rifarsi a quei principi cristiani ed evangelici.

Il popolo delle Due Sicilie è stato sempre un popolo religiosissimo e legato alla Chiesa Cattolica. Forte la devozione mariana, e non mancava mai la recita del Santo Rosario, anche nella stessa corte. Inoltre la tradizione della gente era profondamente cattolica. Lo stesso Re Carlo non mancò di promuovere quelle devozioni proprie del cattolicesimo, in particolare il presepe.

Non è possibile dimenticare che la corte borbonica si rifaceva sempre agli insegnamenti della Chiesa. In essa ecclesiastici sommi per santità trovarono sempre grande considerazione come Sant’Alfonso M. De Liguori, il venerabile don Placido Baccher, San Gaetano Errico, il venerabile Cardinale Sisto Riario Sforza, e tanti altri uomini eccezionali per cultura e fede.

Quindi nello Stato meridionale della penisola italica il cattolicesimo era l’ unica religione dello Stato. Nella Costituzione del 1848, si affermava che l’ unica religione dello Stato era quella Cristiana Cattolica Romana, senza che possa essere mai permesso l’ esercizio di alcuna altra Religione.

Tra Ferdinando II e Pio IX i rapporti divennero sempre più forti, specialmente per l’ accoglienza ricevuta dal Papa dopo la sua fuga da Roma.

Il Regno delle Due Sicilie contribuì alla costruzione del monumento in onore dell’ Immacolata Concezione, il cui dogma era stato affermato dal Pontefice proprio dopo la sua permanenza a Gaeta nel regno, a piazza di Spagna di Roma.

Ancora oggi il Papa si reca in quel luogo, ogni 8 dicembre, ad omaggiare la Madonna Immacolata, da sempre principale Patrona del Regno delle Due Sicilie.

Nel 1857 ci furono vari decreti regi nei quali si concesse la sepoltura nelle chiese e nelle cappelle agli ecclesiastici, si prevedevano anche per essi che i processi avvenissero a porte chiuse e per i vescovi la possibilità di scontare la pena in un convento; agevolazioni fiscali, la facoltà della revisione sulla stampa dei libri nazionali ed esteri, l’ affidamento ai vescovi del Consiglio dell’ Istruzione pubblica e dell’ incarico di Ispettori per tutti i tipi di scuole, nonchè altre disposizioni su matrimoni religiosi e nomine ecclesiastiche.

Tutti questi provvedimenti fecero si che lo Stato delle Due Sicilie venisse bollato dagli intellettuali come confessionale e non laico.

Inoltre il Re si serviva proprio delle istituzioni ecclesiastiche nel territorio delle Due Sicilie, per permettere l’ istruzione a largo raggio. Infatti ogni parrocchia o convento del Regno, anche nei paesi più sperduti, dovevano organizzare e promuovere, con l’ ausilio del Re, l’ istruzione primaria dei fanciulli.

Anche tra Francesco II e Pio IX questi rapporti furono forti e radicati. Tanto più che Re Francesco, formatosi alla scuola dei Gesuiti, aveva grande devozione e affetto per il Romano Pontefice. ( Tratto da Comitati delle Due Sicilie )

 

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