LIBRO: Il Vero e il Giusto di Raymond Boudon

 

BOUDON: IL VERO E IL GIUSTO

Nel suo elogio del senso comune, Boudon ha raccontato la confusione odierna tra morale e politica, fede e ragione, pubblico e privato, ponendo la necessità di ritrovare una razionalità comune in grado di resistere alle tentazioni dei particolarismi sociali e culturali.

Allievo di Raymond Aron, dopo gli studi all’École normale supérieure di Parigi, all’Università di Friburgo (Germania) e alla Columbia University di New York, Raymond Boudon ottiene il dottorato di Stato alla Sorbona nel 1967. Ricercatore al CNRS dal 1961 al 63, diventa professore alla Sorbona di Parigi a partire dal 1967. Dirige la rivista “L’Anné Sociologique”, e il Centre d’Etudes Sociologiques del CNRS a Parigi. Membro dell’Institut de France dal 1990, dal 1995 è membro dell’International Academy di Filosofia della Scienza a Bruxelles. Ha avuto molti allievi, tra cui Mohmaed Cherkaoui, Bernard Valade, Philippe Besnard e – in Italia – Enzo Di Nuoscio e Carlo Lottieri.

Boudon contrappone all’Homo oeconomicus della Teoria della scelta razionale, un individuo dotato di una razionalità situata, cioè legata alle condizioni sociali e culturali dell’attore stesso. Quest’uomo, l’Homo sociologicus, non ragiona solo in termini di beneficio, Boudon infatti afferma che valori, credenze ed abitudini non possono esser tralasciate in quanto l’individuo le interiorizza. Inoltre gli individui possono commettere errori non potendo sempre individuare la scelta migliore, la sua razionalità è limitata, data l’insufficienza di informazioni di cui l’attore dispone. L’individuo può essere condizionato da scelte ideologiche ed infine essendo integrato, in costante interazione con la società, deve rispondere a attese sociali legate al suo ruolo. L’Homo sociologicus di Boudon agisce in modo razionale, ma anche per “buone ragioni” condizionate da valori, convinzioni e soprattutto dall’identità personale, concetto che si distacca completamente dal modello della Teoria della scelta razionale e dal concetto weberiano di agire razionale rispetto allo scopo. ( Wikipedia )

Il Vero e il Giusto

Già nel Vero e il giusto Boudon propone di affrontare il discorso sul fondamento dei giudizi di valore adottando un approccio epistemologico. Proposizioni come «x è buono, cattivo, legittimo, illegittimo ecc.» vengono, cioè, considerate alla stregua di proposizioni comunemente riconosciute come scientifiche, quale ad esempio «Esiste una forza che attira gli oggetti verso il centro della Terra». Come tali, possono essere parte o costituire esse stesse una teoria scientifica. Ora, qualsiasi teoria, di conseguenza anche le teorie che esprimono la spiegazione delle norme e dei valori, deve sempre necessariamente fondarsi su quelle che egli definisce «certe proposizioni “prime”, in altre parole su dei “principi”». La necessità inderogabile di questo fondamento per le teorie, unitamente all’impossibilità logica di dimostrare la validità dei principi (che sono sempre degli assunti), determinano la natura dilemmatica dell’enunciato che è anche il teorema fondamentale dell’epistemologia, indicato da Hans Albert come il «Trilemma di Münchhausen».

La triplice dimensionalità del «dilemma» è dovuta al fatto che esistono tre strade logicamente percorribili per risolverlo, ma ciascuna di esse consiste, in ultima istanza, in un aggiramento del problema anziché in un suo reale superamento. In sintesi: a) si può decidere di trattare i principi come degli «indimostrabili» e quindi sottrarsi al teorema; b) la seconda via è quella di procedere a fondare i principi su altre proposizioni e queste a loro volta su altre ancora. Dovendosi prima o poi fermare, si finirà per indicare i principi in quelle proposizioni a cui si è giunti, avendo però soltanto spostato e non risolto il problema del fondamento della teoria; c) infine, i principi possono essere dimostrati a partire dalle loro conseguenze, seguendo, in questo caso, un ragionamento circolare del tipo: se a (principio) è fondato, allora deve esserci o verificarsi b (conseguenza); poiché b (conseguenza), di fatto, c’è o si è verificato, allora la fondatezza di a (principio) è dimostrata. ( Quaderni di Sociologia Anno 2000 )

 

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Aggiornato a 19 Novembre 2023

 

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LIBRI: Storia Socialista della Rivoluzione Francese di Jean Jaurès

JEAN JAURES, STORIA SOCIALISTA DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE, EDITORI RIUNITI

Jean Jaurès, in particolare, nella sua Storia socialista della Rivoluzione francese, analizza la rivoluzione francese “dal basso”, ne indaga a fondo i fattori economico-sociali e individua nel protagonismo dei ceti popolari il fattore chiave che aveva portato alla vittoria della borghesia. Jaurès, inserendosi nel corposo filone delle interpretazioni di stampo marxista, interpretò la Rivoluzione Francese come una rivoluzione figlia non della miseria ma della prosperità, che avrebbe portato all’affermazione del capitalismo.

Rivoluzione Francese

La Rivoluzione francese, nota anche come Prima rivoluzione francese per distinguerla dalla Rivoluzione di luglio e dalla Rivoluzione francese del 1848, fu un periodo di radicale e a tratti violento sconvolgimento sociale, politico e culturale occorso in Francia tra il 1789 e il 1799, assunto dalla storiografia come lo spartiacque temporale tra l’età moderna e l’età contemporanea.

Le principali e più immediate conseguenze della Rivoluzione furono l’abolizione della monarchia assoluta, la proclamazione della repubblica con l’eliminazione delle basi economiche e sociali del cosiddetto Ancien Régime («antico regime»), ritenuto responsabile del precedente stato di disuguaglianza e povertà delle classi subalterne, e l’emanazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, il fondamento delle costituzioni moderne.

Sebbene terminata con il periodo imperiale-napoleonico e la successiva Restaurazione da parte dell’aristocrazia europea, la Rivoluzione francese, insieme a quella americana, poiché segnò il declino dell’assolutismo, ispirò le rivoluzioni a connotazione borghese liberali e democratiche che seguirono nel XIX secolo (i cosiddetti moti rivoluzionari), dando definitivamente impulso alla nascita di un nuovo sistema politico, sotto il nome di Stato di diritto o Stato liberale, in cui la borghesia divenne la classe dominante, prodromi a loro volta della nascita dei moderni stati democratici del XX secolo. ( Wikipedia )

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Aggiornato al 28 Gennaio 2024

LIBRI: Storia della Letteratura Tedesca di Ladislao Mittner

MITTNER, STORIA DELLA LETTERATURA TEDESCA – EINAUDI

Ladislao Mittner nacque a Fiume, oggi in Croazia, sotto l’Impero austro-ungarico, da padre ungherese. Ricevette una formazione culturale mitteleuropea e divenne un appassionato e profondo conoscitore della letteratura e della lingua tedesca.

Laureatosi a 21 anni presso l’università di Bologna (1923), per trent’anni (1942-1972) fu docente presso il Dipartimento di germanistica dell’Università “Ca’ Foscari” di Venezia.

Insigne filologo e critico, è autore di un’apprezzata e diffusa grammatica della lingua tedesca (Mondadori, 1933 ed edizioni successive per oltre 50 anni) e di diversi saggi di lingua e letteratura (su autori come Adalbert Stifter, Theodor Storm, Ludwig Tieck, Friedrich Schiller, Hermann Broch, Rainer Maria Rilke, Goethe, Hölderlin, Thomas Mann, ecc.).

La sua opera più nota è la monumentale Storia della letteratura tedesca (Einaudi, 1964-77 ed edizioni successive). Scrisse anche un importante volume su La letteratura tedesca del Novecento (1960). Spiccano tra gli altri i suoi studi riguardanti il Romanticismo tedesco: Ambivalenze romantiche. Studi sul Romanticismo tedesco (1960).

Il primo Romanticismo nacque a Jena per merito dei fratelli Schlegel e di Novalis, che nel 1798 fondarono la rivista letteraria Athenaeum, tramite la quale diffusero le basi culturali, etiche e letterarie del movimento, che entrò in polemica con Goethe e con Schiller. Gli elementi caratterizzanti il primo Romanticismo furono la consapevolezza del limite conseguente all’impossibiltà di immergersi nell’atto creativo naturale degli antichi, da cui si formarono l’ironia romantica, il sentimento soggettivo, il desiderio intenso e tormentoso, la poesia come manifestazione del sacro, l’arte come veicolo del tutto, la metafora, la mitologia medioevale, la trascendenza, la religiosità nella natura, l’esaltazione della notte come simbolo della morte, il mistero, il sogno, il rifiuto degli elementi peculiari dell’Illuminismo.

Il secondo Romanticismo si formò a Heidelberg grazie all’iniziativa di Brentano a Arnim e alla pubblicazione della loro antologia di canti popolari tedeschi intitolata Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo, 1805-1808). Il secondo Romanticismo si distinse per la grande ammirazione della poesia popolare, delle leggende, delle saghe, delle fiabe, (celebri le Fiabe del focolare (1812), dei Fratelli Grimm), della magia, del paranormale, dell’alchimia, del nazionalismo, degli ideali antieconomici, e inoltre approfondì le tematiche della schizofrenia della personalità contemporanea e della crisi dell’identità anticipando le teorie psicanalitiche.

Il Gruppo Berlinese evidenziò grande predilezione per la mitologia e per la favolistica, invece la Scuola Sveva si soffermò malinconicamente sull’età medioevale sottolineando qualche possibile connessione con la realtà contemporanea.

La società tedesca di fine Ottocento si trasformò velocemente sospinta dalla tecnicizzazione e dalla modernizzazione, e contemporaneamente anche la filosofia, le ideologie e l’estetica mutarono profondamente. In questa prima fase dell’Espressionismo, dal 1910 allo scoppio della prima guerra mondiale, gli artisti e i letterati esplorarono il nuovo sentire, ma si scontrarono con l’autoritarismo di Guglielmo II (1888-1918) che si opponeva alle novità culturali. Anche la modernizzazione con l’industrializzazione della Germania suscitò un forte disagio tra i letterati espressionisti, che si manifestò con la demonizzazione della grande città, del denaro, della tecnica, della democrazia, oltreché alla espressione della crisi dell’individuo, dell’alienazione della vita moderna e della nostalgia per il mondo rurale. Nella seconda fase, tra il 1914 e il 1919, l’Espressionismo di guerra sviluppò i temi del pacifismo e della rivoluzione, approfondendo anche le conseguenze degli eventi bellici. La terza fase dell’Espressionismo fu quella che portò al suo esaurimento verso il 1925.

L’Espressionismo, nella sua forma più autentica, è una letteratura di protesta, di rivolta irrazionale, di rivolta dei figli contro i padri, di aspirazione mistica, di dolore, di sofferenza e di «disagio della civiltà», causati dal senso di estraneità che il soggetto prova nei confronti di se stesso e del mondo moderno, oltreché una letteratura innovativa del linguaggio, poiché il sistema della «grammatica» viene sostituito con quello del «ritmo» e del «sentimento», i versi sciolti e liberi prevalgono sempre di più su quelli in rima, sulle strofe e sui metri regolari.

L’Espressionismo nella letteratura si caratterizzò per il travolgente dinamismo, il superamento della realtà, l’esaltazione dei diritti dell’irrazionale e degli istinti primordiali, l’introduzione della psicoanalisi, la lingua dell’anima, l’urlo dell’interiorità angosciata, l’anelito all’amore universale, la grande intensità, la forte figuratività, il pathos acceso, i forti elementi grotteschi e caricaturali.

Le opere espressioniste si diffusero grazie alla nascita di circoli e alle riviste berlinesi Der Sturm, Die Aktion fondate nel 1910.

L’Espressionismo ebbe come caposcuola Franz Werfel (1890-1945) e tra i suoi esponenti più rappresentativi si possono citare Georg Trakl (1887-1914), Else Lasker-Schüler (1869-1945), Gottfried Benn (1886-1956), Georg Heym (1887-1912), Franz Kafka (1883-1924), Heinrich Mann (1871-1950), Alfred Döblin (1878-1957). ( Wikipedia )

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AGGIORNATO 15 NOVEMBRE 2023

 

LIBRI: Storia Sociale dell’Arte di Arnold Hauser

ARNOLD HAUSER, STORIA SOCIALE DELL’ARTE – EINAUDI

Arnold Hauser (Temesvár, 8 maggio 1892 – Budapest, 28 gennaio 1978) è stato uno storico dell’arte ungherese attivo soprattutto in Gran Bretagna. Si trasferì in Inghilterra nel 1938.

Arnold Hauser (1892-1978) Scrittore, filosofo e storico dell’arte ungherese.
Sulla scorta delle ricerche della scuola storicistica e sociologica tedesca e della dottrina marxista di György Lukács, delineò una teoria dell’arte in cui i fenomeni artistici sono analizzati in stretta relazione con il loro contesto storico e sociale. In tal senso è avvicinabile al collega e connazionale Frederick Antal.

Respinse la teoria sull’autonomia dell’arte, a suo dire formata da fattori materiali che sono interdipendenti tra loro. Per Hauser ogni società ha un suo specifico stile; ad esempio, la società aristocratica predilige uno stile rigido, tradizionalista; mentre una società come quella democratica ne preferisce elementi che siano più naturalistici possibili, un’arte più vicina alla città.

Insegnò Storia dell’arte a Vienna e Budapest, in Inghilterra all’Università di Leeds, negli Stati Uniti alla Brandeis University e all’Ohio State University. ( Wikipedia )

L’opera più nota e più discussa di Hauser è Sozialgeschichte der Kunst und Literatur, 1953 ( ma già nel 1951 ne era uscita la traduzione inglese, con il titolo The social history of art ), tradotta in moltissime lingue (trad. it., 1955). In particolare le osservazioni critiche di P. Francastel e, soprattutto, di E. H. Gombrich (1953), oltre a mettere in evidenza l’ineguale trattazione dei temi in riferimento alle diverse epoche, hanno sottolineato i limiti metodologici dell’impostazione hauseriana. Il pendant teoretico-metodologico di quest’opera è la Philosophie der Kunstgeschichte (1958; trad. it. con il titolo Teorie dell’arte: tendenze e metodi della critica moderna, 1969).

In essa Hauser, partendo dal principio “che nella storia tutto è realizzazione di individui, ma che gli individui si trovano sempre in una situazione condizionata temporalmente e spazialmente, e che la loro condotta è il risultato sia delle loro disposizioni personali che di questa situazione”, analizza i principali approcci interpretativi alla storia dell’arte (sociologico, psicologico e di “filosofia della storia dell’arte”) e precisa fini e limiti dell’interpretazione sociologica. ( Treccani )

 

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Aggiornato al 15 Novembre 2023

 

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OGNI LIBRO, OGNI VOLUME CHE VEDI POSSIEDE UN’ANIMA, L’ANIMA DI CHI LO HA SCRITTO E L’ANIMA DI COLORO CHE LO HANNO LETTO, DI CHI HA VISSUTO E DI CHI HA SOGNATO GRAZIE A ESSO. OGNI VOLTA CHE UN LIBRO CAMBIA PROPRIETARIO, OGNI VOLTA CHE UN NUOVO SGUARDO NE SFIORA LA PAGINA, IL SUO SPIRITO ACQUISTA FORMA… QUANDO UNA BIBLIOTECA SCOMPARE, QUANDO UNA LIBRERIA CHIUDE I BATTENTI, QUANDO UN LIBRO SI PERDE NELL’OBLIO, NOI CUSTODI DI QUESTO LUOGO, FACCIAMO IN MODO CHE ARRIVI QUI. E QUI I LIBRI CHE NESSUNO RICORDA, I LIBRI PERDUTI NEL TEMPO, VIVONO PER SEMPRE, IN ATTESA DEL GIORNO IN CUI POTRANNO TORNARE NELLE MANI DI UN NUOVO LETTORE. NOI LI VENDIAMO E LI COMPRIAMO MAI IN REALTÀ I LIBRI NON CI APPARTENGONO MAI. OGNUNO DI QUESTI LIBRI È STATO IL MIGLIORE AMICO DI QUALCUNO… ( CARLOS RUIZ ZAFON, L’OMBRA DEL VENTO )

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Aggiornato al 27 Novembre 2023

 


			

Farmaci per l’Anima: Biblioterapia

L’importanza di lasciar vivere i libri, finestre sul mondo e farmaci per l’anima

La lettura,attraverso il contatto fisico con la pagina, rappresenta un’ancora di salvezza tanto da essere usata anche a scopo terapeutico: la biblioterapia, cioè una vera e propria cura, uno strumento di aiuto in situazioni di disagio psicologico e sociale

Borges scriveva che” leggere è un modo importante per prendersi cura di sé, poiché ogni libro è un Universo”, e allora ecco come il libro ed il contatto fisico con la carta delle sue pagine diventano rimedi efficaci per la salute e il benessere personale. Per qualsiasi disturbo, carenza, bisogno, i libri curano, confortano, nutrono. Sono amici fedeli e inseparabili, soprattutto in momenti di abbattimento e solitudine. Molti forse non sanno che è sempre più diffusa tra le cliniche e le strutture ospedaliere  la pratica di utilizzare i libri  per agire in profondità come un farmaco fondamentale per “trasformare” il necessario “cambiamento”. Sovente i malesseri dell’anima, i disagi emotivi ed affettivi , come più volte vi ho sottolineato, non dipendono necessariamente da vere patologie, quanto piuttosto dalla mancanza di spazio delle proprie esigenze interiori e dalla necessità di dare un senso alla propria vita. Leggere, e, come posso garantirvi personalmente anche scrivere , può veramente dilatare lo spazio interiore ed aiutare a ripristinare l’equilibrio, poiché la letteratura, in generale, si rivolge soprattutto al cuore e all’universo di sentimenti ed emozioni, offrendo la chiave per accedere alla propria interiorità , risvegliando il  “Piacere”, che Lowen ci indica come principio base della Bioenergetica. CONTINUA 

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Aggiornato al 29 Novembre 2023