LIBRO: La Nuova L’Aquila di Monsignor Orlando Antonini

ORLANDO ANTONINI, L’AQUILA NUOVA NEGLI ITINERARI DEL NUNZIO

L’Associazione Editori Abruzzesi ha conferito nel 2013 un premio a Mons. Orlando Antonini per il volume “ L’Aquila nuova negli itinerari del Nunzio ”.

La motivazione della Giuria: “ L’opera si distingue per il taglio narrativo originalissimo con cui l’autore, studioso già noto quale profondo conoscitore del patrimonio architettonico dell’Aquila, riformula l’approccio ai monumenti della Città proponendo una stimolante ipotesi di ricostruzione dell’impianto urbanistico aquilano. Il contributo critico dell’autore, oggi imprescindibile punto di riferimento per gli studi di storia dell’architettura non solo aquilana ma abruzzese tout court, non si limita infatti a ripercorrere i luoghi già magistralmente descritti nella fondamentale opera: Chiese dell’Aquila, ma alla conoscenza puntale di ogni singolo monumento viene ora ad aggiungersi uno sforzo ulteriore, insolito da parte della comunità degli studi storici, l’immaginazione di una possibile ricostruzione della Città dopo il devastante terremoto del 2009.

L’Autore propone soluzioni architettoniche da autentico progettista del restauro corredando l’opera con un appropriato apparato iconografico, in cui alla documentazione fotografica si associa la simulazione tridimensionale. L’invenzione narrativa che ipotizza un percorso del Nunzio dopo vent’anni dal sisma rende l’opera suggestiva e ne fa un accorato atto d’amore per la propria Città senza nulla togliere all’approccio scientifico che resta come nelle altre opere, di altissimo profilo ”. Il volume di Mons. Antonini rappresenta un importante contributo per la ricostruzione dell’Aquila, dopo il terremoto del 6 aprile 2009.

Antonini, nato a Villa Sant’Angelo, un borgo a pochi chilometri da L’Aquila, è studioso di architettura religiosa e di storia dell’urbanesimo. Nel libro, con la finzione letteraria del viaggiatore che nel 2029, a vent’anni dal devastante terremoto, visita L’Aquila nuova che stupisce in bellezza, Antonini propone un modello di ricostruzione della città meglio di come era.

L’Aquila

Nonostante i forti terremoti del 1461, 1703 e 2009, in città è ancora presente un ampio patrimonio storico che mostra un primo strato medievale testimoniato soprattutto dalle Mura cittadine, uno rinascimentale che caratterizza numerosi palazzi e chiese e infine il barocco e il neoclassico delle ricostruzioni post sisma settecentesche.

Il Terremoto del 1300

La città dell’Aquila sorge su un territorio ad alta sismicità, e fin dalla sua fondazione è stata funestata da numerosi e distruttivi eventi tellurici. Il primo terremoto di cui si abbia notizia risale al 13 dicembre 1315.

Un forte terremoto si verificò il 9 settembre 1349: si stima che abbia avuto un’intensità pari a magnitudo 6,5 della scala Richter e che abbia prodotto danni valutabili nel X grado della scala Mercalli. Furono sbrecciati e atterrati ampi tratti delle mura cittadine e crollarono moltissime case e chiese. Le vittime furono ottocento e, poiché all’epoca gli abitanti dell’Aquila erano meno di diecimila, si trattò di quasi il 10% della popolazione. La gran polvere che si alzò gravò sulla città per molto tempo, impedendo il salvataggio repentino di coloro che erano stati travolti dalle macerie. La difficile e laboriosa ricostruzione scoraggiò una parte della popolazione, che preferì tornare ai villaggi e castelli dai quali erano venuti i loro avi. Di fronte all’esodo massiccio della popolazione e alla conseguente prospettiva di veder prematuramente cancellata L’Aquila dalle città del Regno, Camponeschi fece presidiare le mura cittadine e ne fece chiudere con tavoloni di legno le brecce.

Il Terremoto del 1700

Nel Settecento la città fu interessata da uno sciame sismico, che culminò con un violentissimo terremoto che, ancora una volta, la rase al suolo. La prima scossa della lunga sequenza si verificò il 14 ottobre 1702, ma la maggiore venne registrata il 2 febbraio del 1703 e si stima che abbia avuto una magnitudo 6,7 della Scala Richter causando devastazioni stimate nel X grado nella Scala Mercalli.

Quasi tutte le chiese e gli edifici pubblici cittadini crollarono o riportarono gravissimi danni. Si stima che nelle varie scosse che colpirono la città, quell’anno siano morte oltre 6.000 persone. Le chiese di San Bernardino ( di cui rimasero in piedi solo il coro, la facciata e le mura laterali ), San Filippo, la Cattedrale di San Massimo, San Francesco, Sant’Agostino e tutti i palazzi della città risultarono rasi al suolo oppure pesantemente danneggiati. ( Wikipedia )

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Libri & Letture

Aggiornato al 25 Gennaio 2024

 

LIBRO: La Villa di Badoer di Fratta Polesine di Lionello Pupi

L. PUPPI, LA VILLA BADOER DI FRATTA POLESINE

La villa fu voluta nel 1554 dal “Magnifico Signor Francesco Badoero”, un personaggio di spicco modesto, privo di rilevanza pubblica ma discendente di un’illustre famiglia della Serenissima, che a seguito del sodalizio con la famiglia Loredàn e del successivo matrimonio con Lucetta, figlia di Francesco Loredan, aveva ricevuto in eredità l’ampio fondo della Vespara nei pressi della Fratta.

Seguendo una tendenza molto diffusa nell’aristocrazia veneziana dopo la Lega di Cambrai, nel rivolgere attenzioni all’entroterra per favorire i propri investimenti sentiva la necessità di creare un presidio dal quale amministrare la proprietà, e allo stesso tempo di manifestare il prestigio economico raggiunto attraverso una villa di adeguate caratteristiche. Procedette pertanto alla bonifica della Vespara e all’acquisizione di altri fondi in località Bragola, ove diede avvio alla costruzione della villa progettata da Andrea Palladio con duplice valenza economica ed estetica.

Costruita e abitata nel 1556, la villa doveva essere pertanto funzionale alla conduzione dei campi e insieme segno visibile della presenza, per così dire feudale, dei Badoer sul territorio: non a caso l’edificio sorge sul sito di un antico castello medievale. Palladio riesce a unire in una sintesi efficace entrambi i significati, collegando il maestoso corpo dominicale alle due barchesse piegate a semicerchio che schermano le stalle e altri annessi agricoli.

La villa risulta ancora in fase di costruzione nel 1557, comparendo in una mappa degli ingegneri Nicolò dal Cortivo e Giacomo Castaldo presentata proprio ai fini della rilevazione dei fondi da bonificare, mentre da una dichiarazione ai Dieci Savi dello stesso Francesco Badoer è certamente completa nel 1564-1566.

La presenza dello stemma di alleanza tra le due famiglie nella decorazione pittorica resta a testimonianza del sodalizio Badoer-Loredan, che si può considerare alle origini delle vicende che portarono alla costruzione della villa.

Della storia posteriore alla costruzione della villa non si hanno che i passaggi di proprietà: i Mocenigo poi i Gradenigo, i Del Vecchio Bianchini e infine i Cagnoni-Boniotti, che furono gli ultimi proprietari, dopo di che la villa fu venduta da questi ultimi allo Stato, divenendo proprietà dell’Ente per le ville venete e infine della Provincia di Rovigo, rendendo possibile la conduzione dei restauri. Dal 1996 la villa palladiana è stata inserita nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.

Dal 21 febbraio 2009 le barchesse settentrionali della villa ospitano il museo archeologico nazionale di Fratta Polesine.

Palladio

Andrea nacque nel 1508 a Padova, nella Repubblica di Venezia, da una famiglia di umili origini: il padre Pietro, detto “della Gondola” era mugnaio e la madre Marta, detta la Zota (“la zoppa”), una donna di casa.

A tredici anni Andrea iniziò a Padova l’apprendistato di scalpellino, presso Bartolomeo Cavazza: vi spese diciotto mesi, fino a quando, nel 1523, la famiglia si trasferì a Vicenza. Qui nel 1524 Andrea risulta già iscritto alla fraglia dei muratori[9]: lavorò infatti – rimanendovi per una dozzina d’anni – nella bottega del costruttore Giovanni di Giacomo da Porlezza e dello scultore Girolamo Pittoni, con laboratorio in Pedemuro San Biagio, nella parte settentrionale di Vicenza.

Tra il 1535 e il 1538 avviene l’incontro fondamentale con il conte vicentino Giangiorgio Trissino dal Vello d’Oro, che avrà grande importanza per l’attività di Palladio. Andrea conosce Trissino mentre lavora nel cantiere della sua villa suburbana di Cricoli. Giangiorgio Trissino, poeta e umanista, lo prenderà sotto la sua protezione. Sarà lui a conferirgli l’aulico soprannome di Palladio, lo guiderà nella sua formazione culturale e allo studio della cultura classica, conducendolo più volte a Roma. In questi anni Palladio realizza le sue prime opere significative, fra cui la villa di Gerolamo Godi (1537) a Lonedo di Lugo di Vicenza.

Nel 1534 Andrea sposò Allegradonna, di cui non si sa quasi nulla, salvo che era orfana del falegname Marcantonio e lavorava presso la nobildonna Angela Poiana. Di figli ne misero al mondo almeno cinque.

Palladio morì nel 1580 a 72 anni, se non povero, godendo di una condizione economica assai modesta. Le circostanze della sua morte rimangono sconosciute: non è nota né la causa, né il giorno preciso (nell’agosto del 1580, intorno al 19), né il luogo, che comunque la tradizione identifica con Maser, dove forse stava lavorando al tempietto di villa Barbaro. I funerali furono celebrati senza clamore a Vicenza, dove l’architetto – grazie all’intercessione della famiglia Valmarana – fu sepolto presso la chiesa di Santa Corona. ( Wikipedia )

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Aggiornato a 29 Novembre 2023