Libri Perduti nel Tempo: La Storia del Mago Herrera

Helenio Herrera, il Mago

Helenio Herrera Gavilán ( Buenos Aires, 10 aprile 1910 – Venezia, 9 novembre 1997 ) è stato un calciatore e allenatore di calcio argentino naturalizzato francese, di ruolo difensore.

Soprannominato il Mago, è considerato uno dei migliori allenatori della storia del calcio, in virtù dei numerosi titoli conseguiti sia a livello nazionale che internazionale soprattutto durante gli anni cinquanta e sessanta. Dopo una modesta carriera da calciatore, si è affermato come tecnico di successo dapprima all’Atlético Madrid, con il quale ha vinto due campionati spagnoli consecutivi tra il 1949 e il 1951, e in seguito al Barcellona, dove è rimasto dal 1958 al 1960 conquistando altri due campionati spagnoli, una Coppa di Spagna e una Coppa delle Fiere.

Nel 1960 è stato ingaggiato dall’Inter, su espressa indicazione del presidente Angelo Moratti che ne era rimasto ben impressionato dopo averlo affrontato proprio in Coppa delle Fiere. Da allenatore nerazzurro ha conquistato tre campionati italiani nonché due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali – in entrambi i casi consecutive – tra il 1963 e il 1966, affermandosi nel contempo come uno degli allenatori più iconici del tempo ( celebri alcuni degli slogan da lui utilizzati per motivare i suoi calciatori ). Terminata l’esperienza con l’Inter nel 1968, si è trasferito alla Roma, dove dal 1968 al 1973 ha vinto una Coppa Italia e una Coppa Anglo-Italiana. La breve parentesi all’Inter ( 1973 ) e il ritorno al Barcellona ( con la vittoria di un’altra Coppa di Spagna nel 1981 ) ne hanno sancito la fine dell’esperienza in panchina.

Ha guidato tre Nazionali diverse: quella francese ( dal 1946 al 1948, in qualità di membro della commissione tecnica ), quella spagnola ( dal 1959 al 1962, affiancando il selezionatore Pablo Hernández Coronado ) e quella italiana ( dal 1966 al 1967, insieme a Ferruccio Valcareggi ).

Inter

Nel 1960 Herrera venne ingaggiato dall’Inter su espressa indicazione del presidente Angelo Moratti che lo aveva affrontato in Coppa delle Fiere, rimanendone favorevolmente colpito. Dopo due stagioni complessivamente positive seppur prive di successi nelle quali l’Inter era stata addirittura campione d’inverno, nella stagione 1962-1963 i ruoli dell’Inter e degli avversari si invertirono: la Juventus, in questo caso, fu campione d’inverno, con un punto di vantaggio sull’Inter che agganciò i bianconeri al primo posto il 3 febbraio. Successivamente, dopo un mese di coabitazione al primo posto, i torinesi uscirono sconfitti dal derby e l’Inter salì in testa: non mollò più la prima posizione, aumentò il suo vantaggio e concluse il campionato a quattro punti di distanza dalla Juventus. Fu il primo scudetto dell’era Moratti e ottavo della storia interista.

Con la conquista dello scudetto, l’Inter ebbe l’opportunità di partecipare per la prima volta alla massima competizione continentale per club, la Coppa dei Campioni. I nerazzurri riuscirono ad arrivare alla finale di Vienna dove incontrarono gli spagnoli del Real Madrid; vincendo per 3-1 divennero la prima squadra in Europa a vincere la coppa senza neanche subire una sconfitta ( sette vittorie e due pareggi ). In campionato l’Inter giunse al primo posto a pari merito col Bologna ( 54 punti ), così il 7 giugno venne disputato il primo e unico spareggio-scudetto della storia del campionato italiano: allo Stadio Olimpico di Roma il Bologna ebbe la meglio per 2-0, divenendo Campione d’Italia.

Nella stagione 1964-1965 l’Inter conquistò il suo nono scudetto, la seconda Coppa dei Campioni consecutiva e la prima Coppa Intercontinentale della sua storia. In campionato, dopo aver messo in fila otto vittorie consecutive, l’Inter vinse aritmeticamente lo scudetto all’ultima giornata. Nella coppa europea la squadra sconfisse il Benfica per 1-0 con gol di Jair in finale, mentre la Coppa Intercontinentale si risolse al terzo incontro sugli argentini dell’Independiente: il club milanese fu la prima squadra italiana a vincere tale coppa.

Nella stagione 1965-1966 l’Inter portò a casa un campionato, caratterizzato da sei vittorie consecutive, che rappresentò il decimo della sua storia e quindi quello della stella sul petto, ad indicare i dieci scudetti. In Coppa dei Campioni la squadra uscì in semifinale per mano del Real Madrid; stesso risultato in Coppa Italia, dove i nerazzurri furono sconfitti dalla Fiorentina. Tuttavia i nerazzurri portarono a casa una nuova Coppa Intercontinentale, ancora contro l’Independiente, e con queste tre vittorie l’Inter divenne la prima squadra in Europa e l’unica squadra italiana a realizzare il particolare treble costituito da scudetto, Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale.

Nella stagione 1966-1967 l’Inter si laureò campione d’inverno ma perse lo scudetto all’ultima giornata a seguito della sconfitta contro il Mantova per 1-0 e venne sorpassata dalla Juventus, che fu quindi campione d’Italia. Una settimana prima la squadra era uscita battuta nella finale di Coppa dei Campioni contro il Celtic di Glasgow.

Nel campionato 1967-1968 l’Inter non andò oltre il quinto posto, partecipando al girone finale della Coppa Italia. Il 18 maggio 1968 Angelo Moratti lasciò, dopo tredici anni, la guida della società a Ivanoe Fraizzoli e con lui se ne andarono anche Helenio Herrera e Italo Allodi. ( Wikipedia )

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Aggiornato al 11 Gennaio 2024

 

 

 

Libri Perduti nel Tempo – Mimmo Franzinelli: Il Prigioniero di Salò

 

Gli ultimi giorni di Mussolini, quando obbediva solo ai tedeschi

Gli ultimi giorni di Benito Mussolini raccontati nel libro di Mimmo Franzinelli “ Il prigioniero di Salò. Mussolini e la tragedia italiana del 1943-1945 ” ( Mondadori ). Dice l’autore: «ora sappiamo che Mussolini praticò l’esatto contrario del motto “credere, obbedire, combattere”: obbedì al diktat dei tedeschi».

Un uomo di 62 anni, prigioniero della sua ombra, del suo ruolo, con un’amante di 33 anni, ombroso, depresso, con sbalzi di umore, circondato da un microcosmo di sopravvissuti che gli danno sempre ragione ( salvo smentirlo alle spalle ) e, soprattutto ostaggio dei tedeschi. È il racconto degli ultimi giorni di Benito Mussolini come emerge dal libro di Mimmo Franzinelli “Il prigioniero di Salò”

L’unico vero referente del dittatore che a 38 anni era diventato il più giovane presidente del consiglio della storia d’Italia, è ora la sua amante Claretta Petacci, il suo esclusivo e reale interesse è spostare la sede del governo lontano da Salò perché il lago lo deprime. Dice di amare il mare, i fiumi, sempre in movimento, ma di non sopportare l’immobilità lacustre. Si fa dettare l’agenda politica dai nazisti, il vero capo di stato ombra è l’ambasciatore del Reich, Rudolf Rahn, il generale Karl Wolff è una sorta di cane da guardia messo al suo fianco. «Mussolini pensa solo al suo piacere», fa sapere a Berlino.

Il duce non può nemmeno mandare un telegramma cifrato, perché i tedeschi non glielo permettono, l’Italia settentrionale viene germanizzata, fino al punto che un pezzo di territorio ( l’arco alpino triveneto e il litorale adriatico triestino e istriano ) viene sottratto alla giurisdizione della Repubblica sociale e annesso direttamente al Reich. «Le linee telefoniche non sono più italiane», rivela in una lettera all’amante.

Dal documentatissimo racconto di Franzinelli emerge un Mussolini fuori dalla realtà, depresso per la perdita di Roma fino al limite del suicidio, incapace di confrontarsi con la nuova situazione politica, ben lontano dal porre un muro contro l’invasività tedesca come una certa benevolente vulgata continua a sostenere. Il mito del «tener fede alla parola data» viene del tutto smentito dalla costruzione mussoliniana che emerge dalle pagine del libro.

Il capo del fascismo ha continui pensieri di morte, è convinto di essere un «cadavere vivente» e lo ripete a Claretta Petacci con la quale continua a intrattenere un’intensa corrispondenza ( infatti i diari della Petacci, resi pubblici soltanto in tempi recentissimi, sono un’importantissima fonte di questo libro ). Il duce sogna, sogna di lasciare una buona immagine di sé. Come dice il politologo Giorgio Galli: «È intimamente disperato, sa che il suo tempo nella storia è finito. È come se Mussolini dicesse: Non conto più niente. Ma a questo punto, quel che davvero conta per me è proiettare il mito nel futuro».

Dalle carte emerge che il ruolo della Petacci va ben al di là di quello di una giovane amante. Incita Mussolini a tornare allo spirito della Marcia su Roma, a farsi nazista. Gli scrive: «Guardo te: te come uomo, te come Duce, e dico che precipiti verso la completa rovina. Sei – inconcepibile, ma vero, nello stato di nervi di prima. Sei travolto dagli avvenimenti: non li domini. Sei soffocato nel marasma, perduto nella nebbia di una serie di pettegolezzi, di giudizi mal dati, di affermazioni infondate, immiserito in un ambiente che senti inadatto al tuo spirito di comando, e che invece di provocare in te una giusta reazione calma e fredda e decisa ti sopraffà e ti sconvolge il sistema nervoso, per cui tu ti dibatti come l’aquila contro la rete».

Ma ormai il tempo è passato e infatti Herbert Kappler ed Erich Priebke, gli uomini di Hitler in Italia, scrivono a Berlino che il consenso di Mussolini è definitivamente perduto e che nulla di ciò che provenga dal regime di Salò potrà avere una qualche efficacia. C’è un giorno in cui Mussolini torna a essere duce, nel dicembre 1944, al Teatro lirico di Milano, già culla del fascismo. Tra gagliardetti e camice nere ritrova lo smalto di un tempo; si muove tra la folla senza particolari protezioni. Forse cerca «la bella morte», ma nessuno gliela dà. I partigiani guardano accigliati quanto sta accadendo, ma è gloria di un giorno: proclami, petti in fuori, «duce, duce», ma poi tutto torna come prima, nella più nera depressione.

Dice Mimmo Franzinelli: «La nuova documentazione ci permette di conoscere il tratto più intimo, le più vere aspettative: ora sappiamo che Mussolini praticò l’esatto contrario del motto “credere, obbedire, combattere”. Non credette nel tanto sbandierato amor di patria, non combattè, ma invece obbedì al diktat dei tedeschi. Era impegnato in una nuova battaglia per tutelare la propria raffigurazione pubblica. Per cercare di mantenere il suo carisma si impegnò in un’accurata opera di propaganda nascondendo la tragedia interiore. Lo terrorizzava una fine ingloriosa, la perdita della dignità nel caso in cui fosse finito nelle mani degli inglesi che lo avrebbero esposto al ludibrio e alla gogna anche ideologica e culturale. Era determinato a gettare le basi del mito postumo».

Alla fine è ormai un’ombra, preda di malattie immaginarie, indeciso a tutto, anche alla fuga ( altro che «ridotto della Valtellina» come estrema resistenza ). Ormai gli è ostile persino la maggioranza degli abitanti di Salò, come rivela un rapporto stilato dall’apparato amministrativo della Repubblica sociale. «È in balia degli eventi», conclude Franzinelli, «con un notevole carico familiare. Al momento della cattura, oltre all’amante, sono con lui due figli naturali: Virginio Pallottelli, pilota inquadrato nella Guardia nazionale repubblicana, e Elena Curti, ausiliaria della Rsi. E quella di Claretta di rimanere con lui fino alla fine non è stato un atto d’amore, ma la scelta razionale di rimanere nella storia, dove sapeva di essere entrata. Lo aveva scritto al suo amante in una lettera: “Tu non meriti il mio sacrificio, ma voglio rimanere nel posto che mi sono conquistata”. In definitiva tutta la storia di Mussolini a Salò è una vicenda schizoide tra un’apparenza di duce e la realtà di un moribondo». ( Alessandro Marzo Magno, L’Inkiesta, tratto dal sito di Mimmo Franzinelli )

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Aggiornato al 19 Novembre 2023

 

I. ANDREANI, L'ARTE NEI MESTIERI, IL MURATORE, CISALPINO-GOLIARDICA, 4d22 

I. ANDREANI, L’ARTE NEI MESTIERI, IL MURATORE, CISALPINO-GOLIARDICA