LIBRO: Le Notti di Chicago di Nelson Algren

N. Algren, Le Notti Di Chicago, Einaudi, I Gettoni, 1954

Nelson Algren ( Detroit, 28 marzo 1909 – Long Island, 9 maggio 1981 ) è stato uno scrittore e poeta statunitense. Fu un narratore dello squallore dei bassifondi di Chicago abitati da pugili, giocatori d’azzardo, immigrati soprattutto messicani e polacchi.

Si inserisce, assieme a James Thomas Farrell, Richard Wright e John Hersey nella corrente del Realismo americano iniziata da Theodore Dreiser.

Nel 1935 pubblica il suo primo romanzo, Somebody in Boots. L’opera è scritta nello stile documentaristico classico degli anni Trenta, ma vende solo 750 copie; deluso, l’autore deve essere ricoverato in ospedale per un breve periodo, probabilmente in seguito a un tentativo di suicidio.

Nella seconda metà degli anni Trenta Algren scrive racconti e lavora saltuariamente per l’Illinois Writers’ Project della Work Progress Administration istituita dal governo Roosevelt; si sposa con Amanda Kontowicz, da cui successivamente divorzierà per poi risposarla e infine divorziare di nuovo.

Il 1947 è un anno cruciale per Nelson Algren. Esce il suo terzo libro, The Neon Wilderness ( Le Notti di Chicago ). ll mondo di questi racconti è quello dei losers, i perdenti: puttane, vagabondi, giocatori d’azzardo, pugili di seconda categoria.

“I politici e gli intellettuali mi annoiano” scrisse una volta Algren, “mi sembrano irreali; la gente che frequento è quella che mi pare vera: puttane, drogati, ladri; sono gli unici rimasti con qualcosa da dire e nessuno a cui dirlo.”

 

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LIBRO: Umano, Troppo Umano di Friedrich Nietzsche

NIETZSCHE: UMANO, TROPPO UMANO E I FRAMMENTI POSTUMI

Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi ( Menschliches, Allzumenschliches. Ein Buch für freie Geister ) è il primo saggio eminentemente filosofico di Friedrich Nietzsche, pubblicato in due parti tra il 1878 e il 1879.

L’opera si distacca totalmente dai precedenti lavori del filosofo: si tratta difatti di una raccolta di aforismi incentrati specificamente sull’essere umano e sulla sua particolare condizione esistenziale. L’acuta e attenta riflessione nietzschiana sulla “Krisis” in cui si trova l’uomo contemporaneo costituirà uno degli spunti fondamentali per gran parte della riflessione filosofica a venire.

Nel 1876 Nietzsche rompe con Richard Wagner, contemporaneamente con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute le quali, facendosi sempre più precarie (emicranie e problemi di vista sempre più acuti e frequenti) lo costringono a chiedere un periodo di aspettativa dai suoi doveri accademici presso l’università di Basilea. Nell’autunno di quello stesso anno, accompagnato dal suo nuovo amico Paul Rée, uno studioso di filosofia di origine ebraica (e pertanto subito inviso ai Wagner, fanatici antisemiti), si reca a Sorrento ospite di Malwida von Meisenburg, ricca mecenate delle arti, e qui inizia a scrivere “Umano, troppo umano”.

È l’inizio del periodo cosiddetto illuministico del pensiero nietzschiano, favorito anche dai continui e proficui scambi di opinioni con Ree: il libro viene infine dedicato a Voltaire, pensatore che assurge così ad esempio simbolico della figura teorica dello “spirito libero”: nella celebrazione della ricorrenza della morte, 1878. All’inizio, invece della prefazione c’era una citazione da un brano del Discorso sul metodo di Cartesio.

Friedrich Nietzsche

Friedrich Wilhelm Nietzsche ( Röcken, 15 ottobre 1844 – Weimar, 25 agosto 1900 ) è stato un filosofo, poeta, saggista, compositore e filologo tedesco. Considerato tra i massimi filosofi e scrittori di ogni tempo, ebbe un’influenza controversa, ma indiscutibile, sul pensiero filosofico, letterario, politico e scientifico del mondo occidentale nel XX secolo. La sua filosofia, in parte riconducibile al filone delle filosofie della vita e all’irrazionalismo, è considerata da alcuni uno spartiacque fra la filosofia tradizionale e un nuovo modello di riflessione, informale e provocatorio. In ogni caso, si tratta di un pensatore unico nel suo genere, sì da giustificare l’enorme influenza da lui esercitata sul pensiero posteriore.

Scrisse vari saggi e opere aforistiche sulla morale, la religione (in particolare quella cristiana), la società moderna, la scienza, intrise di una profonda lucidità e avversione alla metafisica, seppure spesso il filosofo venga accomunato anche all’irrazionalismo, di una forte carica critica, sempre sul filo dell’ironia e della parodia. Nella sua filosofia si distingue una prima fase “wagneriana”, che comprende La Nascita della Tragedia e le Considerazioni inattuali, in cui il filosofo combatte a fianco di Richard Wagner per una “riforma mitica” della cultura tedesca.

Questa fase sarà poi abbandonata e rinnegata con la pubblicazione di Umano, troppo umano – nella stagione cosiddetta “illuministica” del suo pensiero –, per culminare infine, pochi anni prima del crollo nervoso che metterà fine alla sua attività – probabile conseguenza di una patologia neurologica ereditaria – in una terza fase, prominente del suo pensiero, dedicata alla trasvalutazione dei valori e al nichilismo attivo, costellata dai concetti di oltreuomo, eterno ritorno e volontà di potenza, fase che ha il suo apice (e inizio) con la pubblicazione del celeberrimo Così parlò Zarathustra. ( Wikipedia )

 

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LIBRO: La Liberazione di Firenze di Giovanni Frullini

G. FRULLINI, LA LIBERAZIONE DI FIRENZE, SPERLING & KUPFER, 1982

Nel pomeriggio dell’8 agosto 1944 il comando militare della Resistenza ha già messo in stato d’allarme tutte le squadre d’azione perché da tanti segni si intuisce che i tedeschi si apprestano a lasciare la città mentre le truppe anglo-americane indugiano ancora a sud dell’Arno. Il segnale convenuto dell’insurrezione generale sarà il suono a martello del campanone di Palazzo Vecchio, la Martinella.

Nella notte tra il 10 e l’11 agosto i tedeschi iniziano a ritirarsi e alle 6,45 i rintocchi della Martinella chiamano alla lotta. L’insurrezione si accende dappertutto ma i partigiani non sono soli perché al loro fianco si ritrovano persone di ogni età e di ogni fascia sociale, pronte a partecipare in prima persona alla battaglia decisiva per la liberazione della città. Da sud arriva il grosso del contingente della Divisione Potente, che ha ricevuto il via libera alle 11 dal comando britannico con un fonogramma. I reparti partigiani guadano l’Arno attraverso la Pescaia di Santa Rosa e ingaggiano battaglia con la retroguardia tedesca, cominciando a stanare i franchi tiratori fascisti che dai tetti continuano a sparare e a uccidere. A sera, dopo alcuni intensi scontri pomeridiani nella zona di Rifredi, dove alcune squadre partigiane erano rimaste accerchiate, la città è sostanzialmente libera anche se alle prese con i tentativi di contrattacco tedeschi che il 15 agosto si spingeranno addirittura fino in piazza San Marco, praticamente in pieno centro.

I primi reparti alleati entreranno in città solo il giorno 13, fino ad attestarsi sulla linea del Mugnone.

Intanto, sin dai primi rintocchi della Martinella, il Comitato di Liberazione Nazionale si insedia a Palazzo Medici Riccardi, mentre a Palazzo Vecchio una giunta comunale, designata dal CLN, assume l’amministrazione della città. Il Sindaco è il socialista Gaetano Pieraccini (grande figura di medico e ricercatore nel campo delle patologie del lavoro), vicesindaci il comunista Renato Bitossi e il democristiano Adone Zoli. ( Fonte: Comune di Firenze )

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LIBRO: Spoon River Anthology di Edgar Lee Masters

E.L. MASTERS, SPOON RIVER ANTHOLOGY, I MILLENNI, EINAUDI, 1948

L’Antologia di Spoon River ( Spoon River Anthology ) è una raccolta di poesie in verso libero che il poeta statunitense Edgar Lee Masters pubblicò tra il 1914 e il 1915 sul Mirror di St. Louis. Ogni poesia racconta, in forma di epitaffio, la vita dei residenti di Spoon River, un immaginario paesino del Midwest statunitense, sepolti nel cimitero locale. Lo scopo di Masters è quello di demistificare la realtà di una piccola cittadina rurale americana.

La prima edizione della raccolta pubblicata nell’aprile del 1915 contava 213 epigrafi diventati poi 243 più La Collina nella versione definitiva del 1916. La raccolta comprende diciannove storie che coinvolgono un totale di 248 personaggi che coprono praticamente tutte le categorie e i mestieri umani. Masters si proponeva di descrivere la vita umana raccontando le vicende di un microcosmo, il paesino di Spoon River.

In realtà, Masters si ispirò a personaggi veramente esistiti nei paesini di Lewistown e Petersburg, vicino a Springfield nell’Illinois, dove egli era cresciuto; molte delle persone a cui le poesie erano ispirate, che erano ancora vive, si sentirono offese nel vedere le loro faccende più segrete e private pubblicate in quelle poesie. La caratteristica saliente dei personaggi di Edgar Lee Masters, infatti, è che essendo per la maggior parte morti non hanno più niente da perdere e quindi possono “raccontare” la loro vita in assoluta sincerità.

Nella prefazione ad una delle edizioni italiane dell’opera, Fernanda Pivano ha scritto che “l’autore definiva questo libro qualcosa di meno della poesia e di più della prosa” e, in effetti, la struttura netta e scarna dei versi sembra dare ragione a Masters. Il tono degli epitaffi è sempre “narrativo”, mai “declamatorio” e la voce dei protagonisti è sfumata, priva di un vero rimpianto per il passato che non c’è più. Esso è, ormai, qualcosa che si trova oltre la loro attuale dimensione e, nel loro apparente distacco, sembra quasi leggibile solo l’ansia di raccontare la loro esperienza, come fa il vecchio marinaio dell’opera di Coleridge. ( Wikipedia )

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LIBRO: Invidia e I Tre Grassoni di Jurij Olesa

J. OLESA, INVIDIA E I TRE GRASSONI, EINAUDI, 1969

Il romanzo Zavist′ ( Invidia, 1927 ), che Oleša ridusse poi per il teatro col titolo Zagovor čuvstv ( La congiura dei sentimenti, 1931 ), gli diede fama europea. In quelle pagine Oleša contrappone alla vita di coloro che sognano di ritornare ai vecchi tempi, il ritmo costruttivo della nuova realtà sovietica e mette a nudo il contrasto fra la confusione grottesca del passato e il rigido ordine meccanico del presente, ma è difficile dire a quale dei due mondi vadano le simpatie dello scrittore. Delle opere di Oleša si ricordano: Tri tolstjaka ( Tre grassoni, 1928 ), racconto per ragazzi, costruito come un caleidoscopio fiabesco; i racconti Visnevaja kostočka ( Il nòcciolo di ciliegia, 1931 ), e il dramma Spick blagodejanij ( L’elenco delle benemerenze, 1931 ) in cui la protagonista, incerta tra i pregi e i difetti del potere sovietico e invaghita di Parigi, simbolo della civiltà borghese, si lascia travolgere dal proprio esasperato individualismo. ( Treccani )

Jurij Karlovič Oleša

Jurij Karlovic Oleša ( Elisavetgrad, 3 marzo 1899 – Mosca, 10 maggio 1960 ) è stato uno scrittore russo. Esordì con versi ricchi di satira nel 1922 sulle rivista Gudok, Il fischietto, nelle cui pagine scrivevano anche poeti del calibro di Bulgakov e Petrov.

Nel 1927 diede alle stampe il suo primo romanzo Invidia, suscitando non poche polemiche nei confronti dell’establishment sovietico. Rimane, quest’opera, insieme a pochi altri racconti, il capolavoro di Olesa. Le tematiche affrontate in Invidia spaziano nello scontro fra la civiltà meccanizzata e quella di massa, da lui tratteggiata con forti connotazioni negative e con un linguaggio che si riallaccia al cubofuturismo. Sia questo capolavoro che I tre grassoni, romanzo per bambini scritto nel 1924 ma pubblicato solo nel 1928, hanno avuto molte riduzioni per il teatro a partire dal 1929. ( Wikipedia )

 

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LIBRO: La Dimora dei Conti D’Arco in Mantova di Rodolfo Signorini

SIGNORINI: LA DIMORA DEI CONTI D’ARCO IN MANTOVA

I D’Arco sono una nobile famiglia di origine trentina del XII secolo. I signori d’Arco trassero origine dai conti di Bogen in Baviera, che mutarono il loro cognome tedesco in quello italiano di “d’Arco”, linea che si estinse nel 1242.

Alcuni esponenti della famiglia si stabilirono a Mantova tra il XV ed il XVI secolo dando vita al ramo mantovano della famiglia. Udalrico d’Arco (?-1528), con diploma del 1484, fu nominato da Federico I Gonzaga cittadino di Mantova. Sposò in prime nozze la contessa Susanna Collalto (?-1495) e in seconde nozze Cecilia Gonzaga, figlia di Carlo Gonzaga.

La dimora dei conti d’Arco in Mantova

La monografia illustra il Palazzo D’Arco a Mantova: in pieno centro storico, una residenza patrizia adorna dell’arredo originale, con un notevole patrimonio librario, ricca di opere d’arte; con punte d’eccellenza assoluta, come gli affreschi della Sala dello Zodiaco, attribuiti al Falconetto.
Un’opera completa, in grande formato con tante fotografie a colori, su un palazzo da non perdere, amato dai mantovani e mai abbastanza scoperto.

Il Palazzo fu eretto a partire dal 1784 su impulso di un ramo della nobile famiglia trentina dei D’Arco che si era stabilmente insediato a Mantova dal 1740. Dopo l’acquisizione della dimora dei conti Chieppo, il conte Giovanni Battista Gherardo d’Arco pensò di trasformare il palazzo seguendo i dettami del neoclassicismo ispirato all’opera di Andrea Palladio. L’opera d’edificazione fu affidata all’architetto Antonio Colonna. Come risultato finale è stato prodotto un notevole esempio di residenza aristocratica ricca di arredi e di dipinti, forte di una libreria e una collezione naturalistica, di un giardino racchiuso da una esedra sul quale si affaccia un’ala quattrocentesca costituita da due palazzine, una delle quali contiene lo straordinario ciclo pittorico della Sala dello Zodiaco, opera del Falconetto, eseguita attorno all’anno 1515. Questi edifici rinascimentali e il contiguo giardino furono acquistati nel 1872 da Francesco Antonio d’Arco dai marchesi Dalla Valle. Il complesso architettonico che si affaccia sulla omonima piazza, proseguiva a sinistra con l’edificio delle scuderie oggi trasformato nel Teatrino d’Arco, sede dal 1946 della Accademia Teatrale Francesco Campogalliani fondata da Ettore Campogalliani.

Nel palazzo dimorò anche il conte Carlo d’Arco (1799-1849), storico e collezionista di documenti. Ricoprì la carica di podestà di Mantova dal 1847 al 1848.

L’ultima esponente della famiglia, deceduta nel 1973, la signora Giovanna dei conti d’Arco Chieppio Ardizzoni, marchesa Guidi di Bagno costituì la Fondazione d’Arco. Con testamento del 1956 dispose, che alla sua morte, tutti i suoi beni, compreso il Palazzo e le raccolte in esso contenute (erbario, pinacoteca, archivio, biblioteca, strumenti musicali, arredi, armi), divenissero un pubblico Museo.

Uno dei capolavori del complesso architettonico del palazzo è posto all’interno della palazzina d’epoca rinascimentale raggiungibile attraversando il cortile: è la stanza affrescata della “Sala dello Zodiaco”, dipinto dei primi anni del XVI secolo del pittore Giovanni Maria Falconetto. ( Wikipedia )

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LIBRO: Miti e Dei dell’Antico Egitto di Fabrizio Felici Ridolfi

F. FELICI RIDOLFI, MITI E DEI DELL’ANTICO EGITTO, BARDI 2006

L’Egitto, un Paese completamente circondato dal deserto, le uniche opportunità di insediamento risiedevano nella stretta fascia lungo il Nilo

La mitologia egizia è l’insieme dei miti e delle credenze degli antichi Egizi. Questo popolo prosperò nella valle del Nilo a partire dal 4000 a.C. e diede vita ad una civiltà durata 4 millenni. La mitologia egizia non è un corpo unitario, perché nelle diverse città dell’Egitto si adoravano dei differenti, dotati di funzioni e caratteristiche che sono cambiate nel corso dei secoli.

Per gli Egizi la divinità principale è il Sole, chiamato con molti nomi e raffigurato in molti modi.

Dal III millennio a.C. si impone come divinità solare Amon-Ra, che ogni giorno solca il cielo trasportando il Sole a bordo di una nave d’oro.
In alcune tradizioni, Amon-Ra assume anche la funzione di Atum, il principio creatore del mondo.

Molti dei egizi hanno sembianze animali, come Bastet, la dea-gatto, o Wadjet, la dea-cobra protettrice del Basso Egitto, cioè l’Egitto del Nord. Alcuni dèi hanno invece solo in parte fattezze animali, come Anubi, il guardiano dei morti dalla testa di sciacallo, o Thot, dio della scrittura e delle scienze, raffigurato con la testa di ibis.

Il mito più importante della mitologia egizia è la storia della morte e resurrezione del dio Osiride. Osiride governa sugli Egizi e insegna loro le leggi e l’arte dell’agricoltura. Ma suo fratello Seth, dio del deserto, è invidioso di lui e organizza una congiura per detronizzarlo. Riesce ad ucciderlo e riduce il suo corpo in pezzi, che sparge in tutto il paese. La dea Iside, sposa di Osiride, riesce però a ricomporre il corpo del marito, che torna in vita: le due divinità si uniscono e generano Horus, dio del cielo dalla testa di falco. In seguito, Osiride muore definitivamente: passa nel regno dei morti e ne diviene il sovrano. Il giovane Horus invece cresce e sfida l’usurpatore Seth per vendicare la morte del padre: la battaglia è aspra, ma alla fine il dio-falco ha la meglio e diviene re d’Egitto.

Questo mito ha varie letture. Seth era venerato soprattutto nell’Alto Egitto, mentre Osiride era venerato nel Basso Egitto: forse lo scontro tra le due divinità simboleggia le lotte tra le due parti del Paese prima dell’unificazione nel 3000 a.C.

Il mito di Osiride è alla base della fede degli Egizi in una vita dopo la morte. Secondo gli Egizi infatti l’anima del defunto può giungere al regno di Osiride, a patto però che il corpo sia ben conservato. Per questo i cadaveri vengono mummificati: le viscere sono asportate e il corpo trattato con sostanze chimiche prima di essere avvolto in bende di lino. ( Fonte: OvoVideo )

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Aggiornamento a 29 Novembre 2023

 

LIBRO: Trilussa e la Libertà

 

TRILUSSA E LA LIBERTA’

Trilussa, pseudonimo anagrammatico di Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri ( Roma, 26 ottobre 1871 – Roma, 21 dicembre 1950 ), è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano, particolarmente noto per le sue composizioni in dialetto romanesco.

Carlo Alberto Camillo Salustri nasce a Roma il 26 ottobre 1871 da Vincenzo, cameriere originario di Albano Laziale, e Carlotta Poldi, sarta bolognese. Secondogenito dei Salustri, venne battezzato il 31 ottobre nella chiesa di San Giacomo in Augusta, con l’aggiunta di un quarto nome, Mariano. Un anno dopo, nel 1872, la sorella Elisabetta morì all’età di tre anni a causa di una difterite. L’infanzia travagliata del giovane Carlo venne colpita nuovamente due anni dopo, il 1º aprile 1874, a causa della morte del padre Vincenzo. Carlotta Poldi, dopo la morte del marito, decise di trasferirsi con il piccolo Carlo in via Ripetta, dove rimase per soli undici mesi, per poi trasferirsi nuovamente, nel palazzo in piazza di Pietra del marchese Ermenegildo Del Cinque, padrino di Carlo. Probabilmente è alla figura del marchese Del Cinque che Trilussa dovrà la conoscenza di Filippo Chiappini, poeta romanesco seguace del Belli.

Nel 1887, all’età di sedici anni, presentò a Giggi Zanazzo, poeta dialettale direttore del Rugantino, un suo componimento chiedendone la pubblicazione. Il sonetto di ispirazione belliana, intitolato L’invenzione della stampa, partendo dall’invenzione di Johann Gutenberg sfociava, nelle terzine finali, in una critica alla stampa contemporanea.

Zanazzo accettò di pubblicare il sonetto, che apparve nell’edizione del 30 ottobre 1887 firmato in calce con lo pseudonimo Trilussa. Da questa prima pubblicazione iniziò un’assidua collaborazione con il periodico romano, grazie anche al sostegno e all’incitamento di Edoardo Perino, editore del Rugantino, che porterà il giovane Trilussa a pubblicare, tra il 1887 e il 1889, cinquanta poesie e quarantuno prose. ( Wikipedia )

LA LIBERTÀ

Cos’è la Libertà ? adesso te lo spiego: – diceva Melapiglio a Menefrego – la Libertà di un popolo è compagna all’acqua che vien giù dalla montagna.
Se la lasci passare dove le pare si spreca nei fiumi fino al mare: ma, se c’è chi la guida e la riduce e l’incanala verso l’officina, appena arriva muove la turbina, diventa forza e si trasforma in luce. Bella scoperta! Grazie del consiglio! – rispose Menefrego a Melapiglio – Ma quando l’acqua ha mosso nel cammino una centrale elettrica o un mulino, se canta o se borbotta non è male lasciarle un po’ di sfogo naturale.

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Aggiornato al 19 Novembre 2023

 

 

LIBRI: Decadenza e Caduta dell’Impero Romano di Edward Gibbon

E. GIBBON, DECADENZA E CADUTA DELL’IMPERO ROMANO, NEWTON COMPTON

Storia della decadenza e caduta dell’Impero romano ( titolo originale The History of the Decline and Fall of the Roman Empire ) è un’opera storica in sei volumi scritta dallo storico inglese Edward Gibbon.

Traccia le tappe della civilizzazione dell’Occidente – raccontando pure le conquiste islamiche e mongole – dall’apogeo dell’Impero Romano alla conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II.

Il primo volume fu pubblicato nel 1776, e poi ristampato altre sei volte. I volumi II e III vennero dati alle stampe nel 1781; i volumi IV, V e VI tra il 1788 e 1789.

Dato l’uso – insolito per l’epoca – di fonti primarie, la metodologia adottata divenne un modello per gli storici, meritando a Gibbon la definizione di “primo storico moderno dell’antica Roma”.

Il testo è considerato una splendida opera letteraria, un’introduzione molto leggibile al periodo trattato, anche se i progressi compiuti nell’archeologia e nella documentazione storica rendono talune interpretazioni esposte oramai superate e non più conoscenze accademiche accettate, come avvenne fino al XX secolo.

L’opera copre la storia dell’Impero romano da Traiano, dal 98 al 1453, concludendosi nel 1590. Egli prese come materiale per il suo lavoro i comportamenti e le decisioni che portarono prima alla lunga decadenza e poi alla caduta dell’Impero romano: Impero bizantino e Impero romano d’occidente, esponendo una spiegazione circa i motivi della sua caduta. Il suo pessimismo ed il distaccato uso dell’ironia è comune al genere storico di questo periodo.

Gibbon offre una spiegazione per la caduta dell’Impero romano. L’Impero romano cadde sotto le invasioni barbariche a causa della perdita di senso civico da parte dei suoi sudditi. Essi erano divenuti deboli, cedendo il compito di difendere i confini dell’impero a barbari mercenari che divennero così numerosi ed integrati nel tessuto della società da esser capaci di distruggere l’impero. Egli pensava che i romani fossero divenuti effeminati, incapaci di una vita virile da veri soldati. In altri termini Gibbon sostenne che il Cristianesimo creò la certezza che una migliore vita sarebbe esistita dopo la morte e che questa idea portò i cittadini romani a una indifferenza circa la vita terrena, che indebolì il loro desiderio di sacrificarsi per l’Impero. Egli credette anche che il pacifismo, così radicato nella nuova religione, contribuì a smorzare il tradizionale spirito marziale romano. Per ultimo, così come gli altri pensatori illuministi, Gibbon ebbe in disprezzo il medioevo. ( Wikipedia )

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Aggiornato al 29 Novembre 2023

 

 

LIBRO: Alle Origini del Costruttivismo di Rodchenko e Stepanova

RODCHENKO, STEPANOVA, ALLE ORIGINI DEL COSTRUTTIVISMO

Aleksandr Michajlovič Rodčenko studiò all’istituto d’arte della città di Kazan, dove conobbe la futura moglie e artista Varvara Stepanova. Si interessò alla poesia di Vladimir Majakovskij e da questa si accostò alle nuovi correnti del futurismo e del suprematismo russo.

Si trasferì alla Scuola di Arte e Design Stroganov e nel 1916 espose per la prima volta i suoi quadri in una mostra organizzata da Vladimir Tatlin. Si interessò e praticò la tecnica del fotomontaggio e delle opere dei dadaisti. Si interessò del lavoro dei registi Ėjzenštejn e Dziga Vertov, con quest’ultimo collaborò intensamente producendo i manifesti per i suoi film.

Nel 1924 scelse la fotografia come mezzo artistico principale, abbandonando la pittura; proprio in quell’anno realizzò un manifesto passato alla storia, creato con la tecnica del fotomontaggio per la Lengiz ( sezione di Leningrado della casa editrice Gosizdat ) come campagna contro l’analfabetismo.

In un paese, la Russia, in cui vi era un alto tasso di analfabetismo, il fotomontaggio si rivelò un innovativo ed efficace mezzo di comunicazione e si inseriva nella poetica costruttivista, nemica di uno stile individuale ed esclusivo.

Nel 1928 acquistò una Leica, con la quale catturò immagini con prospettive insolite e audaci, con l’intenzione di combattere tutte le convenzioni della fotografia artistica del periodo. Grazie a queste inquadrature insolite, isolò e mise in risalto i più semplici elementi grafici, linee, cerchi, curve. Questo approccio rappresentò una frattura nelle norme rigorose di fine ‘800.

Alla fine degli anni venti la posizione di Rodčenko divenne, tuttavia, sempre più difficile. Il suo modo di fotografare veniva considerato troppo “formalista” e, con l’avvento dello stalinismo e di un’estetica di stato, l’accusa divenne piuttosto grave. ( Wikipedia )

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