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15 APRILE 2021 APERTO IL SITO DI E-COMMERCE DI LIBRERIA AIACE – ROMA

Libreria Aiace – via Ugo Ojetti 36 – Roma Montesacro – Nomentana – Talenti

La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri & Letture

Aggiornato a 6 Gennaio 2024

 

I Libri di Tolkien

I mondi immaginari e fantastici di Tolkien

J. R. R. Tolkien, all’anagrafe John Ronald Reuel Tolkien ( Bloemfontein, 3 gennaio 1892 – Bournemouth, 2 settembre 1973 ), è stato uno scrittore, filologo, glottoteta, accademico e linguista britannico.

Importante studioso della lingua anglosassone, è l’autore de Il Signore degli Anelli e di altre celebri opere riconosciute come pietre miliari del genere high fantasy, quali Lo Hobbit e Il Silmarillion. Fu Rawlinson and Bosworth Professor di antico inglese dal 1925 al 1945 e Merton Professor di lingua e letteratura inglese dal 1945 al 1959 presso l’Università di Oxford, dove contribuì alla creazione del New Oxford English Dictionary. Fu amico intimo di C. S. Lewis, insieme al quale fu membro di un informale gruppo letterario conosciuto come Inklings. Fu anche membro della Royal Society of Literature. Nel 1961 Lewis segnalò Tolkien alla giuria del Premio Nobel per la letteratura, che però lo scartò, perché la sua scrittura venne definita “prosa di seconda categoria”.

Dopo la sua morte, il figlio Christopher pubblicò una serie di opere basate sull’ampia raccolta di appunti e manoscritti incompiuti del padre, tra cui Il Silmarillion. Quest’ultimo, insieme a Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, formano un unico corpo di racconti, poemi, linguaggi fittizi e saggi ambientati in un mondo immaginario chiamato Arda, di cui la Terra di Mezzo fa parte. Tra il 1951 e il 1955 Tolkien applicò la parola legendarium alla gran parte di queste opere.

Sebbene diversi altri autori avessero pubblicato opere di narrativa fantasy prima di Tolkien, il grande successo de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli, nella loro edizione in brossura negli Stati Uniti, condusse a una riscoperta del genere e diede piena legittimazione all’invenzione di mondi immaginari autonomi e internamente coerenti, senza più la necessità di giustificare la loro esistenza come racconti di viaggio in luoghi esotici, sogni che scompaiono all’alba o favole. I suoi scritti hanno ispirato molte altre opere fantasy e hanno avuto un effetto duraturo su tutto il genere, al punto che Tolkien può essere considerato lo scrittore di fantasy più importante del XX secolo. Nel 2008 The Times ha posizionato Tolkien al sesto posto nella classifica de “I 50 più grandi scrittori inglesi dal 1945”. ( Wikipedia )

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Le avventure di Tom Bombadil

Le avventure di Tom Bombadil (The Adventures of Tom Bombadil, 1962) è una raccolta di poesie di J.R.R. Tolkien. Delle 16 poesie contenute nel libro, solo 2 riguardano il personaggio di Tom Bombadil, famoso soprattutto per il suo incontro con Frodo Baggins ne La compagnia dell’anello; in questo libro si narra della sua lotta con il Vecchio Uomo Salice e dell’incontro con la figlia del fiume Baccador. L’edizione originale del libro conteneva illustrazioni di Pauline Baynes, in seguito sostituite, in molte edizioni, da disegni di Roger Garland. Nelle Avventure di Tom Bombadil si trovano alcune informazioni sulla Terra di Mezzo non presenti nelle altre opere di Tolkien, come i nomi dei sette fiumi di Gondor. Gli studiosi di Tolkien hanno però osservato che la storia viene narrata come se appartenesse al folklore degli hobbit, e quindi non è chiaro se le informazioni riportate sulla Terra di Mezzo debbano essere considerate parte del canone tolkieniano. ( Wikipedia )

Silmarillion

Il Silmarillion (The Silmarillion) è un’opera mitopoietica scritta da J. R. R. Tolkien – e pubblicata postuma nel 1977 da Christopher Tolkien con la collaborazione di Guy Gavriel Kay – che narra le vicende di Arda, dalla sua creazione fino alla Terza Era. Il Silmarillion, insieme ad altre opere dello stesso autore, dà forma a una estesa, sebbene incompleta, narrazione che descrive l’universo di Eä, nel quale si trovano le terre di Valinor, Beleriand, Numenor e la Terra di Mezzo, nell’ambito della quale si svolgono Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli.

Considerata dal figlio dell’autore Christopher Tolkien l’opera primaria, fondamentale e centrale del padre[1], è stata forse anche quella più amata dal suo autore; essa non è e non vuole essere un romanzo, ma piuttosto un corpus mitologico, o legendarium, ideato come cuore dell’universo tolkieniano, una serie di narrazioni e vicende a cui l’autore lavorò per tutta la vita, senza terminarle, utilizzandole nel frattempo quale base per sviluppare alcuni dei suoi capolavori, quali Il Signore degli Anelli o Lo Hobbit. Tolkien non vide mai la pubblicazione del materiale del libro (tranne alcuni brani, che, cambiati e riassunti, appaiono nelle Appendici de Il Signore degli Anelli), che fu pubblicato (come molti altri) postumo dal suo curatore, il figlio Christopher, che ne integrò le parti mancanti.

Albero e Foglia

Albero e foglia è un libro che raccoglie un saggio e alcune fiabe dello scrittore inglese J.R.R. Tolkien, riunite per la prima volta nel 1964. La raccolta contiene: il saggio “Sulle fiabe”, le fiabe “Foglia, di Niggle” e “Il fabbro di Wootton Major” e il dialogo in forma di poema allitterativo “Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm”, immaginario seguito del poema medievale “La battaglia di Maldon”, accompagnato da due brevi saggi. Nell’edizione italiana del 1988 fu aggiunta la poesia “Mitopoeia” ( La creazione mitica ).

 

Negozio Online by Libreria Aiace su eBAY: Fantasia & Fantascienza

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Libri & Letture

Novità Librarie by Libreria Aiace Roma Montesacro Talenti

Il Vangelo Ebraico di Boyarin

O sei ebreo, o sei cristiano …. Ma siamo proprio sicuri che sia così ? Daniel Boyarin, professore di Cultura talmudica all’Università della California, riconosciuto a livello internazionale come uno dei maggiori studiosi di Talmud, lo mette in dubbio. Le sue tesi in proposito sono contenute in un’opera recentemente tradotta in italiano: “Il Vangelo ebraico. Le vere origini del cristianesimo”.

Ecco come si esprime Boyarin nel suo libro:

“I termini «ebrei cristiani» ed «ebrei non cristiani» che userò in questo libro potrebbero spiazzare chi ancora considera cristiani ed ebrei due entità opposte. Ma se guardiamo attentamente ai primi secoli dopo Cristo, cominceremo a vedere che è proprio questo il modo in cui dobbiamo affrontare la storia della religione degli ebrei, a quel tempo. Prima di arrivarci, tuttavia, potrebbe essere utile mettere in discussione alcuni dei nostri assunti di fondo su cosa siano le religioni.
Per i moderni, le religioni sono dei set preconfezionati di convinzioni dotati di confini ben definiti. Di solito ci domandiamo: Quali convinzioni proibisce il cristianesimo, quali pratiche richiede ? E ci facciamo le stesse domande in merito all’ebraismo, all’induismo, all’islam, al buddhismo, le cosiddette grandi religioni. Un approccio del genere, com’è ovvio, boccia l’idea che uno possa essere al contempo ebreo e cristiano, assimilandola a una contraddizione in termini. Gli ebrei non corrispondono alla definizione che si dà dei cristiani, e i cristiani non corrispondono alla definizione che si dà degli ebrei. Vi sono semplici incompatibilità tra queste due religioni che rendono impossibile l’appartenenza a entrambe. In questo libro sosterrò la tesi secondo la quale ciò non si rispecchia sempre nei fatti, e nello specifico non rappresenta bene la situazione dell’ ebraismo e del cristianesimo dei primi secoli dopo Cristo.” ( Tratto da Notizie su Israele )

Garibaldi e i suoi Tempi – Immagini dei Protagonisti

Garibaldi uomo del popolo e per il popolo. È forse proprio questa la motivazione più profonda della sua immensa popolarità che, certo, non fu «inventata », come sembrerebbe suggerirci il titolo sicuramente poco felice della recente fatica della studiosa anglosassone Lucy Riall. Certamente Garibaldi mostrò una grande contemporaneità nel sapiente uso della propaganda resa possibile dall’enorme sviluppo di strumenti come la stampa e la fotografia. E se sicuramente i media allora disponibili non lesinarono sforzi per esaltarne le gesta e tributarne una fama pressoché mondiale, tale fama non era certo usurpata, perché sostanziata dai fatti e fortemente ancorata ai grandi ideali di cui il nostro Eroe nel corso della sua vita si fece interprete.
D’altra parte il tema del mito di Garibaldi ha avuto un grande sviluppo nel dibattito storiografico anche se la riflessione si è maggiormente soffermata sull’uomo e le sue gesta, mentre appare sempre più pressante l’esigenza di sviluppare indagini più mirate per comprendere il senso che il movimento che ha accompagnato e sostenuto le imprese dell’Eroe dei due Mondi, il garibaldinismo, per intenderci, ha avuto nella storia italiana dopo la scomparsa del suo Duce. Se Garibaldi poteva gestire con una certa tranquillità anche gli aspetti più evidentemente contraddittori del suo pensiero, alla sua morte si sviluppava immediatamente una vivace lotta tesa a rivendicare l’eredità politica dell’Eroe, con il risultato di un obiettivo indebolimento del movimento garibaldino. Le varie componenti finirono per scontrarsi sui temi del parlamentarismo, della repubblica, della massoneria, per limitarci ai più rilevanti, e gli echi di quelle differenziazioni accompagneranno i momenti più salienti della vicenda politica italiana praticamente sino ai nostri giorni. ( Tratto da Introduzione di Domenico Scacchi )

Lucca: Le Mura del Cinquecento

Le mura di Lucca sono il secondo maggior esempio in Europa di mura costruite secondo i principi della fortificazione alla moderna che si sia conservata completamente integra in una grande città. Nicosia, capitale di Cipro, detiene il record con una cerchia muraria di 4,5 km con 11 bastioni e tre porte.

L’attuale cerchia muraria di Lucca, lunga esattamente 4 chilometri e 223 metri, è frutto dell’ultima campagna di ricostruzione, partita nel 7 maggio del 1504 e terminata solamente un secolo e mezzo dopo, nel 1648. I lavori hanno avuto luogo anche nella seconda metà del Seicento, con aggiornamenti strutturali basati sulle nuove conoscenze e tecniche costruttive. Mai utilizzata a scopo difensivo, la struttura moderna si articola su 12 cortine ed 11 baluardi. Questi sono visti come un forte segno di identità culturale e come contenitore per la memoria storica del territorio.

Le mura furono concepite anche come deterrente. In particolare la Repubblica di Lucca temeva le mire espansionistiche prima di Firenze e, successivamente, del Granducato di Toscana. Tuttavia non si arrivò mai ad una vera guerra aperta contro il Granducato. Vi furono conflitti con il Ducato di Modena (secoli XVI e XVII), ma esclusivamente in Garfagnana, perciò Lucca non dovette mai subire alcun assedio. L’unica occasione in cui le mura furono messe alla prova fu durante la disastrosa alluvione del Serchio nel 18 novembre del 1812. Le porte furono sprangate e con l’ausilio di materassi e pagliericci fu garantita una relativa tenuta all’acqua del centro di Lucca. La stessa Elisa Bonaparte, Principessa di Lucca e Piombino, per entrare nella città fu fatta issare con una sorta di bilanciere per non aprire i battenti sprangati alla furia delle acque. ( Tratto da Wikipedia )

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Aggiornato al 8 Gennaio 2023

 

Libreria Aiace Roma Montesacro: Fiabe Italiane di Italo Calvino

 

Fiabe Italiane

Fiabe italiane è una raccolta di fiabe italiane di Italo Calvino uscita nel 1956 nella collana I millenni di Einaudi. Il titolo completo dell’opera, che ne chiarisce la natura, è Fiabe italiane raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari dialetti da Italo Calvino.

Alcune fiabe non sono altro che versioni regionali di opere ormai divenute dei classici della letteratura per l’infanzia: La Bella e la Bestia ( Bellinda e il Mostro ), I tre porcellini ( Le tre casette, Le ochine ), Barbablù ( Il naso d’argento, Le tre raccoglitrici di cicorie ), Cappuccetto Rosso ( La finta nonna, Zio Lupo ), Cenerentola ( Grattula Beddattula ), Biancaneve ( La Bella Venezia ), La bella addormentata ( La bella addormentata e i suoi figli ), Pollicino ( Cecino ).

Altre fiabe sono la rivisitazione di miti, come quello di Danae, di Perseo ( con la Medusa e le Graie ), di Ulisse e Polifemo.

Alcuni motivi ricorrono in queste fiabe, alcuni più sporadicamente, altri più frequentemente. Ad esempio: sorella che salva i fratelli mutati in bestie; oggetti magici che fanno realizzare i desideri;
perdita delle ricchezze magicamente guadagnate; vergogna del padre di avere solo figlie femmine;
nozze combinate con esseri immondi o bestie; doni fatati nascosti in noci, nocciole e mandorle.

I più ricorrenti sono: punizione finale del traditore, svelato l’intrigo, con un rogo, subito indossando una camicia di pece; lieto fine con matrimoni, spesso con figli di re, attesi o inaspettati.

Altri motivi che ricorrono sono: il giovane calato nel pozzo per liberare la principessa, e abbandonato; il pappagallo che raccontando storie salva la castità d’una fanciulla; il cibo insapore dato al padre che aveva criticato dei commenti sul sale della figlia; l’eroe che si aiuta con solo la forza delle sue braccia; il figlio dell’orco o un cavallo ( o cavallina ) che aiuta a superare delle prove; l’alloppiatura della bevanda come narcotico, escamotage per impedire a un personaggio osteggiato che impedisca gli intrighi o le fughe di chi lo mette in difficoltà. ( Wikipedia )

Libri & Letture

 

LIBRO: Trilussa e la Libertà

 

TRILUSSA E LA LIBERTA’

Trilussa, pseudonimo anagrammatico di Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri ( Roma, 26 ottobre 1871 – Roma, 21 dicembre 1950 ), è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano, particolarmente noto per le sue composizioni in dialetto romanesco.

Carlo Alberto Camillo Salustri nasce a Roma il 26 ottobre 1871 da Vincenzo, cameriere originario di Albano Laziale, e Carlotta Poldi, sarta bolognese. Secondogenito dei Salustri, venne battezzato il 31 ottobre nella chiesa di San Giacomo in Augusta, con l’aggiunta di un quarto nome, Mariano. Un anno dopo, nel 1872, la sorella Elisabetta morì all’età di tre anni a causa di una difterite. L’infanzia travagliata del giovane Carlo venne colpita nuovamente due anni dopo, il 1º aprile 1874, a causa della morte del padre Vincenzo. Carlotta Poldi, dopo la morte del marito, decise di trasferirsi con il piccolo Carlo in via Ripetta, dove rimase per soli undici mesi, per poi trasferirsi nuovamente, nel palazzo in piazza di Pietra del marchese Ermenegildo Del Cinque, padrino di Carlo. Probabilmente è alla figura del marchese Del Cinque che Trilussa dovrà la conoscenza di Filippo Chiappini, poeta romanesco seguace del Belli.

Nel 1887, all’età di sedici anni, presentò a Giggi Zanazzo, poeta dialettale direttore del Rugantino, un suo componimento chiedendone la pubblicazione. Il sonetto di ispirazione belliana, intitolato L’invenzione della stampa, partendo dall’invenzione di Johann Gutenberg sfociava, nelle terzine finali, in una critica alla stampa contemporanea.

Zanazzo accettò di pubblicare il sonetto, che apparve nell’edizione del 30 ottobre 1887 firmato in calce con lo pseudonimo Trilussa. Da questa prima pubblicazione iniziò un’assidua collaborazione con il periodico romano, grazie anche al sostegno e all’incitamento di Edoardo Perino, editore del Rugantino, che porterà il giovane Trilussa a pubblicare, tra il 1887 e il 1889, cinquanta poesie e quarantuno prose. ( Wikipedia )

LA LIBERTÀ

Cos’è la Libertà ? adesso te lo spiego: – diceva Melapiglio a Menefrego – la Libertà di un popolo è compagna all’acqua che vien giù dalla montagna.
Se la lasci passare dove le pare si spreca nei fiumi fino al mare: ma, se c’è chi la guida e la riduce e l’incanala verso l’officina, appena arriva muove la turbina, diventa forza e si trasforma in luce. Bella scoperta! Grazie del consiglio! – rispose Menefrego a Melapiglio – Ma quando l’acqua ha mosso nel cammino una centrale elettrica o un mulino, se canta o se borbotta non è male lasciarle un po’ di sfogo naturale.

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Aggiornato al 19 Novembre 2023

 

 

LIBRI: Romanzi di Cesare Pavese

 

C. PAVESE, ROMANZI, EINAUDI, 1961, 2 ED CON COFANETTO

Cesare Pavese nacque a Santo Stefano Belbo, un paesino delle Langhe sito nella provincia di Cuneo, presso il cascinale di San Sebastiano, dove la famiglia soleva trascorrere le estati, il 9 settembre del 1908. Il padre, Eugenio Pavese, originario anch’egli di Santo Stefano Belbo, era cancelliere presso il Palazzo di Giustizia di Torino, dove risiedeva con la moglie, Fiorentina Consolina Mesturini, proveniente da una famiglia di abbienti commercianti originari di Ticineto (in provincia di Alessandria), e la primogenita Maria (nata nel 1902), in un appartamento in via XX Settembre 79.

Malgrado l’agiatezza economica, l’infanzia di Pavese non fu felice: una sorella e due fratelli, nati prima di lui, erano morti prematuramente. La madre, di salute cagionevole, dovette affidarlo, appena nato, a una balia del vicino paese di Montecucco e poi, quando lo riprese con sé a Torino, a un’altra balia, Vittoria Scaglione.

Il padre morì di un cancro al cervello il 2 gennaio del 1914; Cesare aveva cinque anni. Come è stato scritto, «c’erano già tutti i motivi – familiari e affettivi – per far crescere precocemente il piccolo Cesare […] per una preistoria umana e letteraria che avrebbe accompagnato e segnato la vita dello scrittore». La madre, di carattere autoritario, dovette allevare da sola i due figli: la sua educazione rigorosa contribuì ad accentuare il carattere già introverso e instabile di Cesare.

La Luna e i Falò

La Luna e i Falò è l’ultimo romanzo dello scrittore Cesare Pavese, scritto tra il 18 settembre e il 9 novembre 1949 e pubblicato nell’aprile del 1950. Il romanzo presenta elementi autobiografici dello scrittore piemontese ed è quello che conclude la sua carriera di narratore. Il romanzo è dedicato all’ultima donna della vita di Pavese, Constance Dowling

La storia inizia quando Anguilla, tornato emigrante dall’America dopo la Liberazione, ritorna con il pensiero al momento in cui neonato era stato abbandonato sugli scalini del Duomo di Alba e quindi portato all’ospedale di Alessandria, dove era stato adottato da Padrino e da Virgilia che per questa adozione ricevevano una mesata di cinque lire.

Quando, successivamente alla morte di Virgilia e a una grandinata che distrusse la piccola vigna, Padrino decise di vendere il casotto dove vivevano, Anguilla si trasferì alla fattoria della Mora, dove iniziò a lavorare per la prima volta; c’era benessere in quel casale insieme a sor Matteo e alle tre figlie: Irene, Silvia, Santa (la più piccola). Pur essendosi affezionato a loro, tornato dall’America, preferisce non rivedere quel luogo.

In trentadue capitoli il lettore si perde nei ricordi, spesso tristi, che Anguilla rivive con l’amico Nuto e capisce quanto sia importante per ognuno avere un paese, una famiglia, un punto di riferimento che leghi alla vita; di questo Anguilla si rende conto quando, lontano dalla sua valle, viene richiamato alla sua patria non da un amico o dalla patria stessa, bensì da quel senso di appartenenza al suo paese che lui si porta dentro insieme a tanta nostalgia.

Per prima cosa, invece, Anguilla va a vedere la casa del Padrino, rimasta uguale, e conosce il nuovo proprietario, il Valino, e suo figlio Cinto, un ragazzo gracile e solitario. Quest’ultimo gli fa ricordare i tempi in cui era ragazzo, quando Nuto, più grande di lui, trattandolo sin da allora da amico, cercava di insegnargli tutto ciò che sapeva; Anguilla vuole essere per Cinto ciò che Nuto era stato per lui.

Trascorrono molto tempo insieme, nasce anche un’amicizia tra loro e Cinto sa di potersi fidare di Anguilla: proprio per questo, quando il Valino, in preda ad un raptus di follia, uccide la nonna e la zia, dà fuoco alla casa e si suicida impiccandosi, il ragazzo va subito da Anguilla, che insieme a Nuto cerca di tranquillizzarlo.

Anguilla sa che Irene e Silvia, come tanti altri, sono morte ed entrambe male, ma gli rimane oscura la sorte di Santa, che Nuto gli rivela solo alla fine: di notevole bellezza sin da quando era piccola, la donna, inquieta, era diventata spia prima dei tedeschi e dopo dei partigiani, poi ancora dei tedeschi e dei repubblichini; proprio allora era stata giustiziata, ancora in giovane età. ( Wikipedia )

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Aggiornato al 29 Novembre 2023