Libreria Montesacro Talenti Roma: Bibliofili nel XXI Secolo

Bibliofilia, Amore per i Libri 

La bibliofilia è propriamente l’amore per i libri. Ovvero la passione nel leggere e spesso collezionare libri, di solito ponendo particolare attenzione alla qualità dell’edizione, per quanto riguarda stampa, formato e materiale oppure alla rarità.

L’amore per i libri diede origine alle prime biblioteche private e pubbliche: tra le prime, si ricordano quelle dei grandi cultori di libri nell’antica Grecia, come Aristotele, o come il tragediografo Euripide, che si narra avesse una corposa biblioteca personale ricavata in una grotta, ove si ritirava per leggere, comporre e ammirare i suoi volumi; in epoca romana, invece, si annoverarono le celebri figure di bibliofili di Cicerone e di Attico.

Tra le biblioteche pubbliche non è possibile dimenticare la Biblioteca di Alessandria, andata distrutta probabilmente più volte tra l’anno 48 a.C. e il 642 d.C.

Gli ecclesiastici e i signorotti dell’età di mezzo non disdegnarono la passione per i libri ornati, eleganti e ben rilegati.

L’inglese Richard de Bury, vissuto intorno al 1300 ed il primo a scrivere un trattato sulla materia, i duchi di Borgogna, le grandi casate italiane come quelle dei Visconti, e degli Estensi si distinsero anche per la produzione di straordinari esemplari di codici miniati realizzati da importanti artisti.

Collezionarono codici, per quanto potessero, Gerberto di Aurillac, Petrarca, Boccaccio, Novello Malatesta, Cosimo de’ Medici ( con gli accademici neoplatonici come Marsilio Ficino, Poliziano, Pico della Mirandola, Nicola Cusano ecc. ).

La riscoperta dei classici spinse gli umanisti ad effettuare lunghe ricerche all’interno delle biblioteche monastiche, in quel tempo divenute centri di raccolta di enormi quantità di libri. Lo stesso Petrarca riscoprì in queste biblioteche le epistole di Cicerone intitolate Ad Atticum e svolse, talvolta, l’attività di copista.

L’invenzione della stampa consentì alla bibliofilia di assumere proporzioni sempre più vaste grazie alla maggiore diffusione della cultura e alla nascita della figura del tipografo-editore. Tra i maggiori rappresentanti di questa nuova categoria si annoverarono in Francia gli Estienne e Aldo Manuzio in Italia. La bibliofilia da questo momento assunse una nuova forma, ossia la ricerca del libro raro, dell’edizione particolare, dell’esemplare stampato da un celebre tipografo.

Nel Cinquecento, durante le guerre religiose avvenne un processo improvviso ed imprevisto che rifornirà il patrimonio culturale di molti collezionisti privati, quali Fulvio Orsini e Robert Bruce Cotton: la dispersione dell’immenso patrimonio librario contenuto nelle biblioteche monastiche. In senso opposto, cercarono di collezionare testi e fondare biblioteche personaggi quali il parigino Guillaume Budé o il marchigiano Angelo Rocca, o lo stesso Federico Borromeo.

Nel Seicento e nel Settecento alcuni tra i più importanti statisti, come ad esempio il cardinale Mazarino e il Anne Robert Jacques Turgot, oltre a personalità dotte come Apostolo Zeno, divennero noti bibliofili.

La Rivoluzione francese ebbe tra le sue conseguenze la chiusura dei conventi e quindi l’intera mole del patrimonio culturale conservato in quei luoghi venne accaparrato da biblioteche pubbliche e da privati. Proprio allora sorsero i primi cataloghi e i primi repertori di bibliofilia: il Dictionnaire bibliographique, historique et critique des livres rares scritto da Charles Pinot Duclos nel 1770 ed il Manuel du libraire et de l’amateur de livres di Jacques Charles Brunet del 1810.

Durante il XIX secolo si diffusero le prime società di bibliofili e le prime riviste specializzate, valga per esempio La Bibliofilia di Firenze inaugurata nel 1898.

Tristemente famoso il caso del matematico fiorentino, conte Guglielmo Libri Carucci dalla Sommaja, per essere stato, non soltanto un appassionato bibliofilo (sui generis però, dato che non esitava a strappar via dai volumi le pagine che più gli interessavano), ma soprattutto l’autore di un’incredibile quantità di furti di libri, tale da renderlo, probabilmente, il più “grande” ladro di libri di tutti i tempi, nomen omen!

Tra gli esempi più commoventi di bibliofilia incallita vi fu quello manifestato dal conte de la Bédoyère che nel 1847 mise all’asta la sua prestigiosa collezione, ma non riuscendo a distaccarsene, partecipò lui stesso all’asta per ricomprarsela tutta, perdendo però in tal modo una forte cifra.

Le prime società di bibliofili nacquero in Gran Bretagna durante il XIX secolo, ed ebbero il merito di diffondere pubblicazioni inerenti alla materia, nelle quali oltre ad occuparsi di studi letterari, venne trasmesso l’amore per i libri.

In età contemporanea Umberto Eco, fondatore e presidente dell’Aldus Club, Associazione Internazionale di Bibliofilia, o il celebre Franco Maria Ricci, editore di riviste e libri concepiti per soddisfare le esigenze dei bibliofili. ( Wikipedia )

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Aggiornato al 19 Novembre 2023 

LIBRI: Romanzi di Cesare Pavese

 

C. PAVESE, ROMANZI, EINAUDI, 1961, 2 ED CON COFANETTO

Cesare Pavese nacque a Santo Stefano Belbo, un paesino delle Langhe sito nella provincia di Cuneo, presso il cascinale di San Sebastiano, dove la famiglia soleva trascorrere le estati, il 9 settembre del 1908. Il padre, Eugenio Pavese, originario anch’egli di Santo Stefano Belbo, era cancelliere presso il Palazzo di Giustizia di Torino, dove risiedeva con la moglie, Fiorentina Consolina Mesturini, proveniente da una famiglia di abbienti commercianti originari di Ticineto (in provincia di Alessandria), e la primogenita Maria (nata nel 1902), in un appartamento in via XX Settembre 79.

Malgrado l’agiatezza economica, l’infanzia di Pavese non fu felice: una sorella e due fratelli, nati prima di lui, erano morti prematuramente. La madre, di salute cagionevole, dovette affidarlo, appena nato, a una balia del vicino paese di Montecucco e poi, quando lo riprese con sé a Torino, a un’altra balia, Vittoria Scaglione.

Il padre morì di un cancro al cervello il 2 gennaio del 1914; Cesare aveva cinque anni. Come è stato scritto, «c’erano già tutti i motivi – familiari e affettivi – per far crescere precocemente il piccolo Cesare […] per una preistoria umana e letteraria che avrebbe accompagnato e segnato la vita dello scrittore». La madre, di carattere autoritario, dovette allevare da sola i due figli: la sua educazione rigorosa contribuì ad accentuare il carattere già introverso e instabile di Cesare.

La Luna e i Falò

La Luna e i Falò è l’ultimo romanzo dello scrittore Cesare Pavese, scritto tra il 18 settembre e il 9 novembre 1949 e pubblicato nell’aprile del 1950. Il romanzo presenta elementi autobiografici dello scrittore piemontese ed è quello che conclude la sua carriera di narratore. Il romanzo è dedicato all’ultima donna della vita di Pavese, Constance Dowling

La storia inizia quando Anguilla, tornato emigrante dall’America dopo la Liberazione, ritorna con il pensiero al momento in cui neonato era stato abbandonato sugli scalini del Duomo di Alba e quindi portato all’ospedale di Alessandria, dove era stato adottato da Padrino e da Virgilia che per questa adozione ricevevano una mesata di cinque lire.

Quando, successivamente alla morte di Virgilia e a una grandinata che distrusse la piccola vigna, Padrino decise di vendere il casotto dove vivevano, Anguilla si trasferì alla fattoria della Mora, dove iniziò a lavorare per la prima volta; c’era benessere in quel casale insieme a sor Matteo e alle tre figlie: Irene, Silvia, Santa (la più piccola). Pur essendosi affezionato a loro, tornato dall’America, preferisce non rivedere quel luogo.

In trentadue capitoli il lettore si perde nei ricordi, spesso tristi, che Anguilla rivive con l’amico Nuto e capisce quanto sia importante per ognuno avere un paese, una famiglia, un punto di riferimento che leghi alla vita; di questo Anguilla si rende conto quando, lontano dalla sua valle, viene richiamato alla sua patria non da un amico o dalla patria stessa, bensì da quel senso di appartenenza al suo paese che lui si porta dentro insieme a tanta nostalgia.

Per prima cosa, invece, Anguilla va a vedere la casa del Padrino, rimasta uguale, e conosce il nuovo proprietario, il Valino, e suo figlio Cinto, un ragazzo gracile e solitario. Quest’ultimo gli fa ricordare i tempi in cui era ragazzo, quando Nuto, più grande di lui, trattandolo sin da allora da amico, cercava di insegnargli tutto ciò che sapeva; Anguilla vuole essere per Cinto ciò che Nuto era stato per lui.

Trascorrono molto tempo insieme, nasce anche un’amicizia tra loro e Cinto sa di potersi fidare di Anguilla: proprio per questo, quando il Valino, in preda ad un raptus di follia, uccide la nonna e la zia, dà fuoco alla casa e si suicida impiccandosi, il ragazzo va subito da Anguilla, che insieme a Nuto cerca di tranquillizzarlo.

Anguilla sa che Irene e Silvia, come tanti altri, sono morte ed entrambe male, ma gli rimane oscura la sorte di Santa, che Nuto gli rivela solo alla fine: di notevole bellezza sin da quando era piccola, la donna, inquieta, era diventata spia prima dei tedeschi e dopo dei partigiani, poi ancora dei tedeschi e dei repubblichini; proprio allora era stata giustiziata, ancora in giovane età. ( Wikipedia )

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Aggiornato al 29 Novembre 2023