LIBRO: Il Vero e il Giusto di Raymond Boudon

BOUDON: IL VERO E IL GIUSTO

Già nel Vero e il giusto Boudon propone di affrontare il discorso sul fondamento dei giudizi di valore adottando un approccio epistemologico. Proposizioni come «x è buono, cattivo, legittimo, illegittimo ecc.» vengono, cioè, considerate alla stregua di proposizioni comunemente riconosciute come scientifiche, quale ad esempio «Esiste una forza che attira gli oggetti verso il centro della Terra». Come tali, possono essere parte o costituire esse stesse una teoria scientifica. Ora, qualsiasi teoria, di conseguenza anche le teorie che esprimono la spiegazione delle norme e dei valori, deve sempre necessariamente fondarsi su quelle che egli definisce «certe proposizioni “prime”, in altre parole su dei “principi”». La necessità inderogabile di questo fondamento per le teorie, unitamente all’impossibilità logica di dimostrare la validità dei principi (che sono sempre degli assunti), determinano la natura dilemmatica dell’enunciato che è anche il teorema fondamentale dell’epistemologia, indicato da Hans Albert come il «Trilemma di Münchhausen». ( Tratto da Quaderni di Sociologia di Roberto Scalon )

Raymond Boudon

Boudon contrappone all’Homo oeconomicus della Teoria della scelta razionale, un individuo dotato di una razionalità situata, cioè legata alle condizioni sociali e culturali dell’attore stesso. Quest’uomo, l’Homo sociologicus, non ragiona solo in termini di beneficio, Boudon infatti afferma che valori, credenze ed abitudini non possono esser tralasciate in quanto l’individuo le interiorizza. Inoltre gli individui possono commettere errori non potendo sempre individuare la scelta migliore, la sua razionalità è limitata, data l’insufficienza di informazioni di cui l’attore dispone. L’individuo può essere condizionato da scelte ideologiche ed infine essendo integrato, in costante interazione con la società, deve rispondere a attese sociali legate al suo ruolo. L’Homo sociologicus di Boudon agisce in modo razionale, ma anche per “buone ragioni” condizionate da valori, convinzioni e soprattutto dall’identità personale, concetto che si distacca completamente dal modello della Teoria della scelta razionale e dal concetto weberiano di agire razionale rispetto allo scopo. ( Wikipedia )

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La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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LIBRO: La Morte di mio Fratello Abele di Gregor von Rezzori

G. VON REZZORI, LA MORTE DI MIO FRATELLO ABELE, BOMPIANI 2014

Pubblicato in Germania nel 1976, definito dal Premio Nobel Elie Wiesel uno dei grandi romanzi del Ventesimo secolo, ‘La morte di mio fratello Abele’ rappresenta, in modo caleidoscopico e in una forma che programmaticamente si sottrae a qualsiasi ordine, cinquant’anni di storia europea, dal 1918 al 1968. Un quarantenne cosmopolita dalle origini dubbie e confuse cerca disperatamente, da anni, di scrivere il romanzo della propria generazione, l’opera che dia conto di tutte le sensazioni, gli eventi, le vibrazioni, le illusioni, la ferocia degli anni che hanno visto due guerre mondiali culminare nella definitiva ‘americanizzazione’ dell’Europa. In un gran numero di scatoloni, che da anni trascina con sé, egli ha depositato – proprio come l’autore reale Gregor von Rezzori – una impressionante quantità di appunti, abbozzi, capitoli più o meno conclusi, resoconti di incontri. Una intera, magmatica realtà cartacea parallela alla realtà ufficiale della Storia, e che di quella costituisce ora l’integrazione, ora il ritratto, ora la smentita… Tra presente e passato, tra Parigi del 1968 e Vienna del 1938, passando per Amburgo, Norimberga, la Bessarabia, la Costa Azzurra, il romanzo narra, e insieme mette in scena, l’impossibilità ‘moderna’ di narrare. Ma lo fa, appunto, narrando. ( Fonte: Giunti )

Gregor von Rezzori

Gregor von Rezzori nacque a Czernowitz ( attualmente Černivci, in Ucraina ), capoluogo della Bucovina, compresa all’epoca nell’Impero Austro-ungarico. La sua era una famiglia nobiliare siciliana originaria della provincia di Ragusa, che si era stabilita a Vienna alla metà del XVIII secolo. Suo padre era un funzionario civile austriaco di Czernowitz. La sua famiglia rimase in quella regione anche dopo l’annessione al Regno di Romania, cosicché Gregor von Rezzori ottenne la cittadinanza romena.

Dopo la prima guerra mondiale, Rezzori studiò in collegio a Brașov, Fürstenfeld e Vienna. Iniziò a studiare ingegneria mineraria all’Università di Leoben, poi passò ad architettura e medicina all’Università di Vienna, dove si laureò in arte.

A metà degli anni trenta si spostò a Bucarest, svolse il servizio militare nell’esercito romeno e fece vita da artista. Nel 1938 si stabilì a Berlino, dove divenne attivo come romanziere, giornalista, autore di programmi radiofonici e produttore di film. Grazie alla sua cittadinanza romena, Rezzori non fu espulso dalle autorità naziste durante la seconda guerra mondiale.

Fino a metà degli anni cinquanta lavorò come autore alla compagnia radiofonica Nordwestdeutscher Rundfunk. Pubblicò regolarmente romanzi e racconti, e fu coinvolto in produzioni cinematografiche sia come sceneggiatore sia come attore (lavorando con celebrità come Brigitte Bardot, Jeanne Moreau, Anna Karina, Marcello Mastroianni e Charles Aznavour). Agli inizi degli anni sessanta, Rezzori viveva tra Roma e Parigi, con soggiorni negli Stati Uniti e in Toscana.

Rezzori morì a Santa Maddalena, a Donnini, frazione di Reggello in Toscana. ( Wikipedia )

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