LIBRO: Le Fontane di Roma di Cesare D’Onofrio
C. D’ONOFRIO, LE FONTANE DI ROMA, ROMANA SOC. EDITRICE, 1986
Le Fontane di Roma dimostrano come i romani abbiano sempre avuto una gran passione per le acque pubbliche, dagli acquedotti alle terme e come, dopo i secoli della decadenza, tale passione si sia esternata nella costruzione delle numerose fontane (oltre 2.000) che ancora oggi ornano vie e piazze romane. I problemi di igiene, poi, non sembravano preoccupare nessuno, se l’acqua del fiume (decantata in apposite cisterne) era considerata talmente buona che i papi se la portavano anche in viaggio.
Le fontane sono state, per i romani, quasi una naturale conseguenza della conformazione geologica del terreno su cui la città era stata edificata: il suolo vulcanico sui colli e alluvionale in pianura (del tutto permeabile) sovrapposto a uno strato argilloso (impermeabile) faceva sì che le numerose vene d’acqua naturali di cui la zona era ricca scorressero a una profondità minima, producendo, quando non riuscivano a confluire nel Tevere, numerose sorgenti spontanee sparse qua e là ai piedi o a mezza costa dei colli, con conseguenti rivoli d’acqua. Quasi tutte definitivamente scomparse nel tempo, su quelle sorgenti oggi è possibile solo ricavare poche notizie dalle testimonianze dell’epoca, che tra l’altro consentono una localizzazione, peraltro approssimativa, di non più di una decina di esse. Alcune di queste vene sono tuttora vive sotto le case di Trevi e Campo Marzio.
Fontana di Trevi
La Fontana di Trevi è la più grande e una fra le più note fontane di Roma e tra le più celebri fontane del mondo.
La fontana, progettata da Nicola Salvi è addossata ad un lato di Palazzo Poli ( più propriamente Palazzo Conti di Poli ), fu incominciata da Nicola Salvi (il concorso indetto da papa Clemente XII nel 1731 era stato vinto dallo scultore francese Lambert-Sigisbert Adam, ma due versioni esistono: una afferma che il papa non voleva affidare l’opera a un straniero, l’altra che Adam doveva ritornare in Francia: consultare l’articolo “Adam” sull’enciclopedia Treccani o Caroline Brooks in Roma-Parigi, Accademia di San Luca, 2016, p. 40) nel 1732 e completata nel 1762 da Giuseppe Pannini e stilisticamente appartiene al tardo barocco. La fontana è stata costruita con travertino, marmo, intonaco, stucco e metalli.
I lavori furono finanziati per 17.647 scudi. Questi fondi furono in parte raccolti grazie alla reintroduzione del Gioco del Lotto a Roma. La costruzione della fontana fu incominciata nel 1732, e Clemente XII la inaugurò nel 1735, con i lavori ancora in corso. Nel 1740, però, la costruzione della fontana venne ancora una volta interrotta, per riprendere solo due anni più tardi. Tra le cause dei lunghissimi tempi di realizzazione dell’impresa, oltre all’indubbia grandiosità dell’opera, vi furono il notevole aumento dei costi e quindi dei fondi necessari, e le liti frequenti tra il Salvi e Giovanni Battista Maini, lo scultore incaricato dell’esecuzione della fontana. Nessuno dei due vedrà la conclusione dell’opera: Nicola Salvi morì nel 1751 e il Maini l’anno dopo. Ma anche il papa non vide l’opera finita (e forse per questo volle inaugurarla in anticipo), e così il successore Benedetto XIV (che forse per lo stesso motivo pretese una seconda inaugurazione nel 1744).
La prima fase dei lavori terminò nel 1747, quando vennero completate le statue e le rocce posticce. A Giuseppe Pannini fu affidato l’onere di portare finalmente l’opera a compimento, ma fu rimosso dal suo incarico a causa delle variazioni da lui eseguite sul progetto originale: i lavori subirono un ulteriore ritardo. Nel 1759 l’incarico fu affidato allo scultore Pietro Bracci, aiutato dal figlio Virginio. La fontana viene finalmente ultimata dopo l’esecuzione del complesso scultoreo centrale, durante il pontificato di papa Clemente XIII. La sera del 22 maggio 1762, giorno di domenica (dopo trent’anni di cantiere), l’opera fu finalmente restituita al pubblico in tutta la sua maestosità (e il papa la inaugurò per la terza volta).
Dal primo bozzetto realizzato dal Maini alla realizzazione finale del gruppo scultoreo del Bracci, l’opera venne reinterpretata in chiave illuminista. Le nuove idee provenienti dalla Francia stavano infatti facendosi strada nella cultura romana: il cavallo nero e il cavallo bianco trovano espressione nella esecuzione del Bracci. ( Wikipedia )
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