Libreria Aiace Roma Montesacro: Regalare un Libro, un Segno di Amicizia

Se un amico vi regala un libro è veramente un amico

“Se un amico vi regala un libro è veramente un amico“, parola di Roberto Cerati, lo storico presidente della casa editrice Einaudi.

Un’opinione che può essere facilmente condivisa da chiunque ami la lettura, perché davvero ci sono pochi regali migliori di un libro.

I libri lasciano il segno

Regalare un libro significa lasciare un’orma nella memoria di chi lo riceve. Dopo averlo letto gli sarà difficile dimenticare il legame tra il volume e chi glielo ha donato. Inoltre, ogni volta che rivedrà la copertina si ricorderà di voi. Quindi quale modo migliore per restare sempre coi propri cari, anche quelli più lontani ?

I libri arricchiscono

Nonostante – in genere – non siano fatti di materiali preziosi, i libri arricchiscono chi li riceve e li legge. Senza spendere una fortuna sarete in grado di rendere un po’ più ricca la persona che riceverà il vostro dono. ( Tratto da Il Libraio )

I libri fanno bene alla salute

Uno studio della durata di 17 anni, condotto su 983 adulti suddivisi in istruiti, ovvero tutti coloro che avevano più di quattro anni di scolarità ( n=746 ), e in analfabeti, ovvero tutti coloro con meno di 4 anni di scolarità ( n=237 ) ha mostrato che le persone analfabete, quindi che non sanno o che hanno scarse abilità nel leggere o nello scrivere, hanno una probabilità tre volte superiore di sviluppare una demenza primaria.

Inoltre gli effetti dell’analfabetismo sembrano essere diversi per genere, difatti le donne analfabete hanno mostrato un più elevato rischio di sviluppare una demenza rispetto agli uomini.

La degenerazione cognitiva sembra essere più lenta, una volta iniziata, negli individui con molti anni di scolarità.

Una continua stimolazione cognitiva attraverso la lettura e lo studio, possa giovare ed agire come uno dei fattori protettivi nei confronti delle demenze primarie ( Fonte: Neurology 2019 )

Libreria Aiace Roma in via Ojetti 36 Montesacro – Nomentana – Talenti

La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Aggiornato al 19 Gennaio 2024

 

 

Il Piacere della Lettura: Libreria Aiace Roma Montesacro

Aristotele

Aristotele ( Stagira, 384 a.C. o 383 a.C. – Calcide, 322 a.C. ) è stato un filosofo, scienziato e logico greco antico. Aristotele è ritenuto una delle menti più universali, innovative, prolifiche e influenti di tutti i tempi, sia per la vastità che per la profondità dei suoi campi di conoscenza, compresa quella scientifica. Con Platone, suo maestro, e Socrate è considerato anche uno dei padri del pensiero filosofico occidentale, che soprattutto da Aristotele ha ereditato problemi, termini, concetti e metodi.

La fondazione del Peripato

Il terzo periodo inizia quando nel 340 a.C. Alessandro diviene reggente del regno di Macedonia, cominciando anche ad avvicinarsi alla cultura orientale. Il suo maestro Aristotele, che è intanto rimasto vedovo e convive con la giovane Erpillide da cui ha avuto il figlio Nicomaco, negli ultimi anni della sua vita torna forse a Stagira e, intorno al 335 a.C., si trasferisce ad Atene, dove in un pubblico ginnasio, detto Liceo perché sacro ad Apollo Licio, fonda una sua famosissima e celebrata scuola, chiamata Peripato ( dal greco Περίπατος, «la Passeggiata»; da περιπατέω «passeggiare», composto di περι «intorno» e πατέω «camminare» ) nome che indicava quella parte del giardino con un colonnato coperto dove il maestro e i suoi discepoli camminavano discutendo. Probabilmente non è Aristotele ad acquistare la scuola; egli l’affitta, perché per la città di Atene egli era uno straniero e non aveva diritto di proprietà. La scuola viene inoltre finanziata dallo stesso Alessandro. Aristotele promuove attività di ricerca nella città di Atene soprattutto per quanto riguarda materie scientifiche quali zoologia (di cui si occupa lui stesso), botanica ( che affida a Teofrasto ), astronomia e matematica ( che affida a Eudemo da Rodi ) e medicina ( affidata a Menone ).

Riguardo alla scuola abbiamo notizie vaghe; comunque sappiamo per certo che gli alunni erano chiamati per dieci giorni a dirigere la scuola in prima persona: Aristotele ci teneva a istruire i suoi allievi a questo ruolo. Inoltre i pasti venivano consumati in comune secondo un’usanza dei pitagorici e ogni mese si organizzava un simposio filosofico con giudizio ( iudicio ) guidato dalla saggezza del maestro. Le lezioni si svolgevano di mattina; di pomeriggio e di sera invece Aristotele teneva, sempre nella scuola, delle conferenze aperte al pubblico; le materie erano appunto di interesse pubblico quindi politica e retorica, ad esempio, ma non materie astratte come la metafisica e la logica.

Nel 323 a.C. muore Alessandro Magno e ad Atene si manifestano i mai sopiti odii antimacedoni; Aristotele, guardato con ostilità per il suo legame con la corte macedone, è accusato di empietà: lascia allora Atene e con la famiglia si rifugia a Calcide in Eubea, la città materna, dove muore l’anno dopo forse per una malattia allo stomaco. ( Wikipedia )

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Aggiornato a 29 Novembre 2023

 

 

LIBRO: Carver Country – Il Mondo di Raymond Carver

CARVER COUNTRY, IL MONDO DI RAYMOND CARVER 

Nell’82, Bob Adelman fotografò per Life Carver al lavoro tra macchine da scrivere (le mani qui sopra sono dello scrittore) e fogli d’appunti. Ne nacque un libro, che si arricchì di volti, paesaggi, amici, parenti, semplici insegne o pacchetti di sigarette, alternati a racconti e poesie, per costruire un mosaico visivo del mondo carveriano. Anche perché le parole di “Ray” nascevano dallo sguardo sulla realtà più misera e desolata. ( La Stampa )

Raymond Carver

Figlio di un operaio e di una cameriera, nato nell’Oregon nel 1938, alcolista, appassionato di pesca, Carver ha fatto degli operai, degli uomini provati dalla fatica di vivere, disoccupati, tormentati, ridotti male ma con grande dignita’, i protagonisti dei suoi libri dando ”il centro del palcoscenico” a personaggi che ”fino ad allora erano stati secondari nella letteratura nazionale” sottolinea la Gallagher e racconta che lo stesso Ray aveva detto in più di un’intervista: ”sono un membro tesserato dei lavoratori poveri”.

Il Carver Country racconta dunque la vita e l’opera di Ray, ma e’ qualcosa di più, come mostrano le foto di Adelman che non hanno solo un valore illustrativo. ”Sin dall’inizio – spiega la vedova – il mondo dei racconti immaginati da Carver appariva pervaso da una corrente di benevola minaccia e perciò questo doveva essere un elemento forte per definire quel territorio della mente che chiamiamo Carver Country”. ( Tratto da Ansa Un Libro al giorno di Mauretta Capuano )

 

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Aggiornato al 7 Dicembre 2023

 

LIBRO: Opere complete di Vincenzo Cardarelli

VINCENZO CARDARELLI, OPERE COMPLETE, MONDADORI, 1962, 1° EDIZIONE

Vincenzo Cardarelli, il cui vero nome era Nazareno Caldarelli, nacque a Corneto Tarquinia (Viterbo), attuale Tarquinia, dove suo padre (Antonio Romagnoli), d’origine marchigiana, gestiva il buffet della stazione ferroviaria e qui trascorse la sua infanzia e la sua adolescenza. Figlio illegittimo, ebbe un’infanzia travagliata, privata sin dall’inizio della presenza materna ( Giovanna Caldarelli abbandonò la famiglia quando Vincenzo era piccolo ), caratterizzata da una menomazione al braccio sinistro e dalla solitudine. Compì studi irregolari, formandosi prevalentemente da autodidatta. All’età di diciassette anni fuggì di casa e approdò a Roma dove, per vivere, fece i più svariati mestieri, fra i quali il correttore di bozze presso il quotidiano Avanti!. Sull’Avanti!, del quale divenne redattore, ebbe inizio, nel 1909, la sua carriera giornalistica.

La sua fama resta legata alle numerose poesie e prose autobiografiche di costume e di viaggio, raccolte in Prologhi (1916), Viaggi nel tempo (1920), Favole e memorie (1925), Il sole a picco (1929, versi e prose con illustrazioni del pittore bolognese Giorgio Morandi, opera vincitrice quell’anno del Premio Bagutta, che lo consacra alla fama), Il cielo sulle città (1939), altre prose, sul tema del vagabondaggio lirico fra natura e arte d’Italia, in parte già comparse su Il Tevere, Lettere non spedite (1946), Villa Tarantola (1948). Fu direttore, dal 1949, della Fiera letteraria, insieme al drammaturgo forlivese Diego Fabbri. Fu un conversatore brillante ed un letterato polemico e severo, avendo vissuto una vita vagabonda, solitaria e di austera e scontrosa dignità. Suoi maestri sono stati Baudelaire, Nietzsche, Leopardi, Pascal, che lo hanno portato ad esprimere le proprie passioni con un senso razionale, senza troppe esaltazioni spirituali; anche se fu apertamente cattolico: «Dal gesuita vien fuori il giacobino, non nascerà mai il nuovo italiano. Ben altro è il cattolicesimo che piace a noi, e che sentiamo: più antico, robusto, ingenuo. Non è né europeo, né spagnuolo, ma romano. Risale ai tempi giuridici e ferrei d’Ildebrando, al paternostro, a quel glorioso registro nel quale i parroci cominciarono a tener conto dei nostri nomi, ai secoli d’oro della Chiesa romana». La sua è una poesia descrittiva lineare, legata a ricordi passati di qualunque tipo, siano paesaggi, animali, persone e stati d’animo, che vengono espressi con un uso di un linguaggio discorsivo e nello stesso tempo impetuoso e profondo.

Per tutta la vita Vincenzo Cardarelli visse appartato: spesso, per affinità poetiche, caratteriali e fisiche ( Cardarelli soffriva della malattia di Pott ) è stato paragonato a Giacomo Leopardi; morì a Roma il 18 giugno 1959 nell’Ospedale Policlinico, solo e povero.


La malattia di Pott o morbo di Pott, chiamata anche spondilite tubercolare, è una forma di tubercolosi extrapolmonare; si tratta della sindrome generata dalla localizzazione dei micobatteri (il bacillo di Koch), responsabili della malattia, nelle vertebre della colonna

 

 

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Aggiornato al 7 Dicembre 2023

 

 

LIBRO: Opere Scelte di Aubrey Beardsley

 

AUBREY BEARDSLEY, OPERE SCELTE, SAVELLI

Aubrey Vincent Beardsley (Brighton, 21 agosto 1872 – Mentone, 16 marzo 1898) è stato un illustratore, scrittore e pittore inglese, piuttosto influente negli ambienti teatrali all’epoca di Oscar Wilde. Fu profondamente influenzato dallo stile giapponese che era di moda in quegli anni: famose sono le sue illustrazioni in bianco e nero a campiture piatte per opere come Salomè.

Allineata con il modello estetico che vide in Oscar Wilde l’emblema, la vita di Beardsley fu improntata all’eccentricità ed al pubblico egocentrismo, al punto che ebbe a dichiarare: “Ho uno scopo: il grottesco. Se non sono grottesco, non sono niente.” Oscar Wilde amava descriverlo come un uomo “dalla faccia come un piatto d’argento e con capelli verdi come l’erba”. Tra le voci più insistenti riguardo alla sua vita privata vi sono quelle di omosessualità e di incesto con sua sorella maggiore, Mabel, da cui avrebbe avuto anche un figlio. Beardsley morì di tubercolosi a Mentone, in Francia, nel 1898, all’età di 25 anni. Molti affermano che fosse molto bello e che si vantasse assai di questo suo pregio.

Beardsley, come Rimbaud o Lautréamont, ha speso in un arco di tempo brevissimo, nemmeno ventisei anni (1872-1898), la sua vita di artista e come loro è stato folgorato dalle contraddizioni del suo tempo. Nasce nell’Inghilterra di fine Ottocento, sull’onda di un movimento che rifiuta i miti del secolo, in una nazione industrialmente matura, al centro di un sistema mondiale segnato da una sempre più stretta compenetrazione della civiltà occidentale con le altre antiche civiltà, in particolare con quella dell’Estremo Oriente. Inizia allora l’epoca dell’Imperialismo che segnerà un punto di svolta nella storia del capitalismo: a una società borghese caratterizzata da una miriade di centri indipendenti collegati fra loro dalla mano provvidenziale del mercato, ne succede un’altra nettamente diversa turbata da nuove e più profonde contraddizioni. Nel passaggio dall’una all’altra, la certezza cederà il posto al dubbio, l’armonia al discorde, la realtà al sogno, il naturalismo al simbolismo. ( Wikipedia )

 

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Aggiornato al 2 Gennaio 2024

 

 

 

LIBRO: Le Catacombe Romane di Orazio Marucchi

ORAZIO MARUCCHI, LE CATACOMBE ROMANE 

Le catacombe di Roma sono antiche aree cimiteriali sotterranee ebraiche e cristiane. Erano solitamente scavate nel tufo al di fuori dell’antica cinta muraria della città, dato che all’interno di quest’ultima non era possibile seppellire i defunti ( hominem mortuum in urbe neve sepelito neve urito, “Non si seppellisca né si cremi nessun cadavere in città” ). Nel sottosuolo di Roma esistono più di 40 catacombe che si snodano per circa 150 km e su più livelli.

I nuclei più antichi delle catacombe romane risalgono alla fine del II secolo. Precedentemente i cristiani venivano sepolti insieme con i pagani; quando la comunità divenne più numerosa, fu necessario creare cimiteri collettivi. Per risolvere il problema dello spazio e grazie alla facilità dello scavo nel banco di tenero tufo sottostante la città, essi vennero realizzati con gallerie sotterranee a più piani. All’inizio le catacombe vennero utilizzate esclusivamente per scopi funerari e per il culto dei martiri ivi sepolti. L’opinione comune che vuole che esse fossero utilizzate come nascondigli dai cristiani perseguitati è probabilmente priva di fondamento. Del resto le persecuzioni caratterizzarono solamente alcuni periodi dell’Impero Romano, al tempo di Nerone (tra il 64 e il 67), Domiziano (solo nel 96), Valeriano (253-260) e Diocleziano (303-305). ( Wikipedia )

Catacombe di San Callisto, San Sebastiano e Santa Domitilla

Tre delle più importanti e più grandi catacombe presenti a Roma sono quelle di San Callisto, San Sebastiano e Santa Domitilla.
Tutte e tre sono comprese nella zona dell’Appia Antica – tra Via Appia e via Ardeatina – e sono vicine le una alle altre.
Prima di iniziare la discesa in questi labirinti sotterranei carichi di storia e suggestioni, è d’obbligo una piccola sosta per assaporare la pace bucolica della stradina che si trova all’incrocio tra la Via Appia e la Via Ardeatina, all’ingresso alle catacombe di San Callisto, da dove inizia il percorso.

Catacombe di San Callisto – Via Appia Antica, 110 – km. 1,8

Sorte verso la metà del secondo secolo, in esse trovarono sepoltura più di 500.000 cristiani, tra cui decine di martiri e 16 pontefici.
Le catacombe di San Callisto occupano un’area di 15 ettari e contano quasi 20 km di gallerie sotterranee, che scendono a grande profondità ( 20mt. ) e si diramano su quattro e a volte cinque livelli, fiancheggiati da loculi ( nicchie scavate ) disposti su due e tre livelli l’uno sull’altro.
Nella parte superiore del complesso ( “sopraterra” ) sono visibili due piccole basiliche con tre absidi, dette “Tricore”. In quella orientale furono probabilmente sepolti il papa S. Zefirino e il giovane martire dell’Eucarestia, S.Tarcisio.
Nella zona sottorranea, la Cripta dei Papi è sicuramente il luogo più importante. Definito anche “il piccolo Vaticano”, questo luogo conserva i resti di almeno cinque Papi martirizzati e poi santificati.
La Santa Cecilia è sepolta dove ora si trova la sua stupenda statua, capolavoro di Stefano Maderno. Nell’821 le reliquie di Santa Cecilia furono trasportate in Trastevere nella basilica a lei dedicata. 
La cripta era interamente decorata con affreschi e mosaici.
I Cubicoli dei Sacramenti sono tombe di famiglia, all’interno delle quali si trovano importanti affreschi, databili inizio del III secolo. In queste suggestive pitture sono rappresentati simbolicamente i sacramenti del Battesimo e dell’Eucarestia. In un affresco, inoltre, è raffigurato anche il profeta Giona, simbolo di resurrezione.

Catacombe di San Sebastiano – Via Appia Antica,136 – km. 2,4

È qui che si trovano le prime tombe cristiane definite “catacombe” dal nome con cui era nota la vallata. Le catacombe di San Sebastiano sono molto simili a quelle di San Callisto. Presentano quattro livelli di profondità, e all’interno sono ancora ben visibili alcuni dipinti risalenti ai primi tempi del Cristianesimo, stucchi graffiti e mosaici. La parte centrale dell’ itinerario è la Basilica di San Sebastiano, una delle sette mete di pellegrinaggio a Roma.
La chiesa è in stile barocco. Nella prima cappella a sinistra si trova una statua in marmo di S. Sebastiano e accanto c’è la cripta in cui sono conservati i resti del Santo.
Nella cappella dell’abside di destra, sono custodite altre sacre reliquie: una pietra con un’impronta attribuita a Gesù Cristo; alcune delle frecce che trafissero S. Sebastiano, la colonna a cui fu legato il Santo, e infine le mani di S. Callisto e di S. Andrea.

Catacombe di S. Domitilla ( anche dette dei Santi Nereo e Achilleo ) – Via delle Sette Chiese, 282

Queste catacombe, non troppo distanti dalle precedenti, sono tra le più vaste e le più antiche. Si tratta di 15 km di gallerie sotterranee disposte su 4 livelli. Sono ben conservate e contano oltre 150.000 sepolture.
I corpi dei defunti venivano per lo più introdotti in fenditure poco profonde scavate nella pietra. I ricchi avevano tombe più spaziose e con archi decorati, che spesso erano vere e proprie tombe di famiglia.
La visita avviene scendendo alla basilica e da questa alle catacombe.
Una piccola basilica in muratura è dedicata ai Santi Nereo e Achilleo, martirizzati da Diocleziano e deposti in una cripta trasformata in edificio di culto.
La Basilica è a tre navate separate da due file di quattro colonne.  Altare maggiore: qui si trovano l’unica colonnina rimasta intatta, decorata con la decapitazione di Achilleo e la tomba di S. Petronilla.
La navata sinistra: qui si trovano le tombe di alcuni membri della famiglia dei Flavi Aureli ( seconda metà del II secolo ), la zona nata come ipogeo privato pagano, durante il III sec., accolse anche sepolture cristiane.  Al livello inferiore Interessanti il cubicolo con l’affresco del III secolo del Cristo Buon Pastore e la cosiddetta regione “della Madonna” in cui sono visibili dipinti del III e IV secolo, tra i quali spicca quello raffigurante i quattro Magi che si avvicinano alla Vergine con il Bambino. ( Italia.it Agenzia Nazionale Turismo )

 

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Aggiornato al 2 Gennaio 2024

 

 

 

LIBRO: Atlante della Grande Armee

ATLANTE DELLA GRANDE ARMEE

Guerre napoleoniche è il termine usato per definire l’insieme delle guerre combattute in Europa nel periodo in cui Napoleone Bonaparte governò la Francia. Furono in parte un’estensione delle guerre rivoluzionarie innescate dalla rivoluzione francese e continuarono durante tutto il Primo Impero francese.

Non esiste un consenso unanime nello stabilire quando si possano ritenere concluse le guerre rivoluzionarie francesi e cominciate quelle riconducibili a Napoleone Bonaparte. Una data possibile di inizio di queste ultime è il 9 novembre 1799, giorno in cui Bonaparte salì al potere in Francia con il colpo di Stato del 18 brumaio. La data di inizio usata più comunemente è il 18 maggio 1803, in occasione della rinnovata dichiarazione di guerra tra Gran Bretagna e Francia, dopo le reciproche accuse di violazione degli accordi sanciti con il trattato di Amiens, evento che pose termine all’unico periodo di pace generalizzata in Europa tra il 1792 e il 1814. Un’ultima data di inizio proposta è il 2 dicembre 1804, giorno nel quale Napoleone si incoronò imperatore. Le guerre napoleoniche ebbero termine dopo la disfatta finale di Napoleone nella battaglia di Waterloo il 18 giugno 1815 e il secondo Trattato di Parigi.

Il periodo che va dal 20 aprile del 1792 al 20 novembre 1815 viene anche indicato con il termine di “grande guerra francese”.

Battaglia di Austerlitz

La battaglia di Austerlitz, detta anche battaglia dei tre imperatori, fu l’ultima e decisiva battaglia svoltasi durante la guerra della terza coalizione, parte delle guerre napoleoniche.

Fu combattuta il 2 dicembre 1805 (11 frimaio, anno XIV del CRF) nei pressi della cittadina di Austerlitz (l’attuale comune di Slavkov u Brna nella Repubblica Ceca, nelle vicinanze di Brno) tra la Grande Armée francese composta da circa 73 000 uomini comandati dall’imperatore Napoleone Bonaparte e un’armata congiunta, formata da russi e austriaci, composta da oltre 85 000 uomini comandati dal generale russo Michail Illarionovič Kutuzov, con la collaborazione del generale austriaco Franz von Weyrother che era stato l’ideatore del piano di battaglia austro-russo.

Dopo avere accerchiato e distrutto un’intera armata austriaca durante la campagna di Ulma, le forze francesi occuparono Vienna l’11 novembre 1805. Gli austriaci riuscirono a evitare ulteriori combattimenti fino all’arrivo dei rinforzi russi. Napoleone necessitava di una vittoria decisiva e, per attirare gli avversari sul terreno di battaglia da lui scelto nei pressi di Austerlitz, finse di trovarsi in difficoltà facendo ripiegare le sue avanguardie e indebolendo deliberatamente il suo fianco destro. I generali austro-russi concentrarono la maggior parte delle forze contro la destra francese, sguarnendo pericolosamente il centro del loro fronte, che subì il violento attacco di sorpresa del IV Corpo del Maresciallo Nicolas Jean-de-Dieu Soult. Dopo il crollo del centro nemico, i francesi poterono sbaragliare entrambi i fianchi dello schieramento nemico e costrinsero gli alleati ad una fuga disordinata, catturando migliaia di prigionieri.

Francia e Austria conclusero un armistizio immediato cui seguì poco dopo, il 26 dicembre, la pace di Presburgo: il trattato poneva l’Austria fuori sia dalla guerra che dalla terza coalizione, confermando la perdita austriaca dei territori in Italia a favore della Francia e in Germania a favore degli alleati tedeschi di Napoleone. La cruciale vittoria ad Austerlitz permise a Napoleone di creare la Confederazione del Reno; di conseguenza il Sacro Romano Impero cessò di esistere nel 1806 con l’abdicazione di Francesco II dal trono imperiale.

La battaglia di Austerlitz rappresenta il più grande successo raggiunto da Napoleone nella sua carriera militare e ha assunto una statura quasi mitica nell’epopea napoleonica. Grazie alla precisa esecuzione dell’audace ma ingegnoso piano dell’imperatore, i francesi conseguirono una vittoria schiacciante, e la battaglia è spesso celebrata come il capolavoro di Napoleone per l’abilità di cui egli diede prova e, per i risultati raggiunti, è stata paragonata alla battaglia di Canne, il famoso trionfo di Annibale. ( Wikipedia )

 

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Aggiornato al 4 Gennaio 2024

 

 

 

LIBRI: Il Capitale di Karl Marx

MARX, IL CAPITALE, EDITORI RIUNITI

Il Capitale ( Das Kapital ) è l’opera maggiore di Karl Marx ed è considerata il testo-chiave del marxismo. Il Libro I del Capitale fu pubblicato quando l’autore era ancora in vita (1867), gli altri due uscirono postumi. Il Libro II ed il III uscirono a cura di Friedrich Engels rispettivamente nel 1885 e nel 1894, mentre il Libro IV venne pubblicato (1905-1910) da Karl Kautsky con il titolo di Teorie del plusvalore.

Il sottotitolo dell’opera, Critica dell’economia politica, evidenzia chiaramente la contrapposizione esplicita di Marx all’economia politica di stampo liberista all’epoca dominante. Marx, partito dalla scuola della politica economica degli economisti classici, con i suoi studi se ne allontana, ridefinendo la centralità del lavoro nei processi di creazione, accumulazione e ricircolazione del capitale e introducendo il concetto di plusvalore altrimenti non identificato. Tutto il pensiero di Marx può essere visto come una riflessione in chiave critica sui temi sollevati da Adam Smith e David Ricardo, tra i massimi esponenti di quella scuola, e la teoria marxiana del valore è chiaramente impostata nella teoria del valore-lavoro degli economisti classici, tanto che alcuni considerano Marx, per quanto ne scardinerà tutto l’apparato, l’ultimo grande esponente della scuola classica.

La prima divulgazione in lingua italiana del Capitale, sotto forma di compendio del Libro I, fu opera dell’anarchico Carlo Cafiero. Il testo, che constava di 10 brevi capitoli (126 pagine in tutto), fu terminato nel marzo del 1878 e pubblicato il 20 giugno 1879 col titolo: Il capitale di Carlo Marx brevemente compendiato da Carlo Cafiero. Libro primo. Sviluppo della produzione capitalista.

In seguito, il testo dell’opera fu tradotto in italiano nel 1886 e pubblicato per la prima volta, seppur in versione incompleta, dall’Unione Tipografico-Editrice di Torino ( UTET ) allora diretta dal genovese Gerolamo Boccardo, che riunì 43 dispense pubblicate in precedenza. La prima traduzione autorizzata da Karl Marx è però quella riassunta da Gabriele Deville su traduzione di Ettore Guindani pubblicata nel 1893 a cura del giornale di Cremona “L’eco del popolo”. ( Wikipedia )

 

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LIBRO: Cianfrusaglie del passato. La vita di Wisława Szymborska

A. BIKONT, J. SZCZESNA, CIANFRUSAGLIE DEL PASSATO, ADELPHI

« Confidarsi in pubblico è come perdere l’anima. Qualcosa bisogna pur tenere per sé» ha detto Wisława Szymborska. E ha detto anche: «Cerco di non pensare troppo a me, e non lo dico per smanceria o per ingraziarmi il lettore. È la verità: non sono al centro dei miei interessi». Scavare nella vita di chi tanto detestava mettersi pubblicamente a nudo e ha fatto della riservatezza la propria insegna potrebbe dunque sembrare un’indebita intromissione. Peggio: un tradimento. Anna Bikont e Joanna Szczęsna – due tra le migliori firme del giornalismo culturale polacco – sono riuscite, brillantemente, a evitare questo scoglio. Cianfrusaglie del passato ( espressione tratta dalla splendida poesia Scrivere il curriculum: « Sorvola su cani, gatti e uccelli, / cianfrusaglie del passato, amici e sogni ») è una biografia non solo rigorosa e documentatissima, frutto di accurate ricerche e di lunghe conversazioni con la Szymborska stessa e con quanti l’hanno frequentata, ma soprattutto discreta. Giacché a risuonare, in ogni pagina, non è la loro voce, ma quella, irresistibilmente ironica, di una donna che – ha scritto Adam Zagajewski – «sembrava appena uscita da uno dei salotti parigini del Settecento». Scopriremo così il suo ambiente familiare, le letture, i giochi e le paure dell’infanzia, la vita nel «kolchoz dei letterati» di Cracovia e la giovanile adesione all’idea comunista, la rapida disillusione, il distacco, e poi la simpatia per Solidarność negli anni Ottanta, infine lo spartiacque del Nobel. Ma anche che la Szymborska amava i ninnoli kitsch, i gadget di pessimo gusto, i limerick e la poesia scherzosa in genere – e difficilmente potremo resistere alla tentazione di imparare a memoria le sue più impagabili battute. E scopriremo, alla fine, la sua gravità, la sua profondità, puntigliosamente celate dietro lo schermo della leggerezza giocosa e della impenetrabile discrezione: «Io so come adattare i lineamenti / perché nessuno veda i miei tormenti» si legge in una poesia del 1954. ( Adelphi )

Wisława Szymborska

Wisława Szymborska ( Kórnik, 2 luglio 1923 – Cracovia, 1º febbraio 2012 ) è stata una poetessa e saggista polacca.

Premiata con il Nobel nel 1996 e con numerosi altri riconoscimenti, è generalmente considerata la più importante poetessa polacca degli ultimi anni, e una delle poetesse più amate dal pubblico della poesia e non solo di tutto il mondo d’oggi. In Polonia, i suoi volumi raggiungono cifre di vendita (500.000 copie vendute – come un bestseller) che rivaleggiano con quelle dei più notevoli autori di prosa, nonostante Szymborska abbia ironicamente osservato, nella poesia intitolata Ad alcuni piace la poesia ( Niektorzy lubią poezje ), che la poesia piace a non più di due persone su mille.

Benché molte delle sue poesie non superino la lunghezza di una pagina, esse toccano spesso argomenti di respiro etico che riflettono sulla condizione delle persone, sia come individui che come membri della società umana. Lo stile di Szymborska si caratterizza per l’introspezione intellettuale, l’arguzia e la succinta ed elegante scelta delle parole. Non mancano, d’altra parte, aperte denunce di carattere universale sullo stato delle cose:

«Nulla è cambiato.
Il corpo trema, come tremava
prima e dopo la fondazione di Roma,
nel ventesimo secolo prima e dopo Cristo,
le torture c’erano, e ci sono, solo la terra è più piccola
e qualunque cosa accada, è come dietro la porta»

( Wisława Szymborska, Torture )

Il critico tedesco Marcel Reich-Ranicki ha affermato: «È la poetessa più rappresentativa della sua nazione, la cui poesia lirica, ironica e profonda, tende verso la poesia lirica filosofica». Il traduttore italiano Pietro Marchesani ha indicato nell’incanto il tratto più significativo dei suoi versi. La Szymborska stessa, è stato ricordato, individua l’origine della poesia nel silenzio. ( Wikipedia )

 

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Aggiornato al 4 Gennaio 2024

LIBRO: Il Rinascimento a Ferrara

UN RINASCIMENTO SINGOLARE … ESTE A FERRARA

Il Rinascimento a Ferrara decollò a partire dalla signoria di Lionello d’Este (1441-1450) e produsse alcuni dei più originali risultati nell’ambito del primo Rinascimento italiano. Si tratta della rinomata scuola di Cosmè Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti. Una seconda scuola prese le mosse nel XVI secolo, con protagonista Dosso Dossi.

La corte degli Este a Ferrara era una delle più vitali dell’Italia settentrionale fin dalla fine del XIV secolo, quando Niccolò d’Este avviò l’Università e diede inizio alla costruzione del castello. Spiccati erano i connotati cortesi, come dimostrano gli interessi verso il mondo favolistico di retaggio medievale, testimoniati dai numerosi romanzi cavallereschi che arricchivano la celebre biblioteca, verso l’astrologia e l’esoterismo. Sul piano artistico era molto apprezzato Pisanello, che realizzò varie medaglie per Lionello d’Este, e la produzione miniata sia di stampo internazionale, in cui spiccava Belbello da Pavia (autore della Bibbia di Niccolò d’Este), sia aggiornata all’umanesimo, come quella di Taddeo Crivelli (Bibbia di Borso d’Este).

Con Leonello d’Este al potere (dal 1441 al 1450) gli orizzonti culturali della corte si ampliarono ulteriormente, spaziando tra tutti i nuovi fermenti e contribuendo a creare un ambiente del tutto singolare nel panorama italiano. Educato dall’umanista Guarino Veronese, fu in contatto con le principali personalità artistiche del tempo, tra cui oltre al già citato Pisanello, ci furono Leon Battista Alberti, Jacopo Bellini, Piero della Francesca (dal 1448 circa) e il giovane Andrea Mantegna (in città nel 1449 e nel 1450-1451). Inoltre avviò una raccolta antiquaria e una manifattura di arazzi, che crearono rapporti stretti e continui con le Fiandre: a Ferrara soggiornarono, in tutta probabilità, alcuni grandi maestri transalpini, come Rogier van der Weyden (verso il 1450) e Jean Fouquet (verso il 1447, lasciando il Ritratto del buffone Gonella). Le opere di questi autori vennero ammirate nelle collezioni marchionali dagli artisti italiani di passaggio, permettendo il contatto tra le due grandi scuole pittoriche.

Fu durante l’epoca di Borso d’Este (al potere dal 1450 al 1471) che i molteplici fermenti artistici della corte si trasformarono in uno stile peculiare, soprattutto in pittura. Gli stimoli di base erano la cultura cortese, la razionalità prospettica e la luce limpida di Piero della Francesca, l’attenzione ottica al dettaglio dei pittori fiamminghi e il donatellismo, filtrato attraverso gli squarcioneschi. A ciò gli artisti ferraresi aggiunsero presto una loro interpretazione peculiare, caratterizzata dalla tensione lineare, l’esasperazione espressiva, la preziosità unita con una forte espressività.

Leonello d’Este

Leonello d’Este, o anche Lionello ( Ferrara, 21 settembre 1407 – Voghiera, 1º ottobre 1450 ), fu marchese di Ferrara a partire dal 1441, inoltre signore di Modena, Reggio, Polesine e Garfagnana.

Leonello fu ottimo politico, ma si distinse soprattutto nel campo della cultura e intrattenne rapporti epistolari con tutti i massimi studiosi di quel tempo. Leon Battista Alberti compose, su sua commissione, il “De re aedificatoria”, dato alle stampe poco dopo la sua morte, e alla corte estense di Ferrara lavorarono artisti come il Pisanello, Jacopo Bellini, Andrea Mantegna, Piero della Francesca, e il fiammingo Rogier van der Weyden. Il marchese ridiede slancio all’università di Ferrara, fondata dal marchese Alberto V d’Este, che richiamò in città studenti da tutta Italia e da molte nationes d’Europa. ( Wikipedia )

 

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