LIBRO: Lettori selvaggi di Giuseppe Montesano

MONTESANO: LETTORI SELVAGGI, GIUNTI

Lettori selvaggi. Dai misteriosi artisti della Preistoria a Saffo a Beethoven a Borges. La vita vera è altrove di Giuseppe Montesano

Vincitore del Premio Viareggio Rèpaci 2017 nella sezione Saggistica
Giuseppe Montesano attraversa il tempo, lo spazio, le culture, i generi: scopre la “vita vera” nel silenzio del pensiero e nella vibrazione della musica, nelle parole di scrittori, poeti e mistici, nelle immagini del cinema, dell’arte…

Leggere per vivere ci risveglia dalla noia, dalla sconfitta, dalla rassegnazione. Non abbiamo sempre avuto questa vita qui, da servi e da infelici. Abbiamo avuto giorni e sogni favolosi, quando l’avventura ci ha soffiato in viso il mare delle partenze. Possiamo accettare l’esistenza falsa che hanno scelto per noi, e chiudere porte e finestre ai giorni che ci chiamano: ma possiamo ancora spalancare porte e finestre, e vivere tutte le vite che si possono vivere. Leggere per esistere fa zampillare in ogni istante la possibilità di essere noi stessi, di respirare in un perpetuo innamoramento. Non viviamo una vita vera, e demoni meschini ci tengono sepolti nelle nostre paure. Ma giorno dopo giorno, smarriti tra rabbie e tremori, visitati da amori e stupori, forse possiamo diventare vivi. Giuseppe Montesano attraversa il tempo, lo spazio, le culture, i generi: scopre la “vita vera” nel silenzio del pensiero e nella vibrazione della musica, nelle parole di scrittori, poeti e mistici, nelle immagini del cinema, dell’arte… La scopre e ce la indica, in un racconto fatto di ritratti e impressioni che accendono il desiderio dell’incontro.

Giuseppe Montesano è nato a Napoli. È autore dei romanzi Nel corpo di Napoli ( Mondadori 1999, finalista al Premio Strega ), A capofitto ( Mondadori 2000 ), Di questa vita menzognera ( Feltrinelli 2003, Premio Selezione Campiello e Premio Viareggio-Rèpaci ) e Magic People ( Feltrinelli 2005 ).
Ha tradotto molti scrittori francesi e curato opere di Dick, Savinio, Tournier, Malaparte, Hesse, Dumas, Ottieri. Ha scritto Il ribelle in guanti rosa. Charles Baudelaire ( Mondadori 2007, Premio Vittorini ) sul poeta di cui ha curato, con Giovanni Raboni, le opere per I Meridiani. ( Fonte: Giunti )

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Aggiornato al 4 Gennaio 2024

LIBRO: Le Notti di Chicago di Nelson Algren

N. Algren, Le Notti Di Chicago, Einaudi, I Gettoni, 1954

Nelson Algren ( Detroit, 28 marzo 1909 – Long Island, 9 maggio 1981 ) è stato uno scrittore e poeta statunitense. Fu un narratore dello squallore dei bassifondi di Chicago abitati da pugili, giocatori d’azzardo, immigrati soprattutto messicani e polacchi.

Si inserisce, assieme a James Thomas Farrell, Richard Wright e John Hersey nella corrente del Realismo americano iniziata da Theodore Dreiser.

Nel 1935 pubblica il suo primo romanzo, Somebody in Boots. L’opera è scritta nello stile documentaristico classico degli anni Trenta, ma vende solo 750 copie; deluso, l’autore deve essere ricoverato in ospedale per un breve periodo, probabilmente in seguito a un tentativo di suicidio.

Nella seconda metà degli anni Trenta Algren scrive racconti e lavora saltuariamente per l’Illinois Writers’ Project della Work Progress Administration istituita dal governo Roosevelt; si sposa con Amanda Kontowicz, da cui successivamente divorzierà per poi risposarla e infine divorziare di nuovo.

Il 1947 è un anno cruciale per Nelson Algren. Esce il suo terzo libro, The Neon Wilderness ( Le Notti di Chicago ). ll mondo di questi racconti è quello dei losers, i perdenti: puttane, vagabondi, giocatori d’azzardo, pugili di seconda categoria.

“I politici e gli intellettuali mi annoiano” scrisse una volta Algren, “mi sembrano irreali; la gente che frequento è quella che mi pare vera: puttane, drogati, ladri; sono gli unici rimasti con qualcosa da dire e nessuno a cui dirlo.”

 

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Aggiornato al 5 Gennaio 2024

 

LIBRO: Umano, Troppo Umano di Friedrich Nietzsche

NIETZSCHE: UMANO, TROPPO UMANO E I FRAMMENTI POSTUMI

Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi ( Menschliches, Allzumenschliches. Ein Buch für freie Geister ) è il primo saggio eminentemente filosofico di Friedrich Nietzsche, pubblicato in due parti tra il 1878 e il 1879.

L’opera si distacca totalmente dai precedenti lavori del filosofo: si tratta difatti di una raccolta di aforismi incentrati specificamente sull’essere umano e sulla sua particolare condizione esistenziale. L’acuta e attenta riflessione nietzschiana sulla “Krisis” in cui si trova l’uomo contemporaneo costituirà uno degli spunti fondamentali per gran parte della riflessione filosofica a venire.

Nel 1876 Nietzsche rompe con Richard Wagner, contemporaneamente con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute le quali, facendosi sempre più precarie (emicranie e problemi di vista sempre più acuti e frequenti) lo costringono a chiedere un periodo di aspettativa dai suoi doveri accademici presso l’università di Basilea. Nell’autunno di quello stesso anno, accompagnato dal suo nuovo amico Paul Rée, uno studioso di filosofia di origine ebraica (e pertanto subito inviso ai Wagner, fanatici antisemiti), si reca a Sorrento ospite di Malwida von Meisenburg, ricca mecenate delle arti, e qui inizia a scrivere “Umano, troppo umano”.

È l’inizio del periodo cosiddetto illuministico del pensiero nietzschiano, favorito anche dai continui e proficui scambi di opinioni con Ree: il libro viene infine dedicato a Voltaire, pensatore che assurge così ad esempio simbolico della figura teorica dello “spirito libero”: nella celebrazione della ricorrenza della morte, 1878. All’inizio, invece della prefazione c’era una citazione da un brano del Discorso sul metodo di Cartesio.

Friedrich Nietzsche

Friedrich Wilhelm Nietzsche ( Röcken, 15 ottobre 1844 – Weimar, 25 agosto 1900 ) è stato un filosofo, poeta, saggista, compositore e filologo tedesco. Considerato tra i massimi filosofi e scrittori di ogni tempo, ebbe un’influenza controversa, ma indiscutibile, sul pensiero filosofico, letterario, politico e scientifico del mondo occidentale nel XX secolo. La sua filosofia, in parte riconducibile al filone delle filosofie della vita e all’irrazionalismo, è considerata da alcuni uno spartiacque fra la filosofia tradizionale e un nuovo modello di riflessione, informale e provocatorio. In ogni caso, si tratta di un pensatore unico nel suo genere, sì da giustificare l’enorme influenza da lui esercitata sul pensiero posteriore.

Scrisse vari saggi e opere aforistiche sulla morale, la religione (in particolare quella cristiana), la società moderna, la scienza, intrise di una profonda lucidità e avversione alla metafisica, seppure spesso il filosofo venga accomunato anche all’irrazionalismo, di una forte carica critica, sempre sul filo dell’ironia e della parodia. Nella sua filosofia si distingue una prima fase “wagneriana”, che comprende La Nascita della Tragedia e le Considerazioni inattuali, in cui il filosofo combatte a fianco di Richard Wagner per una “riforma mitica” della cultura tedesca.

Questa fase sarà poi abbandonata e rinnegata con la pubblicazione di Umano, troppo umano – nella stagione cosiddetta “illuministica” del suo pensiero –, per culminare infine, pochi anni prima del crollo nervoso che metterà fine alla sua attività – probabile conseguenza di una patologia neurologica ereditaria – in una terza fase, prominente del suo pensiero, dedicata alla trasvalutazione dei valori e al nichilismo attivo, costellata dai concetti di oltreuomo, eterno ritorno e volontà di potenza, fase che ha il suo apice (e inizio) con la pubblicazione del celeberrimo Così parlò Zarathustra. ( Wikipedia )

 

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Aggiornato al 5 Gennaio 2024

 

LIBRO: La Liberazione di Firenze di Giovanni Frullini

G. FRULLINI, LA LIBERAZIONE DI FIRENZE, SPERLING & KUPFER, 1982

Nel pomeriggio dell’8 agosto 1944 il comando militare della Resistenza ha già messo in stato d’allarme tutte le squadre d’azione perché da tanti segni si intuisce che i tedeschi si apprestano a lasciare la città mentre le truppe anglo-americane indugiano ancora a sud dell’Arno. Il segnale convenuto dell’insurrezione generale sarà il suono a martello del campanone di Palazzo Vecchio, la Martinella.

Nella notte tra il 10 e l’11 agosto i tedeschi iniziano a ritirarsi e alle 6,45 i rintocchi della Martinella chiamano alla lotta. L’insurrezione si accende dappertutto ma i partigiani non sono soli perché al loro fianco si ritrovano persone di ogni età e di ogni fascia sociale, pronte a partecipare in prima persona alla battaglia decisiva per la liberazione della città. Da sud arriva il grosso del contingente della Divisione Potente, che ha ricevuto il via libera alle 11 dal comando britannico con un fonogramma. I reparti partigiani guadano l’Arno attraverso la Pescaia di Santa Rosa e ingaggiano battaglia con la retroguardia tedesca, cominciando a stanare i franchi tiratori fascisti che dai tetti continuano a sparare e a uccidere. A sera, dopo alcuni intensi scontri pomeridiani nella zona di Rifredi, dove alcune squadre partigiane erano rimaste accerchiate, la città è sostanzialmente libera anche se alle prese con i tentativi di contrattacco tedeschi che il 15 agosto si spingeranno addirittura fino in piazza San Marco, praticamente in pieno centro.

I primi reparti alleati entreranno in città solo il giorno 13, fino ad attestarsi sulla linea del Mugnone.

Intanto, sin dai primi rintocchi della Martinella, il Comitato di Liberazione Nazionale si insedia a Palazzo Medici Riccardi, mentre a Palazzo Vecchio una giunta comunale, designata dal CLN, assume l’amministrazione della città. Il Sindaco è il socialista Gaetano Pieraccini (grande figura di medico e ricercatore nel campo delle patologie del lavoro), vicesindaci il comunista Renato Bitossi e il democristiano Adone Zoli. ( Fonte: Comune di Firenze )

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LIBRO: Dante Vivo di Giovanni Papini

 

GIOVANNI PAPINI, DANTE VIVO, LIB. ED. FIORENTINA, 1933, 1 ED AUTOGRAFATA

Sarà meglio dir subito, a scanso di malintesi e dispiaceri, che questo non è libro di professore per scolari, né di critico per critici, né di pedante per pedanti, né di un pigro compilatore per uso di pigri lettori. Vuol essere il libro vivo d’un uomo vivo sopra un uomo che dopo la morte non ha mai cessato di vivere. E’ il libro, innanzi tutto, d’un artista sopra un’artista, d’un cattolico sopra un cattolico, d’un fiorentino sopra un fiorentino.

“Dante è un mondo in compendio e anche, per scorcio, un popolo. Popolo non tutto omogeneo e concorde.
Vedo in lui, oltre il fiorentino del Duecento, un profeta ebreo, un sacerdote etrusco e un imperialista romano.
Era nutrito, come tutti i cristiani erano e dovrebbero essere, col midollo della Bibbia.
Ma ho il sospetto che si confacesse al suo spirito più il Vecchio Testamento che il Nuovo. E nel Vecchio doveva sentirsi più vicino ai Profeti.
Quel bisogno di avvertire, di ammonire, di minacciare, d’annunziare, in forma simbolica ma spesso ispirata e cruda, tanto i castighi che le salvazioni future, accomuna Dante ai grandi Profeti d’Israele.”

Giovanni Papini

Giovanni Papini nacque in una famiglia artigiana da Luigi Papini, ex garibaldino e repubblicano ateo e anticlericale, ed Erminia Cardini, che lo fece battezzare all’insaputa del padre. Ebbe un’infanzia e un’adolescenza prevalentemente solitarie. Attirato dalla letteratura, passò molto del suo tempo libero a leggere i libri della biblioteca del nonno prima e di quella pubblica poi ( Biblioteca Nazionale di Firenze ).

Dopo la prima guerra mondiale Papini trascorse anni di particolare travaglio spirituale, ma la vicinanza della moglie, l’amicizia e i benevoli rimproveri di Domenico Giuliotti, e altre persone che ne avevano sempre intuito il genio controcorrente e incompreso, lo accompagnarono nel suo percorso di scoperta della fede cristiana.

Nel 1921 annunciò la sua conversione religiosa pubblicando la Storia di Cristo, che si rivelò un successo editoriale internazionale. Basato sulla testimonianza dei Vangeli canonici e anche di quelli apocrifi, narra della vita di Gesù per invocarne la grazia verso l’umanità corrotta. Nel 1922, in seguito al successo dell’opera, l’Università del Sacro Cuore di Milano gli offrì la cattedra di letteratura italiana, che tuttavia Papini rifiutò.

Nel 1953 Papini fu colpito da una seria malattia: una paralisi progressiva che lo privò dell’uso delle gambe e delle braccia e perfino, nella sua fase terminale, della parola … e pressoché cieco negli ultimi anni di vita.

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LIBRO: Il Porto delle Nebbie di Pierre Mac Orlan

PIERRE MAC ORLAN, IL PORTO DELLE NEBBIE, JANDI SAPI, 1944, 1 EDIZIONE

«Una donna disposta a sfruttare se stessa, corpo e anima, senza restrizioni, senza scrupoli morali e senza misticismo, è una forza della natura paragonabile al­l’elettricità, di cui si governano i capricci senza mai penetrarne il mistero originario»: è questa, per quanto «scandalosa» e «immorale» possa sembrare, la conclusione alla quale giunge l’autore sulla soglia dell’epilogo del Porto delle nebbie. Ma tant’è: dei cinque personaggi che il destino fa incontrare, una notte di neve, in una bettola di Mont­martre ( quel Lapin Agile che solo molti anni dopo diventerà famoso ), l’unica a cavarsela davvero sarà Nelly, la fille de cabaret «al tempo stesso candida e furba» che finora non ha fatto altro che passare «attraverso l’esisten­za come una foglia morta, una foglia bionda spazzata dal vento». Al termine della memorabile notte trascorsa al Lapin Agile, dove sono stati costretti ad affrontare a colpi di pistola una banda di malviventi acquattati nel buio, i quattro uomini – il giovane squattrinato che aspetta un’avventura da «acchiappare al volo», il disertore della marina coloniale, il pittore tedesco che intuisce la presenza della morte nei luoghi che dipinge e l’inquietante macellaio dalle «terribili mani» – si avvieranno tutti verso un destino variamente funesto, mentre Nelly andrà incontro alla vita con passo da «conquistatrice». È stato Céline, nel 1938, a scrivere su Mac Orlan parole de­finitive: «Aveva già visto tutto, capito tutto, inventato tutto». ( Fonte: Adelphi )

Pierre Mac Orlan

Pierre Mac Orlan, nome d’arte di Pierre Dumarchais ( Péronne, 26 febbraio 1882 – Saint-Cyr-sur-Morin, 27 giugno 1970 ), è stato un artista e scrittore francese.  In vita sua fu bohémien, scrittore, soldato, pittore e reporter.

Fu creatore di un’opera imponente, dotata di notevole omogeneità nonostante la diversità delle forme artistiche; dal romanzo alla canzone, dal saggio alla poesia. Il concetto chiave su cui è imperniata la sua opera è il cosiddetto fantastico sociale.

Fu membro del “Collegio di patafisica” e dell’Académie Goncourt e scrisse centotrenta libri e sessantacinque canzoni. ( Wikipedia )

FILM

Jean, un disertore dell’esercito coloniale francese, è arrivato a Le Havre con la ferma intenzione di lasciare la Francia. Nel bar “Panama”, gestito dall’eccentrico individuo omonimo, incontra la bella Nelly, una malinconica ragazza terrorizzata dal suo tutore Zabel, che ella sospetta essere l’assassino del suo fidanzato Maurice. Per difendere Nelly dalle insidie del tutore, che si rivela essere un losco individuo e che si conferma essere l’autore del delitto, Jean uccide Zabel. Mentre sta per lasciare il paese, pronto a fuggire in Venezuela con una nuova identità, viene però assassinato in mezzo alla strada a colpi di pistola da Lucien, un giovane gangster locale del quale aveva scatenato l’odio, umiliandolo e prendendolo a schiaffi pubblicamente in diverse occasioni. ( Wikipedia )

 

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LIBRO: Spoon River Anthology di Edgar Lee Masters

E.L. MASTERS, SPOON RIVER ANTHOLOGY, I MILLENNI, EINAUDI, 1948

L’Antologia di Spoon River ( Spoon River Anthology ) è una raccolta di poesie in verso libero che il poeta statunitense Edgar Lee Masters pubblicò tra il 1914 e il 1915 sul Mirror di St. Louis. Ogni poesia racconta, in forma di epitaffio, la vita dei residenti di Spoon River, un immaginario paesino del Midwest statunitense, sepolti nel cimitero locale. Lo scopo di Masters è quello di demistificare la realtà di una piccola cittadina rurale americana.

La prima edizione della raccolta pubblicata nell’aprile del 1915 contava 213 epigrafi diventati poi 243 più La Collina nella versione definitiva del 1916. La raccolta comprende diciannove storie che coinvolgono un totale di 248 personaggi che coprono praticamente tutte le categorie e i mestieri umani. Masters si proponeva di descrivere la vita umana raccontando le vicende di un microcosmo, il paesino di Spoon River.

In realtà, Masters si ispirò a personaggi veramente esistiti nei paesini di Lewistown e Petersburg, vicino a Springfield nell’Illinois, dove egli era cresciuto; molte delle persone a cui le poesie erano ispirate, che erano ancora vive, si sentirono offese nel vedere le loro faccende più segrete e private pubblicate in quelle poesie. La caratteristica saliente dei personaggi di Edgar Lee Masters, infatti, è che essendo per la maggior parte morti non hanno più niente da perdere e quindi possono “raccontare” la loro vita in assoluta sincerità.

Nella prefazione ad una delle edizioni italiane dell’opera, Fernanda Pivano ha scritto che “l’autore definiva questo libro qualcosa di meno della poesia e di più della prosa” e, in effetti, la struttura netta e scarna dei versi sembra dare ragione a Masters. Il tono degli epitaffi è sempre “narrativo”, mai “declamatorio” e la voce dei protagonisti è sfumata, priva di un vero rimpianto per il passato che non c’è più. Esso è, ormai, qualcosa che si trova oltre la loro attuale dimensione e, nel loro apparente distacco, sembra quasi leggibile solo l’ansia di raccontare la loro esperienza, come fa il vecchio marinaio dell’opera di Coleridge. ( Wikipedia )

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LIBRO: Invidia e I Tre Grassoni di Jurij Olesa

J. OLESA, INVIDIA E I TRE GRASSONI, EINAUDI, 1969

Il romanzo Zavist′ ( Invidia, 1927 ), che Oleša ridusse poi per il teatro col titolo Zagovor čuvstv ( La congiura dei sentimenti, 1931 ), gli diede fama europea. In quelle pagine Oleša contrappone alla vita di coloro che sognano di ritornare ai vecchi tempi, il ritmo costruttivo della nuova realtà sovietica e mette a nudo il contrasto fra la confusione grottesca del passato e il rigido ordine meccanico del presente, ma è difficile dire a quale dei due mondi vadano le simpatie dello scrittore. Delle opere di Oleša si ricordano: Tri tolstjaka ( Tre grassoni, 1928 ), racconto per ragazzi, costruito come un caleidoscopio fiabesco; i racconti Visnevaja kostočka ( Il nòcciolo di ciliegia, 1931 ), e il dramma Spick blagodejanij ( L’elenco delle benemerenze, 1931 ) in cui la protagonista, incerta tra i pregi e i difetti del potere sovietico e invaghita di Parigi, simbolo della civiltà borghese, si lascia travolgere dal proprio esasperato individualismo. ( Treccani )

Jurij Karlovič Oleša

Jurij Karlovic Oleša ( Elisavetgrad, 3 marzo 1899 – Mosca, 10 maggio 1960 ) è stato uno scrittore russo. Esordì con versi ricchi di satira nel 1922 sulle rivista Gudok, Il fischietto, nelle cui pagine scrivevano anche poeti del calibro di Bulgakov e Petrov.

Nel 1927 diede alle stampe il suo primo romanzo Invidia, suscitando non poche polemiche nei confronti dell’establishment sovietico. Rimane, quest’opera, insieme a pochi altri racconti, il capolavoro di Olesa. Le tematiche affrontate in Invidia spaziano nello scontro fra la civiltà meccanizzata e quella di massa, da lui tratteggiata con forti connotazioni negative e con un linguaggio che si riallaccia al cubofuturismo. Sia questo capolavoro che I tre grassoni, romanzo per bambini scritto nel 1924 ma pubblicato solo nel 1928, hanno avuto molte riduzioni per il teatro a partire dal 1929. ( Wikipedia )

 

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LIBRO: La Morte di mio Fratello Abele di Gregor von Rezzori

G. VON REZZORI, LA MORTE DI MIO FRATELLO ABELE, BOMPIANI 2014

Pubblicato in Germania nel 1976, definito dal Premio Nobel Elie Wiesel uno dei grandi romanzi del Ventesimo secolo, ‘La morte di mio fratello Abele’ rappresenta, in modo caleidoscopico e in una forma che programmaticamente si sottrae a qualsiasi ordine, cinquant’anni di storia europea, dal 1918 al 1968. Un quarantenne cosmopolita dalle origini dubbie e confuse cerca disperatamente, da anni, di scrivere il romanzo della propria generazione, l’opera che dia conto di tutte le sensazioni, gli eventi, le vibrazioni, le illusioni, la ferocia degli anni che hanno visto due guerre mondiali culminare nella definitiva ‘americanizzazione’ dell’Europa. In un gran numero di scatoloni, che da anni trascina con sé, egli ha depositato – proprio come l’autore reale Gregor von Rezzori – una impressionante quantità di appunti, abbozzi, capitoli più o meno conclusi, resoconti di incontri. Una intera, magmatica realtà cartacea parallela alla realtà ufficiale della Storia, e che di quella costituisce ora l’integrazione, ora il ritratto, ora la smentita… Tra presente e passato, tra Parigi del 1968 e Vienna del 1938, passando per Amburgo, Norimberga, la Bessarabia, la Costa Azzurra, il romanzo narra, e insieme mette in scena, l’impossibilità ‘moderna’ di narrare. Ma lo fa, appunto, narrando. ( Fonte: Giunti )

Gregor von Rezzori

Gregor von Rezzori nacque a Czernowitz ( attualmente Černivci, in Ucraina ), capoluogo della Bucovina, compresa all’epoca nell’Impero Austro-ungarico. La sua era una famiglia nobiliare siciliana originaria della provincia di Ragusa, che si era stabilita a Vienna alla metà del XVIII secolo. Suo padre era un funzionario civile austriaco di Czernowitz. La sua famiglia rimase in quella regione anche dopo l’annessione al Regno di Romania, cosicché Gregor von Rezzori ottenne la cittadinanza romena.

Dopo la prima guerra mondiale, Rezzori studiò in collegio a Brașov, Fürstenfeld e Vienna. Iniziò a studiare ingegneria mineraria all’Università di Leoben, poi passò ad architettura e medicina all’Università di Vienna, dove si laureò in arte.

A metà degli anni trenta si spostò a Bucarest, svolse il servizio militare nell’esercito romeno e fece vita da artista. Nel 1938 si stabilì a Berlino, dove divenne attivo come romanziere, giornalista, autore di programmi radiofonici e produttore di film. Grazie alla sua cittadinanza romena, Rezzori non fu espulso dalle autorità naziste durante la seconda guerra mondiale.

Fino a metà degli anni cinquanta lavorò come autore alla compagnia radiofonica Nordwestdeutscher Rundfunk. Pubblicò regolarmente romanzi e racconti, e fu coinvolto in produzioni cinematografiche sia come sceneggiatore sia come attore (lavorando con celebrità come Brigitte Bardot, Jeanne Moreau, Anna Karina, Marcello Mastroianni e Charles Aznavour). Agli inizi degli anni sessanta, Rezzori viveva tra Roma e Parigi, con soggiorni negli Stati Uniti e in Toscana.

Rezzori morì a Santa Maddalena, a Donnini, frazione di Reggello in Toscana. ( Wikipedia )

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LIBRO: La Dimora dei Conti D’Arco in Mantova di Rodolfo Signorini

SIGNORINI: LA DIMORA DEI CONTI D’ARCO IN MANTOVA

I D’Arco sono una nobile famiglia di origine trentina del XII secolo. I signori d’Arco trassero origine dai conti di Bogen in Baviera, che mutarono il loro cognome tedesco in quello italiano di “d’Arco”, linea che si estinse nel 1242.

Alcuni esponenti della famiglia si stabilirono a Mantova tra il XV ed il XVI secolo dando vita al ramo mantovano della famiglia. Udalrico d’Arco (?-1528), con diploma del 1484, fu nominato da Federico I Gonzaga cittadino di Mantova. Sposò in prime nozze la contessa Susanna Collalto (?-1495) e in seconde nozze Cecilia Gonzaga, figlia di Carlo Gonzaga.

La dimora dei conti d’Arco in Mantova

La monografia illustra il Palazzo D’Arco a Mantova: in pieno centro storico, una residenza patrizia adorna dell’arredo originale, con un notevole patrimonio librario, ricca di opere d’arte; con punte d’eccellenza assoluta, come gli affreschi della Sala dello Zodiaco, attribuiti al Falconetto.
Un’opera completa, in grande formato con tante fotografie a colori, su un palazzo da non perdere, amato dai mantovani e mai abbastanza scoperto.

Il Palazzo fu eretto a partire dal 1784 su impulso di un ramo della nobile famiglia trentina dei D’Arco che si era stabilmente insediato a Mantova dal 1740. Dopo l’acquisizione della dimora dei conti Chieppo, il conte Giovanni Battista Gherardo d’Arco pensò di trasformare il palazzo seguendo i dettami del neoclassicismo ispirato all’opera di Andrea Palladio. L’opera d’edificazione fu affidata all’architetto Antonio Colonna. Come risultato finale è stato prodotto un notevole esempio di residenza aristocratica ricca di arredi e di dipinti, forte di una libreria e una collezione naturalistica, di un giardino racchiuso da una esedra sul quale si affaccia un’ala quattrocentesca costituita da due palazzine, una delle quali contiene lo straordinario ciclo pittorico della Sala dello Zodiaco, opera del Falconetto, eseguita attorno all’anno 1515. Questi edifici rinascimentali e il contiguo giardino furono acquistati nel 1872 da Francesco Antonio d’Arco dai marchesi Dalla Valle. Il complesso architettonico che si affaccia sulla omonima piazza, proseguiva a sinistra con l’edificio delle scuderie oggi trasformato nel Teatrino d’Arco, sede dal 1946 della Accademia Teatrale Francesco Campogalliani fondata da Ettore Campogalliani.

Nel palazzo dimorò anche il conte Carlo d’Arco (1799-1849), storico e collezionista di documenti. Ricoprì la carica di podestà di Mantova dal 1847 al 1848.

L’ultima esponente della famiglia, deceduta nel 1973, la signora Giovanna dei conti d’Arco Chieppio Ardizzoni, marchesa Guidi di Bagno costituì la Fondazione d’Arco. Con testamento del 1956 dispose, che alla sua morte, tutti i suoi beni, compreso il Palazzo e le raccolte in esso contenute (erbario, pinacoteca, archivio, biblioteca, strumenti musicali, arredi, armi), divenissero un pubblico Museo.

Uno dei capolavori del complesso architettonico del palazzo è posto all’interno della palazzina d’epoca rinascimentale raggiungibile attraversando il cortile: è la stanza affrescata della “Sala dello Zodiaco”, dipinto dei primi anni del XVI secolo del pittore Giovanni Maria Falconetto. ( Wikipedia )

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