LIBRO: Il Partito Armato di Giorgio Galli

GIORGIO GALLI: IL PARTITO ARMATO

Il Partito Armato è una definizione alternativa giornalistica delle Brigate Rosse.

Brigate Rosse

Le Brigate Rosse ( BR ) sono state un’organizzazione terroristica italiana di estrema sinistra costituitasi nel 1970 per propagandare e sviluppare la lotta armata rivoluzionaria per il comunismo.

Di matrice marxista-leninista, è stato il maggiore, il più numeroso e il più longevo gruppo terroristico di sinistra del secondo dopoguerra esistente in Europa occidentale.

In base ai racconti di alcuni dei principali militanti, la decisione di intraprendere la lotta armata sarebbe stata presa in un convegno tenuto nell’agosto del 1970 in località Pecorile, comune di Vezzano sul Crostolo (RE) a cui partecipò un centinaio di delegati dell’estremismo di sinistra provenienti da Milano, Trento, Reggio Emilia e Roma[3]. Nell’organizzazione confluirono i militanti del cosiddetto «gruppo reggiano», tra cui Alberto Franceschini, quelli del gruppo proveniente dall’Università di Trento, tra cui Renato Curcio e Margherita Cagol, e quelli del gruppo di operai e impiegati delle fabbriche milanesi Pirelli e Sit-Siemens.

Le prime azioni rivendicate come «Brigate Rosse» risalgono al 1970, e continuarono con il massimo dell’attività tra il 1977 e il 1980. Dopo una fase di cosiddetta «propaganda armata» con attentati dimostrativi all’interno delle fabbriche e sequestri di dirigenti industriali e magistrati, dal 1974 al 1976 vennero arrestati o uccisi i principali brigatisti del gruppo iniziale. Da quel momento la direzione dell’organizzazione passò ai brigatisti nel nuovo Comitato Esecutivo in cui assunse un ruolo determinante Mario Moretti, che potenziarono notevolmente la capacità logistico-militare del gruppo, estendendo l’azione – oltre che nelle città del Nord – anche a Roma e Napoli, moltiplicando gli attacchi sempre più cruenti contro politici, magistrati, industriali e forze dell’ordine.

Momenti culminanti dell’attività del gruppo furono l’agguato di via Fani e il sequestro Moro nella primavera 1978; con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro le Brigate Rosse sembrarono in grado di influire in modo decisivo sull’equilibrio politico italiano e di poter sovvertire l’ordine democratico della Repubblica.

L’organizzazione entrò in crisi nei primi anni ottanta per il suo irreversibile isolamento all’interno della società italiana e venne progressivamente distrutta grazie alla crescente capacità di contrasto da parte delle forze dell’ordine, e anche grazie alla promulgazione di una legge dello Stato italiano che concedeva cospicui sconti di pena ai membri che avessero rivelato l’identità di altri terroristi. Nel 1987 Renato Curcio e Mario Moretti firmarono un documento in cui dichiaravano conclusa l’esperienza delle BR.

Secondo l’inchiesta di Sergio Zavoli La notte della Repubblica, dal 1974 (anno dei primi omicidi ad esse attribuiti) al 1988 le Brigate Rosse hanno rivendicato 86 omicidi: la maggior parte delle vittime era composta da agenti di polizia e carabinieri, magistrati e uomini politici. A questi vanno aggiunti i ferimenti, i sequestri di persona e le rapine compiute per «finanziare» l’organizzazione.

Renato Curcio ha calcolato che 911 persone sono state inquisite per avere fatto parte delle BR, alle quali vanno aggiunte altre 200-300 persone facenti parte dei vari gruppi armati che dalle BR si staccarono ( Partito Comunista Combattente, Unità Comuniste Combattenti, Partito Guerriglia, Colonna Walter Alasia ).

Il sequestro Sossi e i primi morti

Tra il 1973 e il 1974, le BR allargarono i loro rapporti organizzativi in varie regioni: consolidando i contatti con operai dei Cantieri Navali Breda e del Petrolchimico di Porto Marghera fu costituita la terza colonna, quella veneta; in Liguria, con alcuni operai dell’Italsider, fu creata la colonna genovese; nelle Marche si strinsero relazioni con esponenti dei Proletari Armati in Lotta, alcuni dei quali daranno vita al comitato marchigiano delle BR.

La prima azione condotta contro un esponente dello Stato fu il rapimento del sostituto procuratore Mario Sossi, avvenuto a Genova il 18 aprile del 1974. Sossi, che era stato pubblico ministero nel processo contro il gruppo armato genovese della XXII Ottobre, fu rapito e tenuto prigioniero in un villino vicino Tortona. Sottoposto a un «processo» dai brigatisti ( Franceschini, la Cagol e Piero Bertolazzi ), venne condannato a morte (lo slogan in voga all’epoca era: «Sossi fascista, sei il primo della lista!»). I brigatisti, però, offrirono allo Stato un’opzione, ovvero chiesero in cambio della sua liberazione la scarcerazione dei membri della XXII Ottobre detenuti (in una sorta di «scambio di prigionieri» tra BR e Stato) che avrebbero ottenuto un salvacondotto per Cuba, la Corea del Nord o per l’Algeria. Durante l’«operazione Girasole» la famiglia del rapito era favorevole alla trattativa, Sossi manifestava un crescente risentimento verso il governo e i suoi superiori, il procuratore generale di Genova Francesco Coco si opponeva fermamente a ogni cedimento, mentre politici come Lelio Basso dichiaravano: «Preferisco dei colpevoli in libertà piuttosto che uccidere un uomo». Paolo Emilio Taviani, Ministro dell’Interno, respinse il ricatto brigatista, il Tribunale di Genova offrì di rivedere la posizione dei detenuti della XXII Ottobre sfruttando le possibilità offerte dalle norme processuali, ma il procuratore Francesco Coco ribadì il proprio «no» a qualsiasi forma di ricatto. Il 18 maggio le BR diedero un ultimatum di 48 ore, scaduto il quale, Sossi sarebbe stato ucciso: due giorni dopo la Corte d’appello di Genova concesse la libertà provvisoria agli otto detenuti, ordinando la scarcerazione. Il Ministro dell’Interno diede l’ordine di circondare il carcere di Marassi per impedire la messa in libertà dei detenuti, il procuratore generale impugnò l’ordinanza ricorrendo in Cassazione: i detenuti non poterono essere rimessi in libertà prima della decisione della Suprema Corte. Le BR decisero di rilasciare Sossi, senza ottenere una contropartita[8]. Il magistrato venne liberato a Milano il 23 maggio 1974, tornò a Genova in treno e si consegnò alla Guardia di Finanza.

Francesco Coco sarà poi ucciso a Genova l’8 giugno 1976 insieme a due uomini della scorta divenendo il primo magistrato ucciso durante gli anni di piombo.

Il sequestro Sossi fu considerato un successo d’immagine delle BR, che nel periodo successivo iniziarono a ipotizzare il sequestro di Giulio Andreotti e di Gritti, collaboratore di Eugenio Cefis, per portare l’attacco al cuore dello Stato.

Il 17 giugno 1974 le BR commisero a Padova il loro primo delitto: nel corso di un’incursione nella sede del MSI di via Zabarella, furono uccisi, pur in assenza di pianificazione, Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola. Il nucleo veneto gestì l’evento, rivendicandolo all’interno della pratica dell’antifascismo militante. Le Brigate Rosse, a livello nazionale, pur assumendone la responsabilità, ribadirono che la questione centrale dell’intervento armato era l’attacco allo Stato e non l’antifascismo militante. Inizialmente si pensò a una faida interna tra i gruppi neofascisti, ma poi arrivò la rivendicazione brigatista, nel cui volantino c’era scritto: «Un nucleo armato ha occupato la sede del Msi a Padova. Due fascisti presenti, avendo violentemente reagito, sono stati giustiziati. Il Msi di Padova è quello da cui sono usciti gruppi e personaggi del terrorismo antiproletario che hanno diretto le trame nere dalla strage di piazza Fontana in poi… Le forze rivoluzionarie sono… legittimate a rispondere alla barbarie fascista con la giustizia armata del proletariato.».  ( Wikipedia )

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Aggiornato a 5 Gennaio 2024